Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15019 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 15/07/2020), n.15019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20957-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona L J Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LEDIBERG SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAFILE 3, presso

lo studio dell’avvocato MANCUSI GAETANO GIACINTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MORESCO DARIO;

– controricorrente –

sul ricorso 21054-2012 proposto da:

LEDIBERG SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAFILE 3, presso

lo studio dell’avvocato MANCUSI GAETANO GIACINTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MORESCO DARIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 144/2011 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento emesso per la annualità di imposta 2003 nei confronti della Spa LEDIBERG, a seguito di verifica fiscale compendiata in un processo verbale di constatazione già notificato alla parte, la Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Bergamo recuperò analiticamente a tassazione, per quanto ancora interessa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett. d) e art. 40, ai fini IRES ed IRAP, i costi per mancato riaddebito di adeguamento di canoni di locazione e spese di straordinaria amministrazione riconducibili a società infragruppo (rilievo 1), la svalutazione effettuata dalla verificata su partecipazioni detenute in varie società (rilievo 2), i costi per fatture legali ritenuti non di competenza (rilievo 3), i costi per note di credito ritenuti non di competenza (rilievi 4 e 5), i costi per prestazioni professionali ritenuti non di competenza (rilievo 6) ed i ricavi per vendita di prodotti a prezzo inferiore a quello di produzione (rilievo 7) ed, ai fini IVA, l’imposta, ritenuta non detraibile, sulla fattura per viaggi effettuati da persone per conto della verificata.

Con il ricorso la contribuente aveva contestato la legittimità dell’accertamento perchè motivato esclusivamente per relationem alla verifica fiscale, senza prendere in esame le difese della società Lediberg e, nel merito, i singoli recuperi.

La Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, con sentenza n. 40/7/2008, accolse il ricorso ritenendo che la mancata allegazione all’accertamento del verbale di verifica avesse compromesso il diritto di difesa della contribuente e viziato la motivazione e, solo incidenter tantum, che mancasse la prova presuntiva basata su elementi gravi, precisi e concordanti, come dedotto dalla contribuente nella propria memoria difensiva.

Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate che aveva dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che il processo verbale di constatazione era stato previamente notificato alla parte che aveva quindi potuto espletare i più ampi diritti difensivi ed aveva riproposto dettagliatamente i singoli rilievi sui quali erano basati i recuperi, di cui aveva chiesto la integrale conferma, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 144/36/2011, depositata in data 13.12.2011, riformò la sentenza di primo grado, ritenendo preliminarmente la piena validità dell’avviso di accertamento e la sua corretta motivazione in quanto basato sul richiamo del processo verbale di constatazione già notificato alla parte che, in quanto già notificato, non doveva essere allegato all’accertamento e quindi, affrontando il merito, ritenne corretti e fondati i recuperi n. 1 e n. 2 dell’accertamento, mentre annullò i successivi. Nel dettaglio la Commissione Tributaria Regionale ritenne: quanto al rilievo n. 1, che, in presenza di precise clausole contrattuali per cui la locatrice aveva diritto all’adeguamento del canone di locazione nella percentuale dell’8,4% delle spese di straordinaria amministrazione ed all’adeguamento ISTAT annuale, la scelta della contribuente di non percepire tali somme integrava un comportamento che contrastava con le regole fondamentali di ragionevolezza e legittimava la Amministrazione Finanziaria alla tassazione dei proventi in questione, quand’anche riconducibili ad operazioni infragruppo; quanto al rilievo n. 2, che l’operazione di reintegro del capitale, pur se effettuata con valuta 31.12.2003 ai fini del calcolo degli interessi, fosse di competenza del 2004 anche perchè la deliberazione era stata adottata nel gennaio del 2004; quanto ai rilievi n. 3, n. 4 e n. 5, che i costi non erano prevedibili se non dopo la emissione della nota fiscale; che lo stesso valeva per il rilievo n. 6, poichè la prestazione, come risultava dalla documentazione in atti, era stata quasi completata nel 2003, per cui si poteva applicare il principio della prevalenza; quanto al rilievo n. 7, che la vendita a prezzo inferiore al cd. costo pieno doveva ricomprendersi nella libera determinazione dell’imprenditore ed appariva illegittimo il recupero dei ritenuti ricavi se fondato su un giudizio di antieconomicità del comportamento del contribuente che non abbia investito l’intera gestione aziendale ed il relativo risultato economico; quanto, infine, al recupero dell’IVA, che essa era legittimamente detraibile poichè relativa a trasporto di persone sul luogo di lavoro.

Contro la sentenza, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate (iscritto con il n. RG 20957/2012), notificato il 19.9.2012, affidato ad otto motivi, cui ha resistito con controricorso la società Lediberg e successiva memoria.

Contro la stessa sentenza ha presentato separato ricorso la società Lediberg (iscritto con il n. RG 21054/2012) con tredici “punti” e nove “censure”.

Successivamente con memoria 4 luglio 2013 la società Lediberg ha comunicato che era cessata la materia del contendere con riferimento al recupero n. 2, poichè, con sentenza n. 30.2.2013, depositata l’11.2.2013, passata in giudicato, come da attestazione sulla copia autentica prodotta in giudizio, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva revocato la sentenza n. 144/36/2011, oggetto del presente giudizio, per contrasto con il giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 104/14/2011 della CTR della Lombardia che aveva dichiarato inammissibile l’appello contro la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la correttezza delle svalutazioni per la annualità 2005 in relazione allo stesso oggetto, alle stesse parti ed allo stesso tributo “spalmato” sulle due annualità di imposta 2003 e 2005.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va disposta la riunione tra il ricorso R.G. n. 20957 e quello RG n. 21054 del 2012, a norma dell’art. 335 c.p.c., trattandosi della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza.

2. Ciò posto, partendo dal ricorso della Agenzia delle Entrate, con il primo ed il secondo motivo la Agenzia delle Entrate lamenta, con riguardo al recupero n. 3) dell’accertamento, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, nella numerazione antecedente al 1.1.2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente annullato il recupero sulla base del rilievo che “il costo non era prevedibile se non dopo l’emissione della fattura”, il che era avvenuto nel 2004, pur essendo pacifico sulla base delle stesse asserzioni della parte contribuente (pag. 18, riga 5, del ricorso introduttivo del giudizio) che le prestazioni erano state effettuate in epoca antecedente al 2003, per cui dovevano essere iscritte nel conto economico del bilancio di esercizio in cui la prestazione di servizio era ultimata, restando invece irrilevante la data del pagamento; ed, in via subordinata, motivazione insufficiente della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in considerazione della sua genericità e superficialità.

3. Con il terzo e quarto motivo deduce, con riferimento ai recuperi n. 4 e n. 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, nella numerazione antecedente al 1.1.2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente annullato i suddetti recuperi sulla base del rilievo che “l’Ufficio recupera sconti effettuati con note di credito emesse nell’esercizio 2003 ma relativi a fatti gestionali inerenti all’esercizio 2002….benchè il costo non era prevedibile se non dopo la emissione della nota fiscale”, pur risultando dalla documentazione che si trattava di operazioni effettuate nel 2002 e comunque la documentazione risultava emessa prima della data del 30.6.2003 (data di approvazione del bilancio al 31.12.2002), per cui si doveva applicare la regola della competenza economica, fissata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 comma 2, (ora 109) del, secondo la quale gli elementi reddituali positivi e negativi derivanti da una determinata operazione devono essere iscritti nel conto economico dell’esercizio in cui la prestazione di servizio è ultimata; ed, in via subordinata, motivazione insufficiente della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in considerazione della sua genericità e superficialità.

4. Con il quinto motivo deduce, con riguardo al recupero n. 6) dell’accertamento, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, nella numerazione antecedente al 1.1.2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la sentenza impugnata annullato il recupero per costi di consulenza eseguita ed ultimata nell’esercizio 2004, nei confronti della Bain & Compani Italy inc. “sostenendo che la consulenza sarebbe stata quasi interamente terminata nel 2003, dovendosi applicare, nel caso concreto, il criterio della prevalenza”, pur dovendosi invece applicare il criterio della ultimazione della prestazione, avvenuta nel 2004, poichè dal verbale del consiglio di amministrazione della Lediberg del 1.12.2003 risultava cha quella data la prestazione non era ancora eseguita, essendo avvenuta la proposta solo il 17 settembre 2003 e solo a dicembre 2003 era stato dato incarico ai consiglieri di predisporre una lettera di incarico a Bain &Co; per cui appariva corretta la ripresa effettuata in quanto la prestazione professionale si era conclusa nel 2004, essendo erroneo il criterio della prevalenza utilizzato dalla sentenza impugnata.

5. Con il sesto ed il settimo motivo di ricorso, in relazione al recupero n. 7, la Agenzia delle Entrate lamenta (motivo n. 7) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto, in contrasto oltretutto con la interpretazione delle disposizioni offerta dalla Code di Cassazione, che le vendite sottocosto e più in generale i comportamenti antieconomici dell’imprenditore potessero trovare giustificazione nella libertà delle scelte imprenditoriali e che il giudizio di antieconomicità dovrebbe investire l’intera gestione aziendale, benchè fosse pacifico che il sindacato dell’Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost, essendo tale comportamento sintomatico, dal punto di vista indiziario, di possibili violazioni delle disposizioni tributarie così da giustificare l’accertamento induttivo e consentisse la riparametrazione dei valori del venduto sulla base dei costi di produzione, in assenza di qualsiasi giustificazione che, nella specie, non esisteva, poichè il prezzo di vendita sottocosto era rimasto uguale per tutto il 2003 e comunque la antieconomicità non doveva necessariamente investire l’intera attività economica, ben potendo riguardare invece anche singole operazioni; ed in via subordinata (motivo 6) motivazione insufficiente con riguardo alle “particolari esigenze di mercato” ed alle “valutazioni commerciali” che, secondo la sentenza impugnata, avrebbero giustificato le vendite sottocosto alle proprie controllate al fine di superare momenti di crisi.

6. Infine, con l’ottavo motivo la Agenzia delle Entrate si duole, con riguardo al rilievo IVA, della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, lett. e, del per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che fosse legittima la detrazione IVA sulla fattura relativa al trasporto di personale dipendente, quando l’art. 19-bis1 vietava espressamente la detrazione dell’imposta relativa a prestazioni di trasporto di persone, salvo il caso in cui il trasporto costituisca l’attività propria dell’impresa, cosa che non sussisteva nel caso in esame.

7. La società Lediberg, con le proprie controdeduzioni ha opposto la inammissibilità del ricorso della Agenzia delle Entrate, poichè i motivi da 1 a 6 si sarebbero risolti in una inammissibile pretesa di duplicazione di imposta, non consentita dall’art. 53 Cost., per preclusione della possibilità di dedurre il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, a far data dall’11.9.2012, alla luce del nuovo testo dell’art. 348-ter, comma 4, introdotto con D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012, in caso di “doppia conforme” e perchè, comunque, i motivi di ricorso della Agenzia delle Entrate tentavano di introdurre valutazioni di merito non consentite nel giudizio di legittimità.

8. Preliminarmente si rileva che il ricorso proposto dalla Agenzia, al contrario di quanto sostenuto dalla Lediberg, è ammissibile.

8.1. Il recupero dei costi in base al criterio di competenza non determina infatti una duplicazione di imposta, in primo luogo perchè la imposta non è stata versata due volte e la dichiarazione del costo in una determinata annualità non impedisce, pacificamente, l’accertamento dell’ufficio sulla base del corretto criterio di competenza temporale, non potendo il contribuente essere lasciato libero di scegliere l’anno di dichiarazione secondo la sua convenienza, così alterando i risultati economici dell’esercizio, mentre in caso di effettivo pagamento per due volte della stessa imposta l’ordinamento appresta i rimedi della dichiarazione integrativa e del rimborso.

8.2. Il vizio di difetto di motivazione è stato poi dedotto dalla Agenzia delle Entrate, con i motivi n. 2, 4 e 6 solo in via subordinata, rispetto al vizio di violazione di legge per cui nella specie non necessità di essere preso in esame, essendo fondato, come si vedrà nel prosieguo il vizio di violazione di legge, il che rende irrilevante la questione, anche se appare opportuno rilevare che non si è nella specie in presenza di una cd. sentenza “doppia conforme” poichè il primo giudice aveva annullato l’accertamento esclusivamente per difetto di motivazione, senza entrare nel merito dei singoli recuperi ai quali non vi è il minimo accenno nella motivazione della sentenza, come trascritta negli scritti difensivi della Lediberg.

8.3. Si deve altresì escludere che i motivi di ricorso dedotti dalla Agenzia delle Entrate sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, abbiano dedotto esclusivamente questioni di fatto o valutative, come sostenuto dalla contribuente. Il vizio di violazione di legge, in effetti, investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01); però nel caso in esame la Agenzia delle Entrate ha correttamente dedotto la violazione della regola iuris in materia di imputazione temporale dei costi ed in materia di interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, laddove indica i criteri che legittimano l’accertamento induttivo dei ricavi, senza specifico riferimento ad una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, correttamente richiamate al solo fine della individuazione della fattispecie da parte del giudice di merito.

9. I motivi di ricorso proposti dalla Agenzia delle Entrate sotto il profilo di violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sono perciò ammissibili e sono altresì fondati.

10. Quanto al primo, terzo e quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente poichè riguardano il criterio astratto di imputazione temporale dei costi, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, quello per cui, in tema di reddito d’impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (numerazione anteriore a quella introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003) nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, nè permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi (v. Cass.. Sez. 5 -, Sentenza n. 18401 del 12/07/2018 Rv. 649615 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 3418 del 12/02/2010 Rv. 611692 – 01).

10.1. In tema di imposte sui redditi d’impresa, dalla complessiva prescrizione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 si desume infatti che, anche per le spese e gli altri componenti negativi di cui non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, il legislatore considera come esercizio di competenza quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, limitandosi soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, col consentire la deducibilità di particolari spese e componenti nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17568 del 09/08/2007 Rv. 601265 – 01); tuttavia, con riguardo alle spese legali (ma lo stesso vale per le altre consulenze), che vengono in considerazione con i motivi 1 e 5, il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16969 del 11/08/2016 Rv. 640953 – 01). In tema di reddito d’impresa, poichè, in virtù della regola della post numerazione, la prestazione professionale dell’avvocato ha invero carattere unitario e tale unitarietà deve essere rapportata ai singoli gradi nei quali si è svolto il giudizio, la relativa spesa deve essere imputata non all’esercizio in cui la prestazione è stata eseguita ma a quello nel quale è stata ultimata in ciascun grado di giudizio, con l’emanazione della pronuncia conclusiva (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 24003 del 26/09/2019 Rv. 655476 – 01).

10.2. Per le note di credito, poi, occorre aggiungere che i costi, pur erogati dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni dell’anno già definito (nella specie, costi inerenti all’anno 2002 ed incidenti su quell’esercizio, ma per i quali le note di credito erano state emesse nell’anno 2003), la regola iuris è che devono costituire elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, così concorrendo a formare il reddito d’impresa di quell’anno ed incidendo legittimamente in flessione sullo stesso – senza che sia lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi – tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d’esercizio (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3484 del 14/02/2014 Rv. 629641 – 01); così come avvenuto nel caso in esame in cui le note di credito erano state emesse prima della approvazione del bilancio 2002, il che imponeva ch a contabilizzazione dovesse avvenire in quell’esercizio e non, invece, nel 2003, come avvenuto.

10.3. Orbene, alla stregua della disposizione legislativa di cui all’art. 75 TUIR, comma 2, così come interpretata dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, la sentenza impugnata ha applicato erronei principi giuridici poichè ha ritenuto che i costi per i consulenti legali e quelli per gli sconti, pur se la prestazione era stata eseguita in anni pregressi, non fossero certi prima della emissione della nota legale o di credito e che, in particolare, quanto ai costi per la consulenza Bain & Company, si dovesse avere riguardo all’anno in cui era stata eseguita la maggior parte della prestazione, pur se completata successivamente, in base al “principio della prevalenza”. Tali pretesi principi sono infatti smentiti dalla disposizione normativa di cui all’art. 75 TUIR, comma 2, più volte citato, che esclude che il costo divenga certo solo per effetto della nota legale o di credito (che è invece irrilevante ai fini della certezza della spesa desumibile da accordi e contratti o tariffe legali) la cui emissione può essere anticipata o ritardata per le esigenze, anche fiscali dell’azienda o del professionista, mentre il criterio della imputazione temporale della spese alla annualità in cui la prestazione è iniziata, anche se non completata, sulla base di un “principio di prevalenza” non trova alcun riscontro normativo ed è anzi in contrasto con il principio generale per cui non è possibile la imputazione temporale prima del completamento della prestazione.

10.4. Ne discende l’accoglimento dei motivi 1, 3 e 5, mentre i motivi 2 e 4 restano assorbiti in quanto subordinati.

11. E’ fondato anche il motivo n. 7, mentre resta assorbito quello subordinato n. 6.

11.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che la vendita sottocosto “pieno” (cioè sotto il costo che contempla tutti i costi inerenti l’azienda), pur se antieconomica, rientra nella libera determinazione dell’imprenditore, per cui la rettifica fondata su tale elemento è illegittima se il criterio della antieconomicità è basato su una porzione della attività e sul risultato negativo di un singolo settore aziendale e non invece sul risultato della intera gestione.

11.2. Tali due ragioni giustificatrici addotte dalla sentenza impugnata si pongono però, anche in tal caso, in contrasto con principi giuridici consolidati dai quali si è discostata la sentenza impugnata, per cui, in primo luogo, “le informazioni ed i dati raccolti nel corso di una verifica fiscale – sia essa mirata all’approfondimento in generale della posizione fiscale di un soggetto in relazione alla totalità dei tributi (verifica generale), oppure rivolta all’approfondimento della posizione fiscale del soggetto relativamente ad uno o più tributi in particolare (verifica parziale), od ancora riguardante singoli atti, oppure un complesso di atti di gestione (verifica speciale) sono utilizzabili per quantificare e motivare il successivo accertamento anche oltre l’ambito oggettivo delineato dall’incarico di accesso, senza necessità di autorizzazione del capo dell’ufficio, avendo la verifica lo scopo di determinare complessivamente la capacità contributiva del soggetto verificato, nonchè di ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie eventualmente commesse (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26321 del 16/12/2009 Rv. 610570 proprio in un caso in cui questa Corte ha ritenuto legittima, all’esito di una verifica finalizzata al controllo del raffronto fra i prezzi praticati a terzi ed alle società consociate, degli interessi passivi per finanziamenti infragruppo e per perdite su crediti, la contestazione di presunte vendite sottocosto con omessa contabilizzazione di ricavi). Inoltre, in tema di imposte sui redditi, neppure la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo; in tal caso è legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9084 del 07/04/2017 Rv. 643626 – 01). Ciò in quanto la circostanza che un’impresa commerciale dichiari un volume di affari inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta anomala, di per sè sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, ma anche ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sicchè il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve spiegare le ragioni che giustifichino il comportamento del contribuente con validi argomenti, che non possono esaurirsi nella mera libertà di impresa riguardo alla propria politica commerciale (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 14370 del 09/06/2017 Rv. 644425 – 0). A maggior ragione poi giustifica la ripresa la vendita a prezzi “inferiori a quelli di produzione”, come risultante dalla verifica, a favore di società controllate, in assenza di qualsiasi giustificazione legata a problemi economici poichè il prezzo di vendita era rimasto uguale per tutto il 2003 (v. trascrizione dell’atto di appello dell’Ufficio a pagg. 17 e seguenti del ricorso per cassazione della Agenzia).

11.3. La sentenza impugnata, richiamandosi alla libera determinazione dell’imprenditore che può vendere sottocosto senza che sia consentita alcuna censura ed alla necessità che la antieconomicità, per essere utilizzabile, debba riguardare la intera “globale” gestione aziendale, ha quindi violato principi giuridici consolidati ed in particolare il princìpio per cui il giudice non può annullare l’accertamento basato sul recupero di ricavi per vendite sottocosto, sia pure in un determinato settore aziendale, richiamando la libertà di impresa poichè la attività imprenditoriale ha finalità di lucro per cui occorrono pregnanti argomenti per giustificare la condotta antieconomica, così incorrendo in violazione, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, che giustifica l’accertamento analitico induttivo anche con riguardo ad un singolo settore aziendale (non esistendo l’obbligo della Agenzia delle Entrate di modificare tutte le poste contabili) sulla base di un indizio grave e preciso come quello della ingiustificata vendita sottocosto.

