Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15032 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. III, 28/05/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 28/05/2021), n.15032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9331/2018 proposto da:

F.lli A. S.n.c., in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Appia Nuova n. 59 presso

lo studio dell’avvocato Miceli Fabrizio che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Cancellier Enrico, Liberati Enrico;

– ricorrente –

contro

R.R., domiciliato in Roma, presso la cancelleria civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

Alessandri Cristiano;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2051/2017 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal consigliere relatore Cristiano Valle, osserva quanto

segue.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I) La Società in nome collettivo F.lli A. convenne in giudizio, dinanzi il Tribunale di Treviso, l’avvocato R.R., chiedendone l’accertamento della responsabilità professionale con riferimento ad una causa di risarcimento danni da essa proposta nei confronti della Banca nazionale del Lavoro S.p.a., Sezione di credito industriale, e decisa per essa con statuizione di inammissibilità del ricorso in cassazione, per mancata impugnazione di un’autonoma ragione del decidere, dopo che in primo grado lo stesso Tribunale di Treviso le aveva riconosciuto il risarcimento dei danni nella misura di dieci miliardi di lire e la Corte di Appello di Venezia, su impugnazione della Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., aveva, riformato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda proposta dalla detta società.

I.1) La società F.lli A. S.n.c. deduceva il verificarsi di pregiudizi nella propria sfera patrimoniale – conseguenti alla mancata idonea impugnazione, da parte dell’avvocato R., suo legale in detto procedimento giudiziario (cd. presupposto), della sentenza d’appello, condotta a causa della quale la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione – consistiti nel mancato risarcimento dei danni in relazione alla predetta complessa fattispecie di finanziamento da parte della BNL S.p.a., Sezione credito industriale.

I.2) Nel contraddittorio delle parti il Tribunale di Treviso ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla società F.lli A., in nome collettivo, nei confronti del legale.

I.3) La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 2051 del 26/09/2017, ha rigettato l’impugnazione.

I.4) Avverso la detta sentenza d’appello propone ricorso di legittimità, con atto affidato a tre motivi, la F.lli A. S.n.c.

I.5) Resiste con controricorso l’avvocato R.R..

I.6) Il P.G. non ha depositato conclusioni.

I.7) La sola parte controricorrente ha depositato memoria nel termine di legge.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

M I motivi di ricorso proposti dalla società ricorrente censurano come segue la sentenza d’appello.

II.1) Il primo mezzo propone vizio di violazione degli artt. 1176,2236 e 2909 c.c., con riferimento alla ritenuta scusabilità dell’errore dell’avvocato R. e al fatto che già vi fosse un giudicato in punto di gravità dell’errore commesso dal legale, da parte di questa Corte, errore che aveva comportato la mancata cassazione della sentenza d’appello nel giudizio presupposto, con rinvio a altro giudice.

II.2) Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., “in relazione all’oggetto del sindacato demandato alla S.C. nel giudizio promosso dalla ricorrente verso B.N.L., circa l’an della responsabilità dell’Istituto di credito”, nonchè per omesso esame di fatto decisivo.

II.3) Il terzo motivo deduce, infine, violazione degli artt. 40 e 41 c.p., “in relazione all’oggetto del sindacato demandato alla S.C. nel giudizio promosso dalla ricorrente contro B.N. L., circa il quantum del danno subito dalla A., fondato su conteggi immediatamente percepibili e su documentazione versata in atti” e omesso esame di fatti (nella specie documenti) decisivi.

III) I tre mezzi di cui al ricorso possono essere unitamente scrutinati, in quanto strettamente connessi.

III.1) I tre motivi sono tutti formulati promiscuamente, ossia alternando e congiungendo prospettazioni in diritto a allegazioni in fatto e, complessivamente considerati, non si confrontano adeguatamente nè con le statuizioni della sentenza impugnata, nè con la giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile dell’avvocato, e segnatamente non si fanno carico di evidenziare compiutamente il nesso causale tra condotta, asseritamente omissiva, del professionista legale ed esito dell’impugnazione dinanzi questa Corte.

III.2) Con riferimento al primo profilo, la sentenza in scrutinio ha affermato che nelle cause di responsabilità professionale nei confronti di esercenti la professione legale non è consentito al giudice ripercorrere il giudizio in cui la condotta connotata da negligenza o imperizia si sia verificata e deve, quindi, procedersi all’accertamento del nesso causale sulla base del principio controfattuale.

La stessa sentenza d’appello ha, poi, affermato che la consulenza tecnica di ufficio, espletata in secondo grado nel giudizio presupposto, lasciasse margini di dubbio in ordine alla probabilità che la B.N.L. S.p.a., Sezione per il credito industriale, fosse la parte inadempiente e che, in ogni caso, la misura del risarcimento dei danni accordata dal Tribunale di Treviso alla F.lli A. S.n.c. era avulsa da parametri intellegibili e comunque controllabili.

Le dette statuizioni della sentenza d’appello non sono adeguatamente contrastate dalla censura della società qui ricorrente, che si limita a contrapporre una diversa lettura dei dati della consulenza tecnico contabile di ufficio espletata nel giudizio presupposto e soprattutto non evidenzia adeguatamente in quale profilo il comportamento dell’avvocato R., in sede di legittimità, sarebbe stato mancate, atteso che la decisione di questa Corte, resa con la sentenza del n. 07648 del 28/03/2007, d’inammissibilità dell’impugnazione avverso la sentenza d’appello nel giudizio cd presupposto, era relativa ad un’inammissibilità non derivante da mancata impugnazione in senso tecnico, ossia di tardiva proposizione della stessa, bensì di inadeguatezza dell’apparato censorio prospettato dinanzi ad essa. Con ciò viene a cadere anche la prospettazione in senso di accertamento, con forza di giudicato, dell’errore commesso dall’avvocato R..

III.3) Il secondo e il terzo motivo, relativi uno all’an e l’altro al quantum del risarcimento, non sono adeguatamente prospettati, laddove essi partono dal presupposto che l’impugnazione in punto di criterio di buona fede e correttezza da parte dell’avvocato R., ove proposta, avrebbe certamente condotto ad un esito vittorioso, quando, viceversa, è noto quanto siano opinabili le conseguenze di azioni che hanno a fondamento la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ed omettono di considerare che la scelta dell’apparato censorio da predisporre rientra normalmente nell’ambito della discrezionalità propria del professionista legale (Cass. n. 11906 del 10/06/2016 Rv. 640093 – 01).

I due mezzi omettono, inoltre, di valutare adeguatamente il percorso motivazionale della Corte di Appello di Venezia, nella sentenza qui gravata, dove viene richiamata la sentenza della stessa Corte nel giudizio cd. presupposto che afferma testualmente: “Nondimeno ai suddetti fini delibativi, non può non essere rilevato che la Corte di appello nel riformare la sentenza del Tribunale n. 1371/2000 che aveva accordato alla società F.lli A. S. n. c. tutela

risarcitoria, ha avuto modo di apprezzare come il primo Giudice non aveva espresso alcuna efficace motivazione circa le risultanze del disposto elaborato tecnico, pervenendo inoltre auna quantificazione del danno riconosciuto alla odierna appellante del tutto svincolato da intelligibili parametri economico-finanziari, tanto da appalesarsi apodittica”. La detta affermazione sorregge la motivazione della sentenza di questa Corte, in punto di mancata impugnazione del criterio adottato dal giudice di primo grado nella liquidazione dei danni e, a fronte della motivazione di legittimità resa, l’esito dell’impugnazione in punto di liquidazione dei danni è solo in via di mera ipotesi. Ossia di sola possibilità, prospettabile come positivo.

III.4) Con riferimento al secondo profilo, l’impostazione complessiva del ricorso, che, come sopra scritto, è composta in gran parte dalla riproposizione di atti delle fasi di merito, non si confronta in alcun modo con la giurisprudenza di questa Corte in materia, che, viceversa, risulta adeguatamente richiamata dalla Corte territoriale (e segnatamente con Cass. n. 02638 del 05/02/2013 Rv. 625017 – 01): “La responsabilità dell’avvocato – nella specie per omessa proposizione di impugnazione – non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.” e (Cass. n. 02836 del 26/02/2002 Rv. 552590 01) “Le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale

sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Ne deriva che l’inadempimento del professionista (nella specie: avvocato) alla propria obbligazione non può essere desunto, “ipso facto”, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale e, in

particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2 – parametro da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata -, sicchè, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente (nella specie, del giudizio di appello), il danno derivante da eventuali sue omissioni (nella specie, tardiva proposizione dell’impugnazione) intanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri (necessariamente) probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (nella specie, il gravame, se tempestivamente proposto, sarebbe stato giudicato fondato), secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.”.

III.5) Deve, peraltro, rilevarsi che il secondo e il terzo motivo del ricorso della S.n.c. F.lli A., adducono anche censure di omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alle quali emerge, come esattamente fatto rilevare in memoria dall’avvocato R., un profilo di inammissibilità di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non risultando prospettato, nell’atto d’impugnazione, alcun fatto diverso da quelli sui quali l’esame giudiziale è stato già condotto (semmai può discorrersi di diverso apprezzamento di atti, quali la consulenza tecnica di ufficio espletata in fase d’appello nel giudizio cd. presupposto).

IV) Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato.

V) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

VI) Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte Sez. U. n. 04315 20/02/2020) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. n. 05955 del 14/03/2014; tra le innumerevoli altre successive: Sez. U n. 24245 del 27/11/2015) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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