Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15039 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 28/05/2021), n.15039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8864/19 proposto da:

-) A.U.H.M., elettivamente domiciliato a Monte San

Giusto, via Circonvallazione n. 97/A, difeso dall’avvocato Laura

Baldassarrini, in virtù di procura speciale apposta in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato a Roma, via dei Portoghesi n. 12,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 26.11.2018 n.

2644;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.U.H.M., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle minacce, aggressioni e violenze inflittegli dagli abitanti del suo villaggio, adirati con lui perchè, avendo suo padre donato un lotto di terreno affinchè vi fosse costruita una chiesa, lo ritenevano “responsabile” di essersi convertito al cristianesimo.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento A.U.H.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 14 dicembre 2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 26 novembre 2018. Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non si trovava in alcuna condizione idonea a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.U.H.M. con ricorso fondato su cinque motivi.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso contiene due censure.

Con una prima censura (p. 4-5) il ricorrente lamenta la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di cooperazione istruttoria.

Con una seconda censura (p. 6-7) il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente reputato non attendibile il suo racconto, violando in tal modo il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1. Ambedue le censure sono infondate.

Per quanto attiene la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, la ritenuta inattendibilità del richiedente esonerava la Corte d’appello da ulteriori indagini ufficiose sia con riferimento alla domanda di asilo, sia con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Per quanto attiene la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la Corte d’appello il dovere di cooperazione istruttoria lo ha assolto, indicando anche la fonte delle proprie informazioni: nè il ricorrente censura tale punto della sentenza deducendo, ad esempio, che le fonti utilizzate dalla Corte d’appello non fossero attendibili.

1.2. Per quanto attiene, infine, la impugnazione del giudizio di inattendibilità soggettiva, il motivo è puramente assertivo, e contrappone le proprie valutazioni a quella compiuta dalla Corte d’appello.

In ogni caso, per quanto occorrer possa, la decisione della Corte d’appello non solo non ha violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ma ne ha fatto puntuale applicazione, dal momento che ha ritenuto inattendibile una persona la quale ha proposto la domanda di protezione internazionale dopo due anni dal suo arrivo in Italia, senza alcuna plausibile giustificazione di tale ritardo.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Dopo aver ricordato i principi che presiedono al riconoscimento di tale forma di protezione (l’intera pagina 8 del ricorso) il ricorrente conclude affermando che nel caso di specie la Corte d’appello non ha svolto alcun accertamento attuale circa la situazione del (OMISSIS), con specifico riferimento alla regione di provenienza dell’istante ed in ordine a possibili discriminazioni. Nella illustrazione del motivo si aggiunge che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame “l’ulteriore fatto decisivo” rappresentato dall’inesistenza di una adeguata protezione da parte della polizia locale.

2.1. La prima delle due censure appena riassunte è inammissibile, alla luce del principio per cui “chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio” (Sez. 1, Ordinanza n. 22114 del 13.10.2020).

Allegazione che, nella specie, manca del tutto. Il ricorrente infatti, se da un lato si duole che la Corte d’appello ha impiegato fonti non aggiornate, dall’altro lato si limita a riferire che nella regione di sua provenienza sussisterebbe “assoluta criticità ed instabilità conseguente alle azioni terroristiche come si evince dalle più accreditate fonti internazionali (PIPS, EASO, CRSS)”.

Una allegazione, pertanto, del tutto generica, ed inidonea a consentire a questa corte di apprezzare la decisività dell’errore in tesi commesso dalla Corte d’appello.

2.2. Infine, per quanto concerne la censura con cui il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe preso in esame la circostanza della incapacità della polizia locale di proteggerlo, va osservato da un lato che tale doglianza non risulta mai proposta nei gradi di merito; e dall’altro che comunque la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente esonerava la Corte d’appello dall’esaminare tale questione.

3. Col terzo e col quarto motivo (che possono essere esaminati congiuntamente) il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, e comunque trascurato di esaminare fatti decisivi.

Tale violazione sarebbe consistita nel non avere “considerato il serio indizio della fondatezza del timore del ricorrente di subire persecuzioni o il rischio effettivo di subire gravi danni qualora dovesse fare rientro nel paese di origine”.