12. Merita infine accoglimento anche il motivo n. 8, neppure contrastato dalle controdeduzioni della contribuente, poichè il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: “1. In deroga alle disposizioni di cui all’art. 19: a) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di aeromobili e di autoveicoli – omissis -; b) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione degli altri beni elencati nell’allegata tabella B e delle navi ed imbarcazioni da diporto e dei relativi componenti – omissis-; c) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture ed autoveicoli – omissis -; d) l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad autovetture e veicoli, aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto -omissis-; e) salvo che formino oggetto dell’attività propria dell’impresa, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa a prestazioni alberghiere, a somministrazioni di alimenti e bevande, con esclusione delle somministrazioni effettuate nei confronti dei datori di lavoro nei locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa scolastica, aziendale o interaziendale e delle somministrazioni commesse da imprese che forniscono servizi sostitutivi di mense aziendali, a prestazioni di trasporto di persone ed al transito stradale delle autovetture e autoveicoli di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 54, lett. a) e c), del – omissis”. E’ quindi incorsa in violazione di legge la sentenza impugnata laddove ha ritenuto, senza neppure indicare la fonte normativa della pretesa detraibilità, che l’IVA sul servizio di trasporto di personale dipendente fosse detraibile per una impresa, come la Lederberg, che certamente non svolgeva attività di trasporto.

13. Ne consegue l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riguardo ai motivi come sopra accolti.

14. Si può ora passare all’esame del ricorso della società Lediberg, il quale si articola su numerosi punti che peraltro non integrano altrettanti motivi di ricorso, che, come tali, non sono neppure numerati, quanto piuttosto consistono in ripetizione di doglianze, quasi sempre prive di attinenza con la parte di soccombenza della Lediberg – limitata ai recuperi nn. 1 e 2 – che riguardano l’accertamento ovvero la condotta dei verificatori o dell’Ufficio, senza essere sfociati in vizi della sentenza impugnata.

15. Si tratta poi, in quasi tutti i casi, di doglianze cd, composite o miste, con cui viene dedotta congiuntamente violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, e cioè doglianze fra loro incompatibili (quali quelle attinenti a carenza di decisione ed a vizio motivazionale e quelle ex nn. 3 e 5: v. Cass. sez. 5, 05/10/2018, n. 24493, Rv. 650743-01, oltre che il precedente conforme Cass. sez. 2, 23/04/2013, n. 9793, Rv. 62615401) e per le quali non è possibile distinguere all’interno della esposizione quale parte si riferisca all’uno o all’altro preteso vizio.

16. Nel dettaglio, quanto al punto 4 del ricorso per cassazione (pagg. 70 e seguenti), laddove la società Lediberg assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, che la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato in ordine al rilievo 2, per effetto del giudicato contrario contenuto in altra sentenza, è evidente che si tratta di eventi successivi che hanno determinato la revocazione della sentenza impugnata (con riferimento al rilievo n. 2 dell’accertamento) solo nel 2013 e che pertanto incidono con riferimento alla parziale cessazione della materia del contendere, successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata nel presente giudizio.

17. Con riguardo ai punti 5 e 6 (pagg. 77 e seguenti), con cui si deduce promiscuamente violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per non avere la sentenza impugnata rilevato la inammissibilità dell’appello, non avendo la Agenzia impugnato l’autonomo capo della sentenza di primo grado che aveva deciso il merito e per genericità dei motivi presentati dalla Agenzia delle Entrate, si tratta in primo luogo di motivi “misti”, incompatibili fra loro, come tali inammissibili; peraltro non è neppure vero che l’atto di appello fosse generico e non avesse impugnato la sentenza di primo grado sotto tutti i profili, considerato che, già dalla pur parziale trascrizione che ne fa la contribuente nel ricorso per cassazione, si ricava la estrema precisione dell’appello dell’Ufficio. D’altronde l’appello, nei limiti dei motivi di impugnazione, è un giudizio sul rapporto controverso e non sulla correttezza della sentenza impugnata, rispetto ad esso non è quindi concepibile alcun rapporto di autosufficienza ma solo di specificità, che presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata (v. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11197 del 24/04/2019 Rv. 653588 – 01), sicchè, ove manchi quest’ultima – così come nel caso in esame, in cui la trascrizione integrale della sentenza di primo grado in seno al ricorso dimostra che la motivazione si traduceva in poche righe che riguardavano la pretesa assenza di motivazione dell’accertamento, oltre ad un generico richiamo ai principi in tema di prova, introdotto, dichiaratamente “incidenter tantum” e quindi come “obiter dictum”- era esigibile dall’appellante, che intenda dolersi della sostanza, soltanto una richiesta di revisione di quanto deciso.

