Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15041 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 28/05/2021), n.15041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17259/19 proposto da:

-) M.M., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del

proprio difensore (avvmassimogentili.cnfpec.it), difeso

dall’avvocato Massimo Gentili in virtù di procura speciale apposta

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 14.11.2018 n.

2485;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 novembre 2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.M., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse (secondo quanto riferito nel ricorso) di avere lasciato il proprio Paese dopo che, essendosi rifiutato di soggiacere ad una estorsione tentata in suo danno da appartenenti ad un partito politico avverso al suo, subì l’incendio del proprio esercizio commerciale e una aggressione, nel corso della quale ferì l’aggressore (dal verbale delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale, tuttavia, risulterebbe che in sede amministrativa l’odierno ricorrente riferì di avere ucciso l’aggressore).

Per timore di ulteriori rappresaglie si recò dunque prima in Libia e poi in Italia.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento M.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 17 settembre 2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 14 novembre 2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perchè il richiedente aveva commesso un omicidio nel proprio paese, e dunque appostavano all’accoglimento della domanda il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16; in ogni caso la Corte d’appello ha aggiunto – con autonoma ratio decidendi – che i fatti narrati dal richiedente non evidenziavano alcun atto di persecuzione, ma solo una vicenda privata;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da M.M. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Dopo aver trascritto un ampio brano della sentenza impugnata, sostiene di aver fornito, davanti ad ambedue i giudici di merito, “la prova della veridicità delle proprie affermazioni ai fini dell’ottenimento del riconoscimento dello status di rifugiato”.

La illustrazione del motivo prosegue rievocando i fatti posti a fondamento della domanda, e si conclude con l’affermazione che sulla base di quei fatti, lo status di rifugiato avrebbe dovuto essergli concesso.

1.2. Il motivo è inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi. La Corte d’appello ha rigettato la domanda di asilo e quella di protezione sussidiaria (per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)) sul presupposto che il richiedente aveva nel suo paese commesso un omicidio per sua stessa ammissione, e che quindi la concessione della protezione internazionale era impedita dalle previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16.

Il ricorrente non censura in alcun modo tale statuizione. In particolare, non spiega perchè sarebbe erronea la statuizione con cui il giudice di merito ha ritenuto il richiedente reo di omicidio, nè perchè avrebbe falsamente applicato il D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 10 e 16.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 184,345,359 e 738 c.p.c..

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato le suddette norme perchè “nel procedere all’assunzione della prova orale del sig. M.M., non ha valutato e non ha indagato in maniera minuziosa ed efficace la storia del ricorrente, violando la convenzione di Ginevra e il protocollo relativo allo statuto dei rifugiati”, nonchè varie ulteriori norme di rango nazionale sovranazionale.

L’illustrazione del motivo prosegue sostenendo che sarebbe stato onere del giudicante attivare d’ufficio i propri poteri istruttori, per accertare la veridicità di quanto riferito dal richiedente.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile per la medesima ragione già indicata con riguardo al primo motivo.

La Corte d’appello, infatti, come già detto, ha rilevato che l’odierno ricorrente, per sua stessa ammissione, aveva riferito di aver commesso un omicidio in patria, ed ha di conseguenza ritenuto in iure che la commissione di un omicidio fosse causa ostativa alla concessione della protezione internazionale.

Poichè dunque il rigetto della domanda di protezione internazionale venne fondato dalla Corte d’appello su una ragione di diritto, non si vede quale ulteriore accertamento istruttorio avrebbe dovuto compiere il giudice di merito.

Il ricorrente, incurante di tale ratio decidendi, si dilunga a sostenere che la Corte d’appello avrebbe malamente formulato il giudizio sull’attendibilità delle sue dichiarazioni.

Ma, a ben vedere, la Corte d’appello non ha affatto ritenuto inattendibile il ricorrente, tanto è vero che ha fondato la propria decisione proprio su una circostanza di fatto (l’omicidio) da lui stesso riferita.

Sicchè nel presente ricorso ci si trova dinanzi alla singolare vicenda di un ricorrente che, avendo riferito di aver commesso un omicidio ed essendo stato creduto su questo punto dal giudice di merito, sostiene che quest’ultimo avrebbe errato non già nel non credergli, ma nel credergli: deduzione, a tacer d’altro, manifestamente infondata ai sensi dell’art. 2733 c.c..

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato il principio di non refoulement, trascurando di considerare l’effettiva situazione del (OMISSIS), e concludendo che “le considerazioni effettuate nella sentenza emessa dalla Corte d’appello di Ancona appaiono quantomeno non congrue con la realtà e la complessità del (OMISSIS)”.

3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni:

-) è puramente assertivo;

-) trascura la ratio decidendi della sentenza impugnata;

-) non indica da quali diverse fonti, rispetto a quelle richiamate dalla sentenza impugnata, risulterebbe l’esistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

4. Con l’ultimo motivo il ricorrente impugna il capo di sentenza con cui è stata rigettata la sua domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Dopo aver premesso un’ampia introduzione nella quale vengono illustrati i principi di diritto che presiedono al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’illustrazione del motivo si conclude con le seguenti parole: “il ricorrente, in Italia dal 2015, ha un lavoro con il quale percepisce una busta paga di quasi Euro 1000 e mensili e ha frequentato un corso di italiano; dunque si è inserito positivamente nel tessuto sociale italiano, pertanto, non può far rientro in una nazione come il (OMISSIS), devastata dalla criminalità e da continui attentati da parte degli integralisti”.

4.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi. La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul presupposto che il ricorrente non avesse “specificamente allegato specifiche situazioni soggettive” (sic) a fondamento della domanda suddetta.

Tale valutazione, giusta o sbagliata che fosse, non viene censurata dal ricorrente.

In secondo luogo se, col motivo sopra trascritto, il ricorrente avesse inteso denunciare l’omesso esame di fatti decisivi, tale censura sarebbe impedita dall’art. 348 ter c.p.c., essendovi stata una doppia conforme nei gradi di merito.

In terzo luogo, se col motivo sopra trascritto il ricorrente avesse inteso denunciare la violazione di una norma di legge (come si legge nell’epigrafe del motivo) la censura sarebbe manifestamente inammissibile, in quanto lo stabilire se una persona si trovi o non si di trovi in una vulnerabilità è un accertamento di fatto, non una valutazione di diritto.

5. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono in astratto i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se risultasse dovuto nel caso specifico.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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