Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15021 del 16/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 16/06/2017, (ud. 06/04/2017, dep.16/06/2017),  n. 15021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12511/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

A.O.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 88/19/12 depositata il 5 novembre 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 aprile 2017

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che – in controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento per maggiori Irpef e Add. Reg. relative all’anno 2002, sulla base di determinazione sintetica del reddito operata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, in relazione a spese per incrementi patrimoniali – la C.T.R. del Veneto, con la sentenza in epigrafe, ha solo in parte accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che la documentazione bancaria prodotta dalla contribuente in giudizio: a) non incorresse nella sanzione di inutilizzabilità prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, per essere giustificata la sua mancata esibizione in risposta ai questionari, in considerazione della genericità dei medesimi; b) valesse a dimostrare disponibilità finanziarie idonee a giustificare, anche se non del tutto, gli incrementi patrimoniali considerati dall’Ufficio;

che avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi;

considerato che con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 3, 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. erroneamente attribuito rilievo – nel valutare l’utilizzabilità della produzione documentale offerta per la prima volta in giudizio, ancorchè non esibita in risposta ai questionari – all’atteggiamento soggettivo della contribuente (secondo i giudici d’appello non connotato da dolo, per avere essa avuto “conoscenza dell’importanza di detta documentazione solo successivamente”), essendo invece irrilevante, ai fini della norma, l’elemento psicologico del soggetto che omette di rispondere al questionario;

che con il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili in quanto concernenti la medesima questione, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e art. 2697 c.c., e, rispettivamente, motivazione omessa e/o insufficiente su un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la C.T.R. ritenuto l’idoneità della documentazione in questione a giustificare adeguatamente gli incrementi patrimoniali e così contrastare l’accertamento sintetico, in mancanza di prova che le disponibilità finanziarie documentate fossero state utilizzate per realizzare detti incrementi;

ritenuto che è infondato il primo motivo di ricorso;

che, in tema, questa Corte ha più volte affermato che il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto costituiscano il rifiuto di una documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori;

che si ammette bensì che il divieto di utilizzare documenti scatti “non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa” (Cass. 26/03/2009, n. 7269);

che la detta sanzione, però, in conformità alla lettera della legge, esige che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire “rifiuto” la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto (Cass. 14/10/2009, n. 21768; Cass. 19/04/2006, n. 9127);

che, nel caso di specie, emerge dalle stesse affermazioni della ricorrente che si sia trattato, per l’appunto, di richiesta generica di notizie circa l’esistenza di redditi esenti o già assoggettati a d’imposta alla fonte, ma non, come invece necessario alla stregua del richiamato principio, anche riferita a specifici documenti e, segnatamente, a quelli poi prodotti dalla contribuente in sede contenziosa;

che sono invece fondati il secondo e il terzo motivo, come detto congiuntamente esaminabili;

che, invero, la prova contraria, che la norma pone a carico del contribuente, al fine di superare la presunzione di maggior reddito imponibile, è testualmente riferita (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nel testo applicabile ratione temporis), al fatto che “il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte”, con la espressa precisazione che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che l’oggetto della prova contraria da parte del contribuente deve dunque riguardare non solo la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) ma anche “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso”;

che, al riguardo, come questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104; Cass. 16 luglio 2015, n. 14885), pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere);

che, invero, in tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da “idonea documentazione”) della “entità” di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico;

che, come è stato pure rimarcato, la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente;

che nel caso di specie tale valutazione non risulta compiuta dal giudice del merito;

che in accoglimento dei motivi in esame, la sentenza va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale deve anche essere demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2017

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