18. Anche il punto 7 (pag. 82 e seguenti) è inammissibile per la sua natura mista (si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 per non avere la sentenza impugnata preso in esame e motivato sulla inammissibilità dell’appello in quanto la autorizzazione ad appellare rilasciata dalla DRE all’Ufficio era viziata dal conflitto di interessi in cui si trovava la DRE) e comunque è infondata poichè la DRE appartiene sicuramente alla stessa branca ed è sopraordinata agli uffici periferici ma non per questo è in conflitto di interessi. In ogni caso, in tema di contenzioso tributario, il carattere meramente procedurale dell’autorizzazione prescritta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2, ai fini della proposizione dell’appello principale da parte degli uffici periferici del Dipartimento delle entrate esclude la necessità addirittura che la stessa sia motivata, non essendo al riguardo configurabile un sindacato del giudice su di essa, che costituirebbe un mero duplicato della valutazione relativa alla fondatezza dell’impugnazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3007 del 12/02/2007 Rv. 595941 – 01).

19. Il punto 8 (pag. 85 e segg.) del ricorso censura la omessa motivazione dell’atto impugnato sulle osservazioni al pvc da parte della contribuente per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 ed il conseguente vizio della sentenza che non avrebbe preso in esame tale aspetto, ma, a parte la inammissibilità della censura “mista” e la mancanza di specificità, poichè non è trascritto integralmente l’atto di accertamento, cosicchè non è possibile verificare se vi sia stata risposta o meno, in ogni caso la doglianza sarebbe stata pretestuosa poichè è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui “in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/2017 Rv. 643641 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 3583 del 24/02/2016 Rv. 639031 – 01); con la conseguenza che la sentenza di appello non era tenuta a dare risposta ad argomentazioni palesemente infondate.

20. I successivi punti 9 e 10 (pag. 92 e segg.) lamentano, con riguardo alla ripresa n. 1 dell’accertamento, in questo caso attraverso la formulazione di veri e propri motivi di ricorso con cui viene contestata una specifica statuizione della sentenza impugnata, la violazione dei principi generali in materia di riserva di Legge e di libertà di impresa (ed in subordine vizio di motivazione), nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la introduzione da parte del giudice di appello di un elemento (quale la antieconomicità) non dedotto e non deducibile nel giudizio se non attraverso la procedura di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2. La sentenza impugnata avrebbe, in particolare, violato il principio di libertà della impresa, presupponendo ricavi inesistenti e la violazione del criterio della antieconomicità, mai contestato al contribuente.

20.1. I motivi sono entrambi infondati, poichè non solo non esiste nell’ordinamento tributario il principio per cui l’imprenditore, nell’ambito della attività di impresa, può tenere un comportamento antieconomico e quindi omettere di riscuotere ricavi o altri proventi, bensì, come già precisato con riguardo al recupero n. 7 dell’accertamento, il principio contrario per cui “nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea”. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi o maggiori ricavi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11599 del 18/05/2007 Rv. 598578 – 01; v. ancora Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013 Rv. 627156 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017 Rv. 645975 – 01). Ed anche con riguardo alla pretesa introduzione arbitraria del principio di antieconomicità da parte del giudice di appello, al di fuori della contestazione dello stesso alla parte contribuente nel giudizio, in primo luogo occorre rilevare che la questione è priva di autosufficienza, poichè, non essendo stato riprodotto il verbale di constatazione, non è possibile verificare se quel principio fosse già stato alla base della contestazione in sede di verifica e comunque, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, nè incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (v Sez. 6 – L, Ordinanza n. 513 del 11/01/2019 Rv. 652131 – 01) La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda infatti il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali “causa petendi” dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti (v. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 11289 del 10/05/2018 (Rv. 648503 – 01). Nessuna specifica contestazione del connotato di antieconomicità della condotta imprenditoriale doveva essere quindi eseguita nel giudizio – se pure la questione di antieconomicità non fosse già stata prospettata nel contraddittorio in sede di verifica, poichè non atteneva d”petitum” e neppure alla “causa petendi”, costituendo invece solo uno dei connotati del giudizio presuntivo che deve operare il giudice ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 1 e 2, ai fini di ricostruire, per quanto qui interessa, i ricavi extracontabili conseguiti dal contribuente.

21. Con il punto 11 (pag. 100 e seguenti) si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn 3 e 4, il mancato rilievo del vizio di motivazione dell’accertamento per non avere individuato la causa petendi della pretesa della Amministrazione Finanziaria e conseguente violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e dell’art. 101 c.p.c..

21.1. I pretesi vizi sono inesistenti poichè la sentenza impugnata ha pronunciato sulla pretesa nullità dell’accertamento con ampia motivazione, facendo in proposito riferimento al pvc, già notificato alla parte, che costituiva parte integrante dell’accertamento; il che costituiva motivazione più che sufficiente per assolvere alla sua funzione e consentire il diritto di difesa della controparte, nonchè per la individuazione della pretesa erariale già esplicitata in sede di verifica nel contraddittorio fra le parti.

21.2. E’ infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, trascurato dalla ricorrente, quello per cui, in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente Iman” ed il “quantum debeatur”, sicchè lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27800 del 30/10/2019 Rv. 655808 – 01).

22. Il dodicesimo punto del ricorso (pag. 104 e seguenti), che ritorna sulla contestazione del rilievo n. 1, deduce la infondatezza del rilievo n. 1 per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6,85 e 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed, in subordine, per omessa motivazione su un aspetto decisivo della controversia stante l’assenza di un reddito imponibile e la incoerenza civilistica della pretesa erariale poichè non era stata provata la esistenza di operazioni in nero ed il passaggio di denaro al di fuori della contabilità e tanto meno contabilmente.

22.1. Orbene, poichè la violazione di legge deve consistere nella deduzione della violazione della fattispecie astratta, il vizio dedotto non attiene alla violazione di legge quanto piuttosto alla pretesa mancanza di prova del “passaggio in nero” del provento dei ricavi non dichiarati e cioè ad una questione di fatto non deducibile in sede di giudizio di legittimità. In ogni caso la allegazione contrasta con il principio consolidato per cui, in tema d’imposta sui redditi, rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria, che non è vincolata ai valori o corrispettivi indicati dal contribuente, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato o recupero di un ricavo ritenuto non contabilizzato, che, proprio perchè non contabilizzato, non può essere provato tramite la contabilità (v. Cass. sez. 5, Sentenza n. 22176 del 03/11/2016 Rv. 641642 – 01). Dal che discende anche la infondatezza del motivo.

23. Infine, con il punto 13, viene contestata la sentenza impugnata con riguardo al rilievo n. 2 dell’accertamento. Su tale rilievo, peraltro è sopravvenuta la cessazione della materia del contendere per effetto della sentenza n. 30/2/2013, depositata l’11.2.2013, passata in giudicato, come da attestazione sulla copia autentica prodotta in giudizio, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha revocato la sentenza n. 144/36/2011, oggetto del presente giudizio, per contrasto con il giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 104/14/2011 della stessa CTR della Lombardia che aveva dichiarato inammissibile l’appello contro la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la correttezza delle svalutazioni per la annualità 2005 in relazione allo stesso oggetto, alle stesse parti ed allo stesso tributo “spalmato” sulle due annualità di imposta 2003 e 2005.

24. In conclusione, in accoglimento dei motivi di ricorso nn. 1, 3, 5, 7 e 8 dell’Agenzia delle Entrate, assorbiti i motivi nn. 2, 4 e 6, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, la quale deciderà nel merito attenendosi ai principi di diritto sopra indicati ed anche sulle spese del giudizio. Il ricorso della contribuente deve essere invece respinto, tranne che il motivo n. 13, che riguarda il rilievo n. 2 dell’accertamento, in relazione al quale si deve dare atto della sopravvenuta cessazione della ragione del contendere.

PQM

La Corte: Dispone la riunione dei ricorsi RG n. 20957 e n. 21054/2012; In accoglimento dei motivi del ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate nn. 1, 3, 5, 7 e 8, assorbiti i motivi subordinati nn 2, 4 e 6, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la decisione sulle spese ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia; Dichiara cessata la materia del contendere quanto al motivo n. 13 del ricorso proposto dalla Spa Lediberg e rigetta nel resto lo stesso ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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