Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15029 del 16/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 16/06/2017, (ud. 16/05/2017, dep.16/06/2017),  n. 15029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28851/2010 R.G. proposto da:

Do.Ci. di F.S. & C. s.a.s., rappresentata e difesa

dall’Avv. Ilario Lo Giudice, con domicilio eletto in Roma, viale

Mazzini, n. 121, presso lo studio dell’Avv. Maria Guarino;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, n. 221/21/09 depositata

il 19 ottobre 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio

2017 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che la Do.Ci. di F.S. & C. s.a.s. propone ricorso per cassazione, con tre mezzi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che non svolge difese nella presente sede), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, ha accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo legittimo l’avviso di recupero del credito d’imposta previsto dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 per nuovi investimenti in aree svantaggiate, notificato alla contribuente a causa dell’omesso invio del c.d. modello CVS;

considerato che con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 149 c.p.c.: nullità dell’avviso di recupero del credito d’imposta quale conseguenza dell’inesistenza giuridica della notifica” e ciò in ragione della erronea collocazione topografica della relata sul frontespizio anzichè in calce all’atto;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce altresì la nullità della notifica dell’atto d’appello, discendente dalla inosservanza delle medesime norme processuali, per essere stata anche per esso la relata di notifica apposta sul frontespizio dell’atto e non in calce ad esso;

che con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 2, in relazione alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, nonchè difetto di motivazione, per avere il giudice a quo ritenuto legittimo l’avviso di recupero d’imposta nonostante lo stesso fosse stato emesso in data tale da non consentire al contribuente di disporre, rispetto alla prevista scadenza del 28/2/2003, del termine di 60 giorni previsto dalla prima delle citata disposizione;

osservato preliminarmente che la controversia, ancorchè avente ad oggetto atto di recupero di credito d’imposta a carico di una società di persone, non impone il litisconsorzio necessario nei confronti dei soci nella prospettiva di cui a Cass. Sez. U. n. 14815 del 2008;

che, invero, come è già stato evidenziato nella giurisprudenza di questa Corte – mentre l’atto di accertamento (così come ogni altro atto impositivo) incide immediatamente sull’imponibile (recuperandone quote) e solo mediamente sull’imposta, sicchè, avendo ad oggetto imposizione Ilor o Irap a carico di società di persone, si riflette automaticamente, “per trasparenza” D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5 sull’imposizione Irpef a carico dei soci – l’atto di recupero di credito d’imposta, di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 incidendo (al pari dell’agevolazione che tende a revocare) direttamente sull’imposta, come (in funzione dell’imponibile) già specificamente definita nei confronti della società, e su di essa esclusivamente gravante, non comporta interferenza alcuna sulla situazione impositiva dei soci (v. Cass. 26/11/2014, n. 25119);

ritenuto che è inammissibile il primo motivo di ricorso, trattandosi di doglianza che non risulta dedotta nel giudizio di merito;

che al riguardo è appena il caso di rammentare che, secondo orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787);

che ne discende che il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 31/01/2006, n. 2140);

ritenuto che è poi infondato il secondo motivo di ricorso;

che, invero, come precisato dagli stessi precedenti citati dalla ricorrente a supporto della svolta doglianza (Cass. 21/03/2007, nn. 6749 e 6750), la norma di cui all’art. 148 c.p.c. (la quale dispone che “l’ufficiale giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto”) è dettata a presidio dell’attività di notificazione degli atti, ossia della regolare consegna di copia integrale degli stessi, in conformità all’originale;

che in particolare la prevista collocazione topografica della relata in calce alla copia dell’atto notificato, ha la funzione, garantistica, di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale Giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale dell’atto, ratio che a sua volta giustifica la presunzione di completezza della copia dell’atto notificato superabile solo attraverso l’impugnazione della relata medesima con querela di falso (v. Cass. 06/08/2004, n. 15199);

che ne discende che, ove la completezza e conformità della copia dell’atto notificato all’originale non sia comunque contestata o risulti comunque aliunde – come accade nel caso di specie, nel quale detti requisiti sono documentalmente dimostrati dalla stessa copia dell’atto notificato prodotta in allegato al ricorso – la nullità che deriva dalla non corretta esecuzione di detto adempimento formale deve ritenersi sanata dal raggiungimento dello scopo per cui lo stesso è previsto;

