Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15012 del 07/07/2011

Cassazione civile sez. I, 07/07/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 07/07/2011), n.15012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI SAN PRISCO (c.f. (OMISSIS)), in persona del Vice

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso DE ANGELIS ANTONIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

RISPOLI LUIGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO DI CAPUA (c.f.

(OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE CASTRENSE 7, presso lo STUDIO CIRILLI-

PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato PETRELLA FRANCESCO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1062/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato RISPOLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per rinvio del giudizio in

attesa della decisione della Corte Costituzionale – ordinanza 8489/11

SS.UU..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19.01.2001, l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Capua adiva la Corte di appello di Napoli e premesso che il Comune di San Prisco, per l’attuazione del PEEP, aveva assoggettato a procedimenti di espropriazione (definito con decreto del 3.12.2001) e di occupazione (decreto n. 9918 del 22/07/1999), il terreno in sua proprietà, distinto in catasto alla p.lla 52 del F 5 P. 267, chiedeva che fossero determinate le giuste indennità di occupazione legittima e di espropriazione, che assumeva provvisoriamente determinata in misura incongrua rispetto al valore venale del bene, come da comunicazione in data 19.12.2000.

Con sentenza n. 1062 del 30.03-12.04.2005, la Corte di appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti ed all’esito della disposta CTU, respinte le eccezioni di incompetenza e di difetto di legittimazione attiva sollevate dal Comune di San Prisco, in accoglimento della domanda introduttiva, determinava l’indennità di espropriazione nella complessiva somma di Euro 605.336,69 (comprensiva dell’indennità colonica) e l’indennità di occupazione legittima in misura corrispondente al saggio degli interessi legali sull’indennità di espropriazione, per il periodo decorso dal 22.07.1999 al 3.12.2001, ordinando all’ente locale il deposito di tali indennizzi presso la Cassa DDPP, previa detrazione di quanto già versato allo stesso titolo e con interessi legali sulla somma residua.

La Corte territoriale, argomentatamente recependo le condivise indicazioni dell’esperto d’ufficio, riteneva:

che dovesse farsi riferimento ai criteri previsti dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, per le aree edificabili, essendo il terreno incluso nella zona CI “residenziale di progetto (PEEP)” che il CTU aveva indicato il valore venale del bene in riferimento all’epoca del decreto ablativo, avvalendosi del metodo sintetico- comparativo, raffrontando i dati tratti da 5 atti pubblici di compravendita, di cui 4 rogati nel 1996 ed uno nel 2000, con notizie acquisite presso mediatori ed agenzie specializzate, che la stima espressa dal CTU non appