Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15021 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 15/07/2020), n.15021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI N. M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11403-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

LAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIA XX

SETTEMBRE 98-G, presso lo studio dell’avvocato SCATAMACCHIA FABIO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 318/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SIRACUSA, depositata il 16/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. CASTORINA ROSARIA MARIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 318/16/2011, depositata in data 16.11.2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello Di V.B. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 332/5/2010 della Commissione tributaria provinciale di Siracusa che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso due avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2005 e 2006 con i quali l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza, aveva accertato induttivamente l’omessa indicazione di corrispettivi e reddito di impresa in relazione all’esercizio di fatto di attività di impresa avente ad oggetto la costruzione di edifici. Nella specie il contribuente aveva acquistato un terreno edificabile, su cui aveva edificato quattro appartamenti successivamente venduti.

La CTR affermava che mancavano nella fattispecie i requisiti di professionalità ed abitualità dell’esercizio dell’impresa, non sussistendo il carattere continuativo e stabile dell’attività imprenditoriale, ai sensi degli artt. 2135 e 2195 c.c., trattandosi invece di una attività isolata e meramente occasionale di produzione e commercio di beni da parte di soggetti, il ricorrente e la moglie, del tutto privi di alcuna organizzazione di impresa.

Avverso tale statuizione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

V.B. resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 4 e 6 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

Con entrambi i motivi la ricorrente lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto che la mancata organizzazione di impresa fa venire meno il requisito dell’esercizio di impresa svolto dal ricorrente al fine di conseguire un intento speculativo.

In ordine alle censure così proposte, delle quali si impone l’esame congiunto in quanto fra loro strettamente connesse, rileva, in primo luogo il Collegio che si rinviene, nella decisione impugnata, la violazione di legge relativamente alla mancata riconduzione della fattispecie nell’ambito della società di fatto poichè nessuno degli argomenti ai quali si richiama la CTR per escludere che l’attività posta in essere dal contribuente possa essere qualificata imprenditoriale è idoneo a sorreggere questa conclusione.

Ed invero, quanto al primo, che fa leva sulla mancanza di organizzazione, giova rilevare che se è vero che nella generalità dei casi l’attività imprenditoriale è articolata sulla base di un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali, secondo la linea emergente dagli artt. 2086,2094 e 2555 c.c., siffatto apparato non è indispensabile affinchè una data attività produttiva possa dirsi organizzata in forma di impresa. Non è necessario, infatti, che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia ad oggetto anche le altrui prestazioni lavorative, autonome o subordinate, o che i mezzi di cui ci si avvalga costituiscano un apparato strumentale fisicamente percepibile, poichè quest’ultimo può ridursi al solo impiego di mezzi finanziari, sicchè la qualifica di imprenditore va attribuita anche a chi utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi (Cass. 16 settembre 1983, n. 5589; Cass. 8193/97). Quanto, poi, al fatto che l’esercizio di impresa si sia esaurito in unico affare, la circostanza è del tutto irrilevante poichè anche il compimento di un singolo affare può costituire impresa quando implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici, come avviene nel caso di costruzione di edifici da destinare all’abitazione sia pure con un’unica operazione economica, come nella specie.

Anche per quanto poi attiene alla dedotta censura in ordine alla sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, affinchè l’attività svolta dal contribuente possa essere definita come esercizio di impresa, la censura è fondata; sul punto questa Corte si è già pronunciata affermando il principio secondo cui “La nozione tributaristica” dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacchè il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51 (T.U.I.R.), intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde, quindi, dal requisito organizzativo, che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorchè non esclusiva.” (Cassazione civile, sez. trib., 02 dicembre 2002, n. 17013; Cass. 27211/2006).

L’attività che dà luogo a reddito di impresa deve essere esercitata “per professione abituale, ancorchè non esclusiva”. Con questa espressione, che si tende ad interpretare nel suo complesso anzichè con riferimento ai singoli termini che la compongono, si indica quel modo di svolgimento dell’attività che si connota per caratteristiche di stabilità e ripetitività, anche solo tendenziale e prospettica nel tempo. L’attività può essere svolta anche in modo non esclusivo, e quindi anche contemporaneamente ad altre attività, per esempio di lavoro dipendente (dandosi luogo, in questo caso, a due distinti redditi). L’indagine sulla professionalità, nel senso suddetto, va fatta laddove si tratti di un contribuente persona fisica ovvero di un ente diverso da una società commerciale; per quanto concerne le società commerciali – il cui reddito deve qualificarsi ex lege come reddito di impresa – la professionalità si considera insita nella stessa struttura societaria. Si tratta infatti di una valutazione da fare ex ante e da ricollegarsi ad un insieme di fattori che vanno valutati in relazione alla specifica tipologia di attività ed in base all’id quod plerumque accidit, tra cui possono rilevare la predisposizione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività.

Nella specie la CTR ha escluso la sussistenza di un reddito di impresa ancorando la propria valutazione solamente ad una concezione “civilistica” di esercizio di impresa commerciale.

3.Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta che la CTR era incorsa nel vizio di extrapetizione laddove aveva ritenuto gli avvisi di accertamento illegittimi perchè emessi solo nei confronti del ricorrente e non anche nei confronti della moglie.

La censura è fondata. Dalla trascrizione dei motivi di appello effettuata in ossequio al principio di autosufficienza si evince che nessuna censura era stata formulata dal contribuente nel senso di una illegittimità degli avvisi di accertamento emessi dall’ufficio per mancata ripresa a tassazione del reddito anche nei confronti della moglie, quale acquirente e, dopo la costruzione degli immobili, cessionaria dell’area di sedime e degli immobili costruiti.

4. Con il quarto motivo la contribuente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 39, comma 2, lett. a) e c) e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 55. Lamenta che la CTR aveva ritenuto l’illegittimità dell’accertamento induttivo in presenza di tutti gli elementi che avrebbero reso possibile l’accertamento analitico in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura è fondata

L’ufficio aveva fatto espresso richiamo alle irregolarità ed omissioni, rilevate in sede di verifica, che giustificavano il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, essendo emersi la omessa tenuta delle scritture contabili e l’omessa presentazione del quadro relativo ai redditi di impresa.

Proprio sulla base delle irregolarità formali riscontrate, l’amministrazione finanziaria aveva proceduto all’accertamento induttivo, facendo riferimento a presunzioni prive delle caratteristiche della gravità, precisione e concordanza, precisando che, sulla base di quanto esposto, si procedeva alla determinazione induttiva del reddito, ai sensi e per gli effetti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 40 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, sulla base degli elementi in possesso dell’ufficio.

Va precisato, a tal proposito, che ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime (Cass. 33604/2019).

Ciò precisato, il giudice del gravame non ha tenuto conto delle ragioni fondanti la pretesa negli atti di accertamento, prescindendo del tutto dall’esame della fattispecie concreta, come prospettata negli avvisi di accertamento, ai fini della qualificazione della natura degli accertamenti compiuti.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla CTR della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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