Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15037 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15037 Anno 2014
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 16884-2012 proposto da:
FUTUR CARNI SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA
VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati MARONGIU GIOVANNI, BODRITO
ANDREA giusta delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 02/07/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ape legis;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/2010 della COMM.TRIB.REG.
ckg,114 U stti;2
depositata il 17/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato BODRITO che ha
chiesto un rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia e l’accoglimento del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 24/02/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO

Svolgimento del processo

Con sentenza 17.5.2011 n. 66 la Commissione tributaria della regione

Li3ur.22.
in

riforma della decisione di prime cure ed accogliendo l’appello proposto dall’Ufficio di
Genova della Agenzia delle Dogane ha dichiarato legittimo l’avviso di rettifica con il

importazione di carne congelata da Paesi extracomunitari effettuata nell’anno 2004 e
regolata a tariffa agevolata in base a titoli AGRIM ottenuti indebitamente dalla società.
I Giudici territoriali rilevavano che:
1- Futur Carni s.r.l. unitamente ad altre società -tutte facenti capo ad una medesima ed
unitaria gestione operativa- aveva ottenuto quote del contingente tariffario II° previste dai

reg. CEE n. 754/2002 e n. 780/2003
2- le verifiche condotte dalla Guardia di Finanza avevano evidenziato prove idonee a
dimostrare che la gestione di ben diciannove società, tra cui Futur Carni s.r.1., era di fatto
interamente riconducibile a EUROMEAT s.p.a. ed ai membri della Medesima famiglia
Signori di Castelvetro Piacentino (i collegamenti societari erano dimostrati dalla presenza dei
medesimi soggetti negli organi di governo e gestione delle società, dai contratti di cessione di quote
di partecipazione con patto di ritrasferimento una volta ottenuto il rilascio dei certificati AGRIM,
dalla corrispondenza, anche elettronica, intercorsa tra le società e dagli appunti informali da cui
emergeva che EUROMEAT s.p.a. impartiva ordini e strategie determinando le modalità per
accedere ai contingenti tariffari)

3- i “legami” accertati tra EUROMEAT s.p.a. e le altre società, tra cui Futur Carni s.r.1.,
integravano la condizione ostativa, prevista dai predetti regolamenti comunitari e
dall’art. 143 reg. CEE n. 2454/1993, per l’accesso al rilascio dei titoli AGRIM, con
conseguente indebita fruizione del trattamento daziario agevolato previsto per la
importazione di carni congelate da Paesi extracomunitari, rendendosi pertanto legittimo
l’avviso di rettifica dell’accertamento doganale notificato a Futur Carni s.r.l. avente ad

1
RG n. 16884/2012
FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Cqs est.
livieri
Stef

quale veniva recuperato il dazio dovuto da Futur Carni s.r.l. in relazione ad operazione di

oggetto il maggior dazio dovuto rispetto alla aliquota agevolata illegittimamente
applicata.

Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione Futur Carni
s.r.l. deducendo quattro motivi ai quali ha resistito la Agenzia delle Dogane con
controricorso.

Motivi della decisione

1.

Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11

Dlgs n. 374/1990 e del principio di obbligatorietà del contraddittorio amministrativo
doganale, in relazione all’art. 360co1 n. 3) c.p.c.

1.1

La ricorrente assume la illegittimità degli avvisi di accertamento in rettifica in

quanto non sarebbe stato osservato il principio di assicurazione del preventivo
contraddittorio nella fase antecedente la emissione dell’atto impositivo, che troverebbe
applicazione anche in materia doganale come affermato dalla Corte di Giustizia con
sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, Sopropè.

1.2

La società ricorrente ritiene che il vizio denunciato, anche se non dedotto nei

precedenti gradi di merito, può essere esaminato “ex officio” dalla Corte in quanto con
esso viene fatta valere una violazione del diritto comunitario, conseguente ad una
interpretazione delle norme del CDC fornita con pronuncia del Giudice comunitario,
resa su rinvio pregiudiziale, alla quale va riconosciuta efficacia vincolante per i Giudici
degli Stati membri, configurandosi, quindi, nel caso di specie una ipotesi tipica di “jus
superveniens” direttamente conoscibile del Giudice della controversia in corso.

2
RG n. 16884/2012
ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Con est.
Stefano livieri

La società ha depositato memoria illustrativa.

1.3

Il motivo, da ritenersi ammissibile (la sentenza della Corte di Giustizia è sopravvenuta

• alla decisione di primo grado e, se pure la questione non è stata sollevata in grado di appello dalla
società ricorrente, tuttavia non sussistono preclusioni alla rilevabilità anche di ufficio per la prima
volta in sede di legittimità, essendo tenuto anche il Giudice di ultima istanza a verificare la
compatibilità della norma nazionale con quella comunitaria sopravvenuta risultante dalla sentenza
interpretativa del Giudice UE che opera in modo analogo allo “jus superveniens”: Corte cass. n.

sia in diritto che in fatto, dovendo richiamarsi sul punto gli argomenti già svolti nei
precedenti di questa Corte V sez. in data 9.4.2010 n. 8481 ed in data 13.9.2013 n.
20964, nonchè in data 5.4.2013 n. 8399.

1.4

La doglianza della parte ricorrente è formulata in modo del tutto avulso dalla

disciplina normativa vigente “ratione temporis” occorrendo rilevare che la disciplina
procedimentale di cui all’art. 12 della legge n. 212/2000 non trovava -e non trova-,
comunque, applicazione al procedimento di revisione doganale che è regolato da uno
“jus speciale”.
L’art. 11 comma 7 ed 8 del Dlgs n. 374/1990, nel testo vigente “ratione temporis”,
prevedeva infatti che, quando dalla revisione eseguita d’ufficio dell’accertamento
divenuto definitivo (ancorchè le merci che hanno formato l’oggetto siano state lasciate alla libera
disponibilità dell’operatore o siano già uscite dal territorio doganale) emergono inesattezze,

omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio
procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato
notificando apposito avviso” di rettifica motivato (comma 1, 5 e 6). Entro trenta giorni
dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica ed in tal caso
viene redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale

“ai fini della eventuale

instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie
previsti dagli artt. 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale
approvato con DPR 23 gennaio 1973 n. 43”.

I procedimenti amministrativi cui rinvia

la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio
con il contribuente, atteso che :
3
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ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Cois est.
Stefan
ivieri

11642/2010; id. V sez. 3.4.2013 n. 8060; id. V sez. 5.4.2013 n. 8399) è palesemente infondato,

a) l’art. 66 TU n. 43/1973 prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico
avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di
prova ritenuti utili”
b) dal combinato disposto degli art. 70 u.c. e 76co l del TU n. 43/1973 emerge che
solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso -nel caso di
decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico- si determina la

legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale ex art. 21 Dlgs n. 546/1992
avverso l’atto impositivo.
Il procedimento amministrativo in questione, pertanto, era preordinato a garantire un
contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto alla impugnazione in sede
giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre
tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di
sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela della Amministrazione doganale e quindi
l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica. La decisione del ricorso
amministrativo gerarchico, intesa dalla legge quale condizione per l’acquisto del
requisito di “definitività” dell’avviso di accertamento (nozione che si ricollega alla
distinzione tra “atti amministrativi non definitivi”,

nei confronti dei quali sono esperibili solo i

ricorsi amministrativi, e “atti amministrativi definitivi”

immediatamente impugnabili avanti l’AG,

che trova fondamento nella disciplina del DPR 24.11.1971 n. 1199 e succ. mod., e che differisce
sostanzialmente dalla nozione, propriamente tributaria, di “defìnitività dell’atto impositivo” che
esprime, invece, la “incontestabilità del rapporto obbligatorio tributario”

conseguente alla

mancata impugnazione dell’atto impositivo nel termine di decadenza ovvero al giudicato formatosi
in esito ai ricorsi giurisdizionali proposti avverso l’atto di accertamento impositivo), riconduce il

procedimento contenzioso (quale sub-procedimento eventuale e non necessario)
nell’alveo dell’unitario del procedimento di accertamento tributario doganale, diretto alla
formazione del provvedimento finale che, in quanto atto “definitivo” e quindi produttivo
di effetti lesivi della sfera patrimoniale del contribuente, può da questi essere
immediatamente impugnato avanti il Giudice tributario (in relazione a tale specifico aspetto
della disciplina del procedimento di revisione doganale trovano, pertanto, giustificazione i
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ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Con est.
Stefano livieri

“definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è

precedenti di questa Corte Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 21.4.2008 e Sez. 5, Ordinanza n. 4996 del
2.3.2009 secondo cui “in materia di diritti doganali, la mancanza del procedimento amministrativo
di revisione (di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990) non determina di per sè la caducazione
della pretesa impositiva, se motivata nellman” e nel “quantum”, atteso che – anche alla luce della
giurisprudenza comunitaria – non è rinvenibile nell’ordinamento il diritto soggettivo dell’operatore
ad un previo procedimento amministrativo e al compiuto svolgimento delle sue fasi, una volta che

garanzia della tutela immediata della sfera dei propri diritti”,meglio precisato, in motivazione, nel
secondo arresto in cui si rileva che “l’ufficio procede alla rettifica redigendo “avviso di
accertamento suppletivo e di rettifica” costituente la decisione amministrativa che comunica
l’obbligazione al soggetto passivo (an) con la contabilizzazione “a posteriorrdell’importo dei dazi
ancora dovuti (quantum) e che può essere alternativamente impugnata instaurando l’apposito
procedimento previsto per la risoluzione delle controversie doganali (D.P.R. 23 gennaio 1973, n.
43, artt. 66 e segg.) ovvero promuovendo ricorso giurisdizionale ………ciò nondimeno la mancanza
di quella procedura non renderebbe di per sè illegittima la pretesa fiscale monitoriamente azionata
in assenza di avviso di rettifica [ndr. i#t azionata senza l’osservanza del procedimento
amministrativo di cui all’art. 11 Dlgs n. 374/1990].

Questa Corte ha infatti stabilito (Cass.

19915/06) che la elisione del procedimento amministrativo non porterebbe comunque alla
caducazione ipso iure della pretesa impositiva non essendo rinvenibile nell’ordinamento il diritto
soggettivo del contribuente ad un previo procedimento amministrativo interno ed al compiuto
svolgimento delle sue fasi restando sempre “eventuale” l’instaurazione della controversia
doganale e riservato all’operatore di adire l’autorità giudiziaria per far valere in quella sede le
proprie ragioni a garanzia di una tutela immediata della sfera dei proprio diritti”).