ritenuto che è altresì infondato il terzo motivo di ricorso;

che, invero, come più volte affermato da questa Corte con orientamento consolidato, l’imprenditore ammesso a beneficiare, ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 8dei contributi, concessi sotto forma di credito d’imposta, per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate del Paese, decade da tale beneficio ove abbia omesso di presentare (come previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 62, comma 1, lett. a)), nel termine del 28 febbraio 2003, la comunicazione telematica avente ad oggetto le informazioni sul contenuto e la natura dell’investimento effettuato (c.d. modello CVS), essendo il suddetto termine previsto dall’art. 62 cit. a pena di decadenza e non avendo, altrimenti, alcun senso la sua previsione ove il beneficio del contributo fosse subordinato alla realizzazione dell’investimento e non anche all’invio della comunicazione telematica (v. ex multis Cass. 23768/2013; 10772/2013; 2232/2013; 19692/2012; 3578/2009; cfr. anche Corte cost., ord. 24 marzo 2006, n. 124, secondo la quale, per le esigenze di tempestiva integrazione dei dati, a disposizione dell’amministrazione finanziaria, non è irragionevole che il mancato rispetto del termine fissato per la comunicazione dei dati stessi sia sanzionato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza dei requisiti per fruire dell’agevolazione, con la decadenza dal contributo automaticamente conseguito);

che, in tale prospettiva, è stata ritenuta manifestamente infondata la censura relativa alla violazione del principio di irretroattività e, per l’effetto, del principio dell’affidamento nella sicurezza giuridica, perchè la norma criticata non dispone per il passato, ma fissa per il futuro un obbligo di comunicazione di dati a pena di decadenza dal contributo, a nulla rilevando che tale decadenza abbia ad oggetto un contributo già conseguito (v. Corte cost., ord. n. 124 del 2006 cit.);

che, inoltre, sullo specifico tema della legittimità del termine del 28 febbraio 2003, in relazione alle disposizioni dello Statuto del contribuente, si è precisato che, se è bensì vero che le norme della L. n. 212 del 2000, emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), esse tuttavia non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (v. ex aliis Cass. 6/4/2009, n. 8254);

che si è ancora specificamente chiarito che, in tema di contributi concessi sotto forma di credito d’imposta L. 23 dicembre 2000, n. 388, ex art. 8 per l’effettuazione di nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, l’inosservanza del termine – inizialmente individuato nel 31 gennaio 2003 dal D.L. n. 253 del 2002, art. 1, comma 1, lett. a), n. 2, e poi definitivamente fissato al 28 febbraio 2003 dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. a), – entro il quale i soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’8 luglio 2002 devono comunicare all’Agenzia delle entrate i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati, nonchè quelli ulteriori eventualmente stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, comporta la decadenza dal beneficio, non potendosi attribuire alcun rilievo alla circostanza che il provvedimento del Direttore sia stato emesso in data tale da non consentire al contribuente di disporre, rispetto alla predetta scadenza, del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 3, comma 2, dello Statuto del contribuente per le norme che introducono adempimenti tributari, in quanto il contribuente è stato posto nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della scadenza del termine per adempiere il suo onere di comunicazione fin dal 13 novembre 2002, data di pubblicazione del D.L. n. 253 del 2002 (i cui effetti sono stati fatti espressamente salvi dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 7, seconda parte,) ed il predetto termine è di fonte immediatamente legale, non superabile con una diversa previsione temporale di natura amministrativa (Cass. 29616/2011; 19627/2009);

che al riguardo è stato altresì condivisibilmente evidenziato che la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 2, che fissa il termine minimo di sessanta giorni per l’effettuazione degli adempimenti da parte del contribuente, non ha uno specifico fondamento costituzionale, nè il termine da essa stabilito attiene all’esercizio del diritto di difesa: il rapido susseguirsi di disposizioni aventi forza di legge non rispettose del termine indicato determina solo il verificarsi di una normale vicenda di successione di leggi nel tempo (v. Cass. 5324/2012; Cass. 21315/2013);

che il ricorso deve essere pertanto rigettato;

che non avendo controparte svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2017

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