Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15039 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15039 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 13638-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
195

contro

MANCINI DANILO C.F. MNCDNL77E31H501W, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 17/07/2015

difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 8536/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 29/05/2008 r.g.n. 3631/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

DI CERBO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO

13638.09
Pres.

Udienza 15 gennaio 2015

G. Vidiri
V. Di Cerbo

Est.

Sentenza
La Corte

1.

La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure che aveva
dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con decorrenza
23 novembre 1999, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Danilo Mancini e per
I ‘effetto aveva dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato con la medesima decorrenza ed aveva condannato Poste
Italiane s.p.a. a corrispondere al lavoratore le retribuzioni maturate dalla data di
messa in mora.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato
a quattro motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte territoriale ha in primo luogo rigettato I ‘eccezione, proposta da Poste
Italiane s.p.a., di risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Quanto alla
statuizione concernente l’illegittimità del termine, la Corte di merito ha attribuito
rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato
stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre
1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data
successiva al 30 aprile 1998.

5. Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione degli artt.
1372, primo comma, 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 cod. civ. e dell ‘art. 100 cod.
proc. civ.) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
6.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai
fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di
un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla
stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e
di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione
del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha
ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse
3

Rilevato che:

sufficiente, stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di
valutazione (non potendosi attribuire rilevanza né alla percezione del T.F.R., né alla
circostanza di aver prestato attività lavorativa presso terzi), a far ritenere la
sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale
conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse
in ricorso.
La statuizione concernente l’illegittimità del termine è stata censurata con il
secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali è stata denunciata, con
articolate argomentazioni, violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della
legge n. 2390 del 1962, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1362 e
segg. cod. civ. in relazione all’interpretazione dell’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994
e di altri accordi rilevanti nella fattispecie oltre che vizio di motivazione.
8.

Le censure sono infondate.

9.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla
legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia
per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di
riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;
cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26
luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore
dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla
legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia
ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto
2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come
nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche
con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006
n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in
particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche
qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre
1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le
parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione
aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto
normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile
4

7.

1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre
2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.).
10. La Corte ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11. Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione
di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità
al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e

12. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che
abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di
legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì
necessario che sia stato proposto un motivo di ricorso che investa, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta. Con riferimento alla
disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente
nel giudizio di cassazione presuppone la presenza di motivi di ricorso che investano
specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine.
13. Nella fattispecie in esame, nella quale non sono state proposte censure attinenti
alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva
del termine, il problema dell’applicabilità dello ius superveniens sopra citato non si
pone.
14.11 ricorso va pertanto respinto.
15. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata
in dispositivo. Le spese devono essere distratte in favore dell’avv. Roberto Rizzo,
dichiaratosi antistatario (cfr. memoria ex art. 378 cod. proc. civ.).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3500
(tremilacinquecento) per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge,
con distrazione a favore dell’avv. Roberto Rizzo, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2015.

7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

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