La “specialità” della disciplina normativa dell’accertamento doganale

-con

conseguente inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 212/2000- trova, peraltro, ulteriore

conferma nell’intervento legislativo, modificativo del comma 7 dell’articolo 12 dello
Statuto del contribuente, disposto con l’art. 1 co2 del decreto legge 24.1.2012 n. 1
conv. in legge 24.3.2012 n. 27 che ha eliminato ogni dubbio in proposito, aggiungendo
al predetto comma 7 dell’art. 12 della Legge n. 212/2000 un ulteriore periodo volto a
precisare definitivamente che il procedimento che regola gli accertamenti in materia
doganale è disciplinato in via esclusiva dall’art. 11 Dlgs 8.1.1990 n. 374 (“Per gli
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Stefano ivieri

gli sia riservato di adire l’autorità giudiziaria per far valere in quella sede le proprie ragioni a

accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’art. 34 del Testo
unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973 n. 43, si applicano le disposizione dell’art.
11 del decreto legislativo 8 novembre 1990 n. 374”).
In conclusione, deve ritenersi che il sistema del TU n. 43/1973 , cui rinviava l’art. 11
Dlgs n. 374/1990 nel testo applicabile “ratione temporis”, realizzava, attraverso il

che, in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione
della garanzia del contraddittorio (assimilabile a quella già prevista dall’art. 12 comma 7 legge
n. 212/2000) ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del DL 24 gennaio 2012 n. 1

(art. 1 comma 1) convertito nella legge 24.3.2012 n. 44 che ha introdotto il comma 4 bis
all’articolo 11 Dlgs n. 374/1990, prevedendo che in caso di “revisione di ufficio”, ovvero
all’esito di “accessi — ispezione – verifiche”, all’operatore deve essere, rispettivamente,
notificata ovvero consegnata “copia del verbale delle operazioni compiute”: dalla data
della ricezione della notifica o dalla data della consegna decorre il termine di gg. 30
entro il quale l’operatore interessato “può comunicare osservazioni e richieste……che
sono valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo
comma 5” (e cioè della notifica avviso di rettifica), intervento normativo che è stato
successivamente completato dall’art. 12 comma 1 del decreto legge 2.3.2012 n. 16

conv. in legge 26.4.2012 n. 27 (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni
tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del

comma 7 e parzialmente del comma 6 dell’art. 11 del Dlgs n. 374/1990 e la conseguente
eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale.

1.5 Risulta dunque infondata la censura laddove intenderebbe desumere una ipotetica
incompatibilità tra la disciplina normativa nazionale (art. 11 Dlgs n. 374/1990) e la
pronuncia interpretativa resa in sede di rinvio pregiudiziale dalla Corte di Lussemburgo
in data 18.12.2008 causa C-349/07, considerato che la prima già prevedeva una forma di
garanzia del contraddittorio anticipato con l’operatore doganale.
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ns. est.
Stefa10 Olivieri

procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno,

1.6 Nel caso di specie, peraltro, la fase procedimentale del contraddittorio anticipato è
stata comunque assicurata.
Risulta dagli atti, infatti, che il provvedimento impositivo è stato adottato in esito
alle verifiche eseguite dalla Guardia di Finanza nei confronti di Futur Carni s.r.l. i cui
risultati sono stati compendiati nel PVC in data 1.2.2006, consegnato alla parte
contribuente (come prescritto all’art. 52co4 Dpr n. 633/1972 al quale rinvia l’art. 11co4 Dlgs n.
374/1990 nel testo vigente “ratione temporis”).

Ne segue che, all’esito della verifica fiscale,

la società contribuente è stata comunque messa in grado di esercitare il dritto di difesa
(anche ai sensi dell’art. 12 comma 4 e 7 della legge n. 212/2000),

bene avendo potuto

presentare osservazioni e formulare rilievi nel corso ed al termine delle operazioni di
indagine condotte nei suoi confronti. In proposito la società ricorrente si è limitata
soltanto ad ipotizzare un difetto di instaurazione del contraddittorio in relazione alle
indagini eseguite dalla Guardia di Finanza nei confronti della società “capogruppo”
EUROMEAT s.p.a. (oggetto del PVC in data 27.10.2005) : ma se, per un verso, non
risulta allegato in concreto alcuno specifico pregiudizio al diritto di difesa, non avendo la
società indicato quali elementi di conoscenza dei fatti impositivi non le sarebbero stati
comunicati all’esito delle indagini fiscali, né quali rilievi o nuovi elementi di difesa
avrebbe potuto preventivamente fornire alla Amministrazione doganale, dall’altro verso
la stessa parte ricorrente ha del tutto omesso di riferire se e quali determinanti elementi,
di fatto o di diritto, relativi alle indagini e verifiche condotte dai verbalizzanti nei
confronti della società “capogruppo”, non siano stati trasfusi nel verbale di verifica ad
essa consegnato, e siano stati, invece, “a sorpresa” posti a fondamento della pretesa
fiscale, senza che essa abbia potuto previamente prenderne conoscenza al fine di
esercitare il contraddittorio e spiegare le proprie difese (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n.
6621 del 15/03/2013 in ordine alla natura sostanziale e non meramente formale del pregiudizio che
deve essere conseguito alla lesione del contraddittorio anticipato, in quanto tale suscettibile di
determinare l’annullamento dell’avviso di rettifica doganale).