L’illustrazione del motivo prosegue affermando che l’odierno ricorrente ha già subito minacce, i suoi familiari sono stati uccisi, e tali circostanze costituiscono un indizio dei rischi cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio.

3.1. Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili: innanzitutto perchè lo stabilire se una persona, in caso di rimpatrio, sia o non sia esposta a rischi per la propria incolumità è una questione di fatto, e non di diritto; in secondo luogo perchè la ritenuta inattendibilità del richiedente esonerava la Corte d’appello dal prendere in esame le suddette circostanze; in terzo luogo perchè l’esistenza d’una doppia decisione conforme rende non censurabile in questa sede il vizio di omesso esame del fatto.

4. Con il quinto motivo il ricorrente investe il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe commesso il seguente errore: rigettare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari senza accertare, ed esporre con adeguata motivazione, quali fossero le condizioni del paese d’origine del migrante, e valutare se un eventuale rimpatrio avrebbe potuto esporre quest’ultimo al rischio di una grave violazione dei suoi diritti fondamentali.

4.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile perchè lo stabilire se le condizioni del paese di origine dei richiedenti asilo siano o non siano tali da giustificare un giudizio di “vulnerabilità” costituisce un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto.

Il motivo censura dunque l’omesso esame di un fatto, ma tale censura non è consentita dall’art. 348 ter c.p.c., essendovi stata una doppia conforme nei gradi di merito.

In secondo luogo, quel che più rileva, è che il ricorrente illustra il motivo in esame limitandosi ad esporre dei principi astratti, ma non indica mai, in nessun motivo del ricorso (nè nell’esposizione del fatto, nè nella illustrazione dei motivi) in cosa consista la sua situazione di vulnerabilità; perchè mai dovrebbe ritenersi una persona vulnerabile, quali sarebbero i suoi diritti fondamentali lesi (per di più in modo “grave”) in caso di rimpatrio.

Ma colui il quale invochi, a fondamento della domanda di protezione umanitaria, il rischio di lesione di diritti fondamentali in caso di rimpatrio, “è tenuto ad allegare quantomeno i fatti che sottendono tale rischio, senza che possa ritenersi sufficiente” il richiamo ad espressioni che, “per la loro vaghezza, non sono idonee a definire una vera e propria situazione di privazione dei diritti umani” (così Sez. 1 -, Ordinanza n. 18808 del 10/09/2020, Rv. 658817 – 01).

Il giudice di merito, pertanto, quando sia investito da una domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in tanto è tenuto ad esercitare i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, in quanto “il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato, e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile (…) (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13573 del 02/07/2020, Rv. 658090 – 01).

Per contro, “la mancata allegazione da parte del ricorrente di elementi idonei a far supporre che il rimpatrio possa esporlo alla privazione della titolarità o dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, consente di escludere (…) la sussistenza del dedotto inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2005, art. 8, comma 3, e del principio del beneficio del dubbio emergente dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, i quali presuppongono una puntuale allegazione da parte del richiedente dei fatti costitutivi del diritto azionato” (Sez. 1, Ordinanza n. 22102 del 13.10.2020).

I suddetti principi sono stati affermati e ribaditi da una pletora di decisioni di questa Corte, anche anteriori alla proposizione del ricorso, dalle quali il ricorrente prescinde del tutto (ex permultis, solo per citare le più recenti, Sez. L, Ordinanza n. 24781 del 5.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24463 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24446 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24445 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24444 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24442 del 3.11.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24257 del 2.11.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 22101 del 13.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 22100 del 13.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21927 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21926 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21925 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21923 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21922 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21921 del 9.10.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 18819 del 10.9.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 18816 del 10.9.2020).

5. Ritiene la Corte che le spese del presente giudizio di legittimità debbano essere compensate interamente fra le parti, in virtù della considerazione che il controricorso depositato dall’amministrazione consta di sole 11 righe, del tutto avulse dai contenuti effettivi (e dalle mende effettive) del ricorso.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono in astratto i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se risultasse dovuto nel caso specifico.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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