Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15028 del 21/07/2016

Cassazione civile sez. I, 21/07/2016, (ud. 01/06/2016, dep. 21/07/2016), n.15028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9591/2015 proposto da:

G.T., C.A., C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 5, presso l’avvocato

GIOVANNI ARIETA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIAN FRANCO RICCI ALBERGOTTI, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.R., I.A., I.F., tutti nella qualità di

eredi accettanti con beneficio di inventario di M.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44,

presso l’avvocato THOMAS MARTONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI BORGHI, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1836/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/06/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RICCI ALBERGOTTI GIAN FRANCO che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato BORGHI GIOVANNI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Firenze con sentenza del 10 novembre 2014 ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Arezzo del 30 maggio 2012, con la quale è stata accolta la domanda di accertamento della paternità naturale, proposta da M.P. avverso gli eredi di C.O..

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ora rileva, che: a) la seconda relazione peritale, svolta sulla base di ulteriori reperti del de cuius senza che sul punto nessuna critica sia stata rivolta dagli appellanti, ha accertato la probabilità pari al 99,999999999993% che egli sia padre dell’attrice, rispetto ad altri, e la probabilità del 99,48% che lo sia in alternativa al fratello C.R., mentre il tribunale ha poi utilizzato tali dati tecnici sulla base delle ulteriori risultanze istruttorie; la doglianza dell’avere, inoltre, il c.t.u. fatto riferimento ad una “comunità forense” che accetta la cd. two exclusion rule è infondata, dovendo all’evidenza i consulenti riferirsi alle conseguenze in ambito legale di detta regola propria della comunità scientifica; b) legittimamente è stato acquisito il fascicolo relativo al procedimento di ammissibilità dell’azione di accertamento di paternità, come richiesto da ambo le parti del processo, nè alleva l’assunto degli appellanti, secondo cui il solo modo di utilizzo delle prove era il deposito in giudizio di copia autentica dei verbali ivi redatti, anche perchè del resto così è pure avvenuto; c) l’essere state le testimonianze raccolte in un procedimento camerale non le rende inutilizzabili, perchè sono state rese ad un giudice, su capitoli articolati ai sensi dell’art. 244 c.p.c., dietro l’impegno di rito a dire la verità, nel contraddittorio fra le parti ed in un giudizio dall’oggetto coincidente.

Avverso questa sentenza propongono ricorso i soccombenti, affidato a quattro motivi, illustrati pure da memoria, cui resistono con controricorso gli eredi dell’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso, che propongono tutti censure ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denunziano omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, in quanto la sentenza impugnata avrebbe trascurato che:

1) il valore dell’esame del D.N.A. è smentito dalla consulenza di parte degli eredi di C.O., che la corte territoriale ha omesso di esaminare, e che evidenziava come la percentuale del 99,48% relativa alla possibile ed alternativa discendenza dal fratello del predetto non raggiunge il limite del 99,75% preteso dalla comunità scientifica;

2) la c.t.u. afferma incongruamente come la regola della cd. two exclusion rule, secondo cui l’indagine genetica non viene invalidata da due incompatibilità, sarebbe accettata dalla “comunità forense”, che è inesistente;

3) i ricorrenti hanno esposto ben quattro motivi di appello avverso la seconda c.t.u., onde non risponde a verità quanto affermato dalla sentenza impugnata circa la mancanza di critiche al riguardo;

4) la prova testimoniale raccolta nel giudizio di ammissibilità dell’azione di riconoscimento è inammissibile, perchè assunta in un procedimento camerale sommario, ove non vigono le regole dell’art. 244 c.p.c. e privo delle garanzie del contraddittorio, oltre che trasferite d’ufficio nel giudizio, in violazione dell’art. 115 c.p.c..

2. – Il ricorso non può trovare accoglimento.

Tutti i motivi proposti, invero, sono estranei all’ambito di applicazione del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), oppure non colgono nel segno.

2.1. – Orbene, il primo motivo non è fondato, perchè la corte del merito ha tenuto conto della consulenza di parte, la quale risulta diffusamente ivi richiamata nei suoi contenuti rilevanti (cfr. p. 6 della sentenza impugnata).

2.2. – Del tutto ragionevole è poi l’interpretazione della c.t.u. resa dalla sentenza impugnata, laddove afferma che, laddove ha parlato di “comunità forense”, questa intendeva di fatto riferirsi alle acquisizioni della comunità scientifica fatte proprie dal diritto in simili vicende.

2.3. – Nè la corte del merito nega siano state proposte censure alla seconda c.t.u., dovendosi leggere la sua affermazione come riferita all’acquisizione di nuovi reperti per l’indagine.

2.4. – Infine, l’utilizzo di una prova pretesa come inammissibile non si riolte in omesso esame di un fatto decisivo.

Ma, nella specie, difetta la stessa premessa da cui muove il ricorrente.

Al riguardo, occorre considerare come la sentenza impugnata abbia ben chiarito che, nella specie, le testimonianze – sebbene raccolte nel corso del procedimento camerale sommario ex art. 274 c.c., dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50 – siano state assunte nel rispetto della disciplina del giudizio civile ordinario, posto che sono ivi stati articolati i capitoli di prova ex art. 244 c.p.c., vi è stato il richiamo all’obbligo di dire la verità ex art. 258 c.p.c. e la prova si è svolta nel pieno contraddittorio fra le parti. Pertanto, certamente è utilizzabile una simile prova testimoniale, che ha visto il pieno rispetto dei diritti di difesa di tutte le parti.

Quanto alla possibilità per il giudice di porre a fondamento della decisione anche prove acquisite in un altro giudizio, va qui ribadito il principio secondo cui il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti (fra le altre, Cass. 20 gennaio 2015, n. 840, la quale oltretutto esclude anche il rilievo della divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova; Cass. 14 maggio 2013, n. 11555, la quale rimarca l’esigenza che vengano denunciata la lesione del contraddittorio; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4652).

La peculiarità dell’essere stata la testimonianza assunta nell’ambito del previgente giudizio previsto dall’art. 274 c.c., non muta tali conclusioni, posto che esso era già stato riconosciuto come a carattere contenzioso, mentre sussisteva il contemperamento del carattere sommario del procedimento con la salvaguardia del diritto di difesa, attraverso (cfr. Corte costituzionale n. 70 del 1965) la previsione dell’obbligo di contraddittorio tra gli interessati, l’obbligo di motivazione del decreto sulla domanda di ammissibilità e il reclamo alla corte d’appello, nonchè la riconosciuta ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..

Inoltre, non si deve dimenticare che il giudizio di ammissibilità di cui si tratta fu ritenuto incostituzionale, in quanto limitava il diritto dei figli all’accertamento della paternità, risolvendosi “in un grave ostacolo all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost. e ciò per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed all’identità biologica” (Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50); onde sarebbe poi contraddittorio escludere, in ragione della mera declaratoria di illegittimità costituzionale della norma, ogni efficacia alle prove ivi lecitamente raccolte.

In definitiva, si voglia qualificare la prova in questione come testimonianza in senso tecnico – come il Collegio ritiene – o, invece, come prova atipica, non muterebbero le conseguenze giuridiche, posto che in entrambi i casi resterebbe ferma la sua utilizzabilità secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite in favore solidale di controricorrenti, liquidate in Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Dichiara che sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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