Nè assume rilievo, al riguardo,

la mancata partecipazione della società contribuente alle attività di verifica svolte nei
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Coì4 est.
Stefan livieri

.

confronti della “capogruppo” EUROMEAT s.p.a.. La netta distinzione tra la “fase delle
. indagini istruttorie” e la “fase del contraddittorio” con il contribuente, è stata
chiaramente messa in evidenza dalla stessa Corte di Giustizia con la sentenza
22.10.2013 causa C-276/12, Sabou, laddove -con riferimento alla acquisizione da parte delle
autorità fiscali di informative rese mediante audizione di terzi residenti in altro Stato membro-

ha

affermato in modo inequivoco che “il rispetto dei diritti di difesa del contribuente, non

Stato membro richiedente allo Stato membro richiesto. Esso non esige nemmeno che il
contribuente sia sentito nel momento in cui le ricerche che possono includere
l’audizione di testimoni sono effettuate nello Stato membro richiesto, nè prima che
quest’ultimo trasmetta informazioni allo Stato membro richiedente”, rimanendo quindi
esclusa la configurabilità di un diritto del contribuente ad essere informato della richiesta
di acquisizione dati , od a partecipare alla formulazione della domanda di assistenza
rivolta allo Stato membro richiesto , o ancora alla audizione dei testi assunti a verbale
delle autorità dello Stato membro richiesto (sent. cit. punti 40-46).
Pertanto se la doglianza della ricorrente deve ritenersi -evidentemente- infondata,
ove volta a lamentare una mancata partecipazione della società “collegata” alle indagini
svolte nei confronti della società “capogruppo” (esulando del tutto tale partecipazione
istruttoria dalla “fase del contraddittorio” ), osserva il Collegio che la censura mossa al

Giudice di appello appare d’altra parte gravemente carente in ordine al requisito di
autosufficienza, laddove fosse intesa a contestare la mancata preventiva conoscenza di
ipotetici presupposti in fatto ritenuti determinanti per fondare la pretesa fiscale rivolta
nei confronti della “collegata”, non essendo stato neppure indicato l’elemento di
indagine determinante del quale la società contribuente non avrebbe avuto preventiva
contezza, nè tanto meno il pregiudizio subito all’esercizio preventivo del diritto di
difesa.
Rileva, inoltre, il Collegio, costituire dato di fatto acquisito ed incontestato nel
processo che l’attività di indagine della Guardia di Finanza ha dato luogo alla
trasmissione di “notitia criminis” ed all’inizio del procedimento penale, per reato di
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Coksf est.
Stefan livieri

esige la partecipazione di quest’ultimo alla richiesta di informazioni inoltrata dallo

contrabbando, nei confronti di amministratori e di rappresentanti legali delle società del
Gruppo avanti il Tribunale Ordinario di Piacenza: tanto è sufficiente ad escludere la
necessità di un autonomo formale procedimento volto alla anticipazione del
contraddittorio con il contribuente, atteso il principio di diritto affermato da questa Corte
secondo cui, nel caso di fatti generatori di imposta per i quali si proceda penalmente,
l’Amministrazione fmanziaria non è tenuta a seguire il procedimento disciplinato

contraddittorio e di esercizio del diritto di difesa del contribuente ricevono assicurazione,
nella massima pienezza, dalle norme processuali penali (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza
n. 20361 del 20/09/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 7836 del 31/03/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 4510
del 21/03/2012).

Con il secondo motivo la società ricorrente impugna la sentenza della CTR per

2.

nullità processuale ex art. 360co l n. 4 c.p.c., avendo omesso i Giudici di merito, in
violazione dell’art. 112 c.p.c., di pronunciare sul motivo di gravame con il quale era
stato dedotto il vizio di legittimità dell’avviso di rettifica, in quanto emesso in difetto
“delle condizioni applicative dell’art. 11 Dlgs n. 374/1990”: sostiene la società
ricorrente che la norma in questione richiede, per procedere alla revisione
dell’accertamento doganale divenuto definitivo, la esistenza di “inesattezze, omissioni
ed errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento” e dunque non può trovare
applicazione nel caso in cui la pretesa del maggior dazio venga ad essere fondata sul
diverso presupposto della asserita partecipazione della società alla assegnazione dei
contingenti tariffari in violazione delle condizioni stabilite dai regolamenti comunitari in
relazione all’art. 143 reg. esec. CDC.

2.1

La CTR ha del tutto omesso di prendere in esame e di decidere sullo specifico

motivo di gravame volto a far valere la nullità dell’atto impositivo opposto.
Il rilevato vizio processuale di omessa pronuncia non determina, tuttavia,
l’accoglimento del ricorso con conseguente rimessione della causa al Giudice di rinvio
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C s. est.
StefaM Olivieri

dall’art. 11 comma 5 ss., Dlgs n. 374/1990, in quanto le esigenze di garanzia del

affinchè pronunci sulla questione pretermessa, allorquando si tratti, come nella specie, di
questione di mero diritto che non richieda ulteriori accertamenti in fatto, in quanto secondo la costante giurisprudenza di legittimità- deve ritenersi consentito a questa Corte, alla

stregua di una interpretazione dell’art. 384co2 c.p.c. costituzionalmente orientata ai
principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art.
111 Cost., non disporre il rinvio della causa in seguito alla cassazione della sentenza

Il sez. 1.2.2010 n. 2313; id. I sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139).

