Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15012 del 21/07/2016

Cassazione civile sez. III, 21/07/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 21/07/2016), n.15012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24921/2013 proposto da:

MONTE GRAPPA SRL, (OMISSIS), in persona del suo A.U. e legale

rappresentante pro tempore Sig.ra C.I., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO D’ALESSIO, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

KUWAIT PETROLEUM ITALIA SPA, in persona del suo procuratore legale

rapp.te pro tempore avv. G.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO IERADI, che la rappresenta e difende giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 419/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;

udito l’Avvocato ANTONIO IERADI

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Avendo Monte Grappa adito il Tribunale di Roma per la condanna di Kuwait Petroleum Italia S.p.A. al risarcimento di danni derivanti da mancato rilascio e da lesione di cosa locata – un immobile sito in (OMISSIS) adibito a stazione di servizio e punto vendita di carburanti – e avendo la convenuta resistito, il Tribunale con sentenza del 23 marzo 2007, rigettava la domanda; avendo poi appellato Monte Grappa S.r.l., la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello con sentenza del 22 gennaio-10 maggio 2013.

2. Ha presentato ricorso Monte Grappa S.r.l., sulla base di due motivi, da cui si difende con controricorso Kuwait Petroleum Italia S.p.A..

Sia la ricorrente sia la controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo denuncia, in primo luogo, violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 156 c.p.c., art. 118 att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, nonchè, in secondo luogo, nullità della sentenza per omessa motivazione in riferimento alle suddette norme, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si adduce che il giudice d’appello avrebbe seguito acriticamente la motivazione del giudice di primo grado, e lo si censura altresì per non avere esposto lo svolgimento del processo, pur essendo applicabile il testo previgente alla L. n. 69 del 2009, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. La corte territoriale non avrebbe accolto le doglianze dell’appello perchè avrebbe rinviato alla motivazione della sentenza di primo grado: su questo presupposto la ricorrente richiama il secondo motivo d’appello relativo ai danni all’immobile, in ordine ai quali la motivazione della corte territoriale, se non assente, sarebbe comunque apodittica e, appunto, pedissequamente corrispondente alla motivazione del giudice di prime cure.

In primis, deve rilevarsi che, laddove lamenta la mancata esposizione, nell’impugnata sentenza, dello svolgimento del processo, la ricorrente non adduce alcuna concreta lesione del diritto di difesa patita in conseguenza di tale omissione. La censura non è dunque sostenuta da alcun suo effettivo interesse, per cui si attesta a livello della inammissibilità e non può essere vagliata.

Per il residuo contenuto del motivo, deve osservarsi che la doglianza è rapportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per sostenere l’assenza di motivazione, o quantomeno la sua apparenza in quanto mera e apodittica adesione alla motivazione della sentenza di primo grado. Si tratta, peraltro, di un tentativo di elusione dei limiti di rilevanza del vizio motivazionale come ristretti dal vigente articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per di più intriso di elementi fattuali. Non a caso, per supportarlo la ricorrente riporta con la massima ampiezza (ricorso, pagine 6-9) il secondo motivo dell’atto d’appello, che prendeva le mosse dalla censura della motivazione di primo grado per illogicità e contraddittorietà, giungendo poi a elencare censure puramente di merito.

Comunque, nel caso in esame, la motivazione sussiste, e non come motivazione apparente, pur essendo di dimensioni concise. La corte territoriale tratta infatti la questione dei danni dell’immobile (non è privo di significato il fatto che la sua sentenza non sia stata censurata per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.), e non si limita ad aderire – questo lo dichiara espressamente – alla motivazione del Tribunale, bensì si avvale pure di proprie argomentazioni, tutt’altro che di inconsistente spessore: osserva che “l’immutazione dello stato dei luoghi è avvenuto da parte della Montegrappa”, che così ha impedito l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, e che non si è neppure peritata, prima di demolire l’immobile, di chiedere un accertamento tecnico preventivo; e a ciò aggiunge la corte che “anzi dal verbale di restituzione dell’immobile del 18.4. 2005 non risulta alcuna riserva da parte della Montegrappa in ordine a danni all’immobile”.

Il motivo è pertanto infondato.

3.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo e controverso riguardo alla condanna alle spese ex art. 91 c.p.c. e alla omissione di riferimento ai parametri del D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Ad avviso della ricorrente, la liquidazione delle spese alle spese sarebbe stata spropositata (Euro 25.000, ritenendo il valore superiore a 3 milioni di Euro). D’altronde un noto intervento delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405) ha nettamente chiarito l’applicabilità del suddetto decreto ministeriale qualora – come nel caso in esame – la liquidazione sia posteriore alla sua entrata in vigore.

Deve anzitutto rilevarsi che la censura è rubricata come vizio motivazionale, laddove la sua sostanza è chiaramente di denuncia di pretesa violazione di legge. Ma la riqualificazione non è bastante per condurla all’accoglimento. A prescindere infatti dalla specifica confutazione che la controricorrente offre di questo motivo (per essere il valore della presente causa di 3 milioni di Euro, laddove nello scaglione fino a 1 milione e mezzo di Euro il parametro si colloca tra un minimo di 24.000 e un massimo di 61.000 Euro), è dirimente il rilievo che la doglianza è formulata in modo incompleto per consentirle di conseguire l’ammissibilità. Non indica infatti la ricorrente in quale minore misura avrebbe dovuto il giudice d’appello liquidare le spese a suo carico, non dimostrando così l’interesse a denunciare la violazione della suddetta normativa. La giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna, d’altronde, che “la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo l’illegittima liquidazione delle spese processuali distinte in diritti e onorari in violazione del D.M. n. 140 del 2012, ha l’onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dall’applicazione delle suddette disposizioni”, poichè in forza dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, nonchè di interesse processuale “l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata” (Cass. sez. 3, 7 ottobre 2015 n. 20128).

Da quanto osservato deriva chiaramente l’infondatezza anche di quest’ultimo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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