2.2 Tanto premesso il motivo di gravame pretermesso è infondato.

2.3 La interpretazione della norma di diritto indicata in rubrica, fornita dalla parte
ricorrente, intesa a circoscrivere a taluni tassativi vizi della dichiarazione/bolletta
doganale l’esercizio del potere di accertamento degli Uffici finanziari, è meramente
capziosa, non tenendo conto del complesso delle norme che regolano la materia.
In proposito è sufficiente rilevare come la onnicomprensiva formulazione dell’art. 11
co5 Dlgs n. 374/1990 (sostanzialmente riprodotta nell’art. 78, paragr. 3, CDC “quando dalla
revisione.., risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state
applicate in base ad elementi inesatti od incompleti…”)

si estenda a qualsiasi ipotesi di

mancata od inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo ritenersi in essa
unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di calcolo nella liquidazione o di
erronea applicazione delle tariffe” che quelle concernenti “l’erroneo od inesatto
accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”,
originariamente tenute distinte -quanto allo svolgimento del procedimento amministrativodall’art. 84 comma 1 e 4 del TULD (Dpr n. 43/1973), conclusione che trova dirimente
conferma nella disposizione dell’art. 220 paragr. 1 CDC secondo cui si procede al
recupero del dazio risultante da una obbligazione doganale tutte le volte che il relativo
importo “non sia stato contabilizzato …o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore
all’importo legalmente dovuto”, indipendentemente quindi se ciò sia o meno dipeso da
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ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Se

ns. est.
livieri

impugnata, e procedere direttamente alla decisione della causa nel merito (cfr. Corte eass.

un errore od una inesattezza della Amministrazione doganale inerente al calcolo ovvero
inerente alla individuazione e classificazione della merce.
Nella specie la società importatrice ha corrisposto il dazio alla importazione in misura
inferiore all’importo legalmente dovuto (non potendo fruire della agevolazione daziaria
prevista per il contingente in ordine al quale aveva indebitamente ottenuto
l’assegnazione delle relative quote) e tanto basata ad integrare il presupposto che

3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 8, 9 e 10 del reg. CE n.
954/2002 e del reg. CE n. 780/2003, in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c..
Sostiene la società ricorrente che l’esercizio del potere di revisione a posteriori
dell’accertamento doganale divenuto definitivo, implicava comunque la preventiva
revoca dei benefici daziari, competenza riservata, unitamente all’accertamento della
falsità dei titoli AGRIM, in via esclusiva al Ministero delle Attività Produttive, in quanto
organismo emittente dei documenti in questione.

3.1 La censura inerente al mancato previo accertamento della falsità dei titoli AGRIM
non trova alcun fondamento, non essendo dato individuare alcuna norma statale o
comunitaria -né la società ricorrente è stata in grado di indicarla- che espressamente
subordini il recupero del dazio alla previa revoca dei titoli AGRIM, limitandosi le norme
dei regolamenti comunitari a disporre che “il riconoscimento” (che costituisce una
condizione di legittimazione per la presentazione da parte della impresa della domanda di
partecipazione alla assegnazione del contingente tariffario) ed i benefici eventualmente già

accordati in virtù del riconoscimento debbono essere revocati qualora il titolo di
legittimazione sia stato concesso “in base a documentazione falsa o fraudolenta” (cfr.
art. 10 reg. CE n. 954/2002), senza che venga anche disciplinato uno specifico

procedimento per il recupero del maggiore dazio doganale dovuto o vengano individuate
le autorità competenti. E non sussiste dubbio alcuno che, in difetto di specifica norma
derogatoria, nell’ambito dell’ordinamento interno le competenze all’accertamento,
11
RG n. 16884/2012
ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Co est.
Stefan Olivieri

legittima l’accertamento in revisione della dichiarazione doganale a posteriori.

liquidazione e riscossione dei dazi, anche se concernenti la importazione di merci
relative a contingentamento tariffario, spettino in via esclusiva alla Autorità doganale
(Agenzia delle Dogane).
Il motivo si palesa, peraltro, pretestuoso ove si consideri che al tempo della emissione
degli avvisi di accertamento in rettifica, la revoca del “riconoscimento” non era più
attuabile, avendo partecipato le società del Gruppo all’assegnazione delle quote del

utilizzando i titoli AGRIM che, pertanto, erano stati restituiti all’organismo emittente.

4. Con il quarto motivo la società denuncia il vizio di insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo ex art. 360co l n. 5 c.p.c.
La società sostiene che i Giudici di merito non avrebbero fatto alcun accenno nella
motivazione agli elementi probatori determinanti, addotti dalla società, quali, in
particolare, la lettera in data 5.12.2005 del Ministero delle Attività Produttive e la
sentenza penale di non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste emessa dal GUP del
Tribunale di Piacenza in data 24.6.2009, procedimento nel quale era stata depositata una
perizia di parte redatta dal dott. Fada “attestante l’autonomia e l’indipendenza di tutte le
società coinvolte”.

4.1 H motivo è inammissibile, non essendo stato specificato dalla parte ricorrente il
requisito di decisività delle prove il cui esame il Giudice di merito avrebbe pretermesso.

4.2 Premesso che il Giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento
dalle risultanze probatorie che ritenga più attendibili ed idonee, essendo sufficiente, ai
fini della congruità della relativa motivazione, che risulti che l’accertamento dei fatti si
sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio,
considerati nel loro complesso, la quale non richiede la discussione di ogni singolo
elemento o la confutazione di tutte le deduzioni difensive (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza
n. 5235 del 09/04/2001; id. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007; id. Sez. 1, Sentenza n.
12
RG n. 16884/2012
ric. FUTLTR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Co . est.
Stefan livieri

contingente tariffario ed avendo già eseguito le relative importazioni della merce,

5229 del 04/03/2011),

difetta del tutto il requisito di “decisività” del fatto probatorio

omesso od inesattamente valutato dal Giudice, occorrendo ai fini della ammissibilità
della censura ex art. 360co l n. 5 c.p.c. che la prova od il documento pretermesso sia tale
da inficiare la ricostruzione dei fatti compiuti dal Giudice di merito determinando un
quadro probatorio idoneo, da un lato, a demolire le ragioni poste a fondamento della
decisione impugnata e dall’altro a sovvertire con grado certezza l’esito del giudizio in

Tale requisito difetta del tutto nel caso di specie in quanto:

– la lettera in data 5.12.2005 del Ministero delle Attività Produttive si limita a
rilevare come al momento della presentazione delle domande di registrazione,
dalla “documentazione notarile” relativa all’assetto societario delle società non
emergevano elementi di sospetto circa un collegamento societario: ebbene risulta
evidente come l’esame meramente documentale condotto dal Ministero non
appaia affatto incompatibile ed anzi trovi logico riscontro nell’assunto
motivazionale della sentenza tributaria secondo cui la documentazione prodotta
dalle società al Ministero occultava la effettiva situazione di collegamento
societario emersa successivamente dalle indagini (riferibilità delle partecipazioni
societarie ai membri della medesima famiglia Signori; corrispondenza informatica ed
appunti tra le società e la capogruppo Euromeat s.p.a. da cui emergeva che tale società
controllava le satelliti)

– la mera invocazione della formula assolutoria della sentenza penale -che anche se
irrevocabile non spiega alcuna efficacia vincolante automatica nel giudizio tributario-

appare del tutto inadeguata (in difetto di specifica e puntuale indicazione degli accertanti
in fatto dimostrativi della assenza di un collegamento societario) a fornire quella prova

decisiva cui è subordinata la ammissibilità del motivo con il quale si denuncia il
vizio ex art. 360co 1 n. 5 c.p.c.. Ed infatti, tenuto conto che “nessuna automatica
autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla
13
RG n. 16884/2012
tic. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

C
Stef

. est.
Olivieri

senso favorevole alla ricorrente.

sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di
reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali
l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del
contribuente” e che pertanto “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare
l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone
automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio

condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti(art. 116 cod.
proc. civ), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui

esso è destinato ad operare” (cfr. Corte cass. V sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte
cass. V sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n.
10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 n. 1014

in materia di fatturazione per

operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze
fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione di quei fatti-;
id. 17.2.2010 n. 3724; id. 8.10.2010 n. 20860; id. 27.9.2011 n. 19786; id. 23.5.2012 n.
8129), ne segue che, corrispondentemente, anche il contribuente che intenda

avvalersi nel giudizio tributario della pronuncia penale concernente fatti rilevanti per

la obbligazione tributaria a lui favorevole, non può limitarsi ad invocare, con il

motivo di ricorso, la applicazione di tale pronuncia, ma è tenuto, per non incorrere
nella dichiarazione di inammissibilità della censura, ad esplicitare quali tra i fatti
materiali accertati in sede penale debbano ritenersi determinanti ai fini
dell’accertamento da compiersi nel giudizio tributario

stessa sorte deve riservarsi anche alla “perizia contabile” depositata nel giudizio
penale: nella esposizione del motivo la parte ricorrente si limita esclusivamente ad
affermare che il Giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze di tale atto.
Orbene, indipendentemente dalla inefficacia probatoria di un documento a
contenuto valutativo formato ad iniziativa della stessa parte che intende
avvalersene, qualora in ipotesi dalla perizia fossero emersi fatti non contestati
dalla Amministrazione doganale -e tali da potersi pertanto ritenersi dimostrati in
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RG n. 16884/2012
ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Cons. st.
Stefano tvieri

tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della

giudizio-, bene avrebbe allora dovuto la parte ricorrente individuarli in modo

chiaro e preciso, specificandone il carattere dirimente sotto il profilo probatorio,
in quanto idonei ad escludere i “legami” di cui all’art. 143 reg. CEE n. 2454/1993
o comunque tali da inficiare la precisione e congruenza delle altre prove
valorizzate dalla CTR (cessione di quote con patto di ritrasferimento; identità delle
persone titolari degli organi di gestione delle diverse società; corrispondenza informatica da

detenzione diretta ed indiretta da parte dei membri della medesima famiglia delle
partecipazioni societarie) ai fini dell’accertamento della organizzazione del sistema

fraudolento di riconoscimento delle quote dei contingenti di importazione oltre i
limiti consentiti dai regolamenti comunitari. Non avendo la ricorrente assolto a
tale onere rimane preclusa ogni ulteriore verifica da parte della Corte della
decisività della prova.

5. La parte ricorrente nella memoria illustrativa depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
ha prospettato la esigenza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art.
267 TFUE di una serie di questioni relative alla interpretazione dell’art. 143 reg. CEE n.
2454/1993, dell’art. 220 reg. CEE n. 2913/1992, degli artt. 9 e 10 reg. CE n. 954/2002.

5.1 Premesso che “secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione
tra la Corte e i giudici nazionali, stabilita dall’art. 267 TFUE, spetta esclusivamente al
giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la
responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolari circostanze della causa dinanzi ad esso pendente, sia la necessità di una
pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la
rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte” (cfr. sentenze Corte di giustizia 14
dicembre 2006, causa C-217/05, Confederación Espariola de Empresarios de Estaciones de
Servicio, punto 16; id. 2 aprile 2009, causa C-260/07, Pedro IV Servicios, punto 28: id.
7.12.2010, causa C-439/08, VEBIC, punto 41: ed è appena il caso di rilevare che fin dalla
sentenza della Corte giustizia 6.10.1982 causa C-283/81, CILFIT s.r.1., punto 10 -avente ad

15
RG n. 16884/2012
ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

cui risultavano le determinazioni operative dettate da Euromeat s.p.a. alle altre società;

oggetto la interpretazione dell’art. 177 del Trattato CE di Roma del 1957, trasfuso nell’art. 234 del
Trattato UE di Maastricht del 1992, e quindi nell’attuale art. 267 del TFUE- è stato chiarito che
l’obbligo” di rimessione della questione pregiudiziale statuito nei confronti del giudice nazionale
le cui decisioni non siano impugnabili nell’ordinamento interno, non implicava una “deminutio”
rispetto all’ambito di discrezionalità riservata agli giudici nazionali in ordine alla valutazione della
necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla questione di interpretazione delle norme comunitarie

Corte una questione di interpretazione delle norme comunitarie sollevata dinanzi ad essi se questa
non è pertinente, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in
alcun modo influire sull’esito della lite”), e premesso che tale verifica di rilevanza appare

tanto più pregnante alla stregua della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia
secondo cui questa “può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale
sollevata da un giudice nazionale quando, in particolare, risulta manifestamente che
l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta dal giudice nazionale non ha alcuna
relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale…” (cfr. Corte giustizia
sentenza 7 gennaio 2003, causa C-306/99, BIAO punto 89, sentenza 7 dicembre 2010, causa
C-439/08, VEBIC, punto 42; id. sentenza 20.10.2011, causa C- 396/09, Interedil s.r.l. in liq.,

punto 23; id. sentenza 5 luglio 2012, Geistbeck, C-509/10, punto 48),

osserva il Collegio

quanto segue.

5.2 Con le prime due questioni e con la sesta questione pregiudiziale la società intende
richiedere al Giudice di Lussemburgo se la nozione di “legame” prevista dall’art. 143
reg. esec. CDC sia tassativa, dovendo quindi essere escluse ipotesi diverse da quelle
espressamente considerate dalla norma, e se “una situazione quale quella oggetto della
presente causa e dianzi descritta possa essere ricondotta ad una o più di quelle elencate
dal predetto art. 143”. Inoltre se i principi di libertà d’impresa e di proporzionalità
impongano di interpretare restrittivamente la norma comunitaria nel senso che la
limitazione dalla stessa stabilita debba applicarsi soltanto ai casi in essa espressamente
previsti.

16
RG n. 16884/2012
ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

ons. est.
Stetfto Oivieri

sollevata da una della parti in giudizio: “…tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre alla

I quesiti non appaiono rilevanti ai fini della decisione in ordine alla concreta
fattispecie controversa, in quanto sono fondati su un assunto di fatto indimostrato, e cioè
che nel caso concreto il Giudice di merito abbia accertato un “legame” non ricompreso
tra le ipotesi contemplate dalla norma comunitaria.
La società non fornisce alcuna indicazione di tale “ipotesi diversa di legame”,
limitandosi ad insistere, nella memoria, sulla asserita assenza di elementi probatori

forma di questione pregiudiziale un accertamento di mero fatto che concerne la attività
di valutazione probatoria riservata al Giudice di merito. Non è supportata, infatti, da
alcuna specificazione dei passaggi motivazionali della sentenza di appello ovvero dalla
indicazione di altri elementi circostanziali, l’allegazione secondo cui “il Giudice di
appello. ..ritiene di potere interpretare l’art. 143 in via estensiva, individuando dunque
ipotesi di legame che non sono previsti dalla norma…” (cfr. memoria pag. 16).
Il Giudice di merito ha ritenuto sussistere la condizione ostativa alla assegnazione di
quote del contingente tariffario ritenendo provato che tutte le società satelliti, tra cui
anche Futur Carni s.r.1., facevano parte di un gruppo riconducibile, in virtù di accordi
fiduciari stipulati con gli amministratori di dette società, ai membri della medesima
famiglia Signori, i quali risultavano essere di fatto gli effettivi gestori delle attività svolte
dalle società del gruppo, che esercitavano i poteri direzionali anche attraverso la capofila
EUROMEAT s.p.a. alla quale veniva ceduta dalle società collegate la merce importata a
dazio agevolato, come emergeva dai dati rinvenuti negli archivi informatici (e-mail,
appunti, ecc.) ed acquisiti dai verbalizzanti, che evidenziavano assetti e strategie volti ad
aggirare il rispetto delle disposizioni vigenti in materia doganale. Ne segue che,
comunque si riguardi la vicenda in questione, l’accertamento del “legame” compiuto dai
Giudici di merito, integra tanto la ipotesi contemplata dall’art. 143 paragr. 1, lett. g) reg.
CEE n. 2454/1993, ove si consideri che attraverso i detti “accordi fiduciari”, le persone
appartenenti alla famiglia Signori controllavano insieme indirettamente gli
amministratori delle società del gruppo; quanto la ipotesi contemplata dalla lettera h)
della medesima norma, ove il “legame” debba intendersi riferito ai nessi intercorrenti tra
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Stef

ns. est.
vieri

dimostrativi di tale “legame” ex art. 143 reg. esec. CDC, venendo quindi a travestire in

gli stessi membri della famiglia Signori ai quali era riconducibile la gestione della
società del gruppo.
E’ dunque infondata l’asserzione della società secondo cui la CTR avrebbe applicato
la norma comunitaria oltre i casi in essa previsti,/ e l conseguentemente/ risultano
manifestamente irrilevanti le questioni pregiudiziali prospettate in ordine alla tassatività

5.3 Tanto la terza, quanto la quarta questione pregiudiziale (con le quali si chiede se lo
scopo dell’art. 9 reg. n. 954/2002 sia quello di ammettere al contingente solo “veri importatori”, e se
l’art. 10 del medesimo regolamento legittimi la revoca dei benefici per la sola esistenza di un
“legame” ex art. 143 reg. 2454/93) appaiono anch’esse manifestamente irrilevanti in quanto:

a) per un verso non è oggetto di controversia la “ratio legis” delle limitazioni previste
dal regolamento comunitario che disciplina il contingente, non essendo posto in dubbio
dalla CTR che allk assegnazione delle quote possono partecipare soltanto “veri
d,r1
importatori” (cfr. tredicesimo considerandop‘ n. 954/2002: il vero importatore “deve essere
pertanto attivamente impegnato nell’acquisto, nel trasporto e nella importazione delle carni
congelate”): la CTR non ha, infatti, negato che Futur Carni s.r.l. avesse effettivamente

realizzato le operazioni di introduzione della merce assumendo la qualità di importatore,
ma ha ritenuto piuttosto che tale società non avesse titolo a partecipare alla assegnazione
delle quote, perchè doveva essere considerata operatore economico non autonomo ma
“fittizio” (cfr. sesto e settimo considerando), avendo agito non in proprio ma secondo le
direttive e nell’interesse della società capofila, e comunque avendo presentato domanda
di assegnazione quote in relazione di “legame” ai sensi dell’art. 143 reg. 2454/93 con le
altre società del gruppo che avevano presentato analoghe domande; -ta decisione della
CTR non è dunque intervenuta ad escludere la qualità di importatore di Futur Carni s.r.1.,
ma piuttosto ad accertare che la società non aveva agito esclusivamente in proprio ed
aveva partecipato alla assegnazione delle quote sebbene “legata” ad altri operatori
assegnatari

18
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dell’elenco contenuto nell’art. 143 reg. esec. CDC.

b) anche la questione concernente la individuazione dei presupposti normativi che
legittimano la revoca dei benefici è irrilevante: premesso che la tesi sostenuta dalla
società porterebbe all’assurda conseguenza che solo se la documentazione sia falsa o
fraudolenta può essere disposta la revoca del riconoscimento e dei benefici, mentre se
risulta accertata, dopo l’assegnazione delle quote, la esistenza di un “legame” (che se
scoperto al momento della presentazione delle domande avrebbe comportato il rigetto delle

appena il caso di osservare che nel caso concreto non è stato adottato dal Ministero delle
Attività Produttive alcun provvedimento di revoca, sicchè la questione interpretativa che
dovrebbe essere prospettata al Giudice comunitario sarebbe comunque priva di qualsiasi
incidenza sulla decisione adottata dalla CTR e sul regolamento da applicare al rapporto
obbligatorio dedotto in giudizio.

5.4

La quinta questione pregiudiziale (che involge la interpretazione della disposizione

dell’art. 220 parag. 2, lett. b), del reg. CEE n. 2913/1992 nel testo modificato dal reg. CE n.
2700/2000) è inammissibile in quanto introduce una questione del tutto nuova che esula

dall’oggetto del giudizio devoluto alla cognizione dei Giudici di merito, interamente ed
esclusivamente incentrato sulla applicabilità alla fattispecie concreta delle condizioni
ostative al riconoscimento di operatore legittimato a conseguire i titoli AGRIM,
rimanendo pertanto preclusa alla parte ricorrente, in considerazione dei limiti entro cui
deve svolgersi il sindacato di legittimità, la possibilità di un surrettizio ampliamento del
“thema decidendum” attraverso lo strumento della questione pregiudiziale ex art. 267
TFUE. La questione, peraltro, non risulta neppure argomentata dalla società, non
essendo dato individuare a quale asserito errore della PA sarebbe da ricondurre
l’incolpevole violazione della legge da parte del’importatore: a fronte di un accertamento
di cogestione e di riferibilità ai medesimi soggetti delle società satelliti partecipanti alla
assegnazione del contingente tariffario, non è dato comprendere, infatti, in relazione a
quale situazione di fatto dovrebbe configurarsi la buona fede della società ricorrente.

19
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ric. FUTUR CARNI s.r.l. c/Ag.Dogane

Co.i est.
livieri
Stefan

domande) i benefici daziari illegittimamente acquisiti non sarebbero più recuperabili, è

5.5

La settima questione pregiudiziale (se i principi di libertà d’impresa e proporzionalità

. • impediscano la revoca dei benefici già concessi “per il solo fatto della presunta esistenza di legami
non meglio identificati e comunque diversi da quelli espressamente previsti dall “art. 143” anche in
considerazione del venire meno di tale condizione limitativa a seguito della emanazione del
successivo regolamento comunitario), per un verso va incontro allo stesso giudizio di

irrilevanza formulato sopra per le questioni prima, seconda e sesta, non essendo

comunitaria da parte del Giudice di appello; per altro verso si palesa non decisiva
laddove riconosce che la limitazione di cui all’art. 143 reg. esec. CDC era espressamente
prevista dal reg. CE n. 954/2002 e dal reg. CE n. 780/2003, non trovando applicazione
alla fattispecie controversa il reg. CE n. 1203/2004 che non contiene analoghe
disposizioni limitative (tale regolamento, prendendo atto che i precedenti regolamenti non erano
riusciti ad impedire comunque attività speculative da parte degli operatori, ha introdotto un diverso
metodo di gestione “basato su un criterio che valuti i risultati delle importazioni in modo da
garantire che il contingente sia attribuito a operatori professionisti in grado di importare carni
bovine senza indebite speculazioni”: terzo considerando).

5.6

La richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia delle questioni pregiudiziali, come

sopra formulate, deve essere pertanto rigettata.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente condannata alla
rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte :
– rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente
giudizio liquidate in E 8.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso nella camera di consiglio 24.2.2014

argomentata in alcun modo la ipotizzata applicazione estensiva od analogica della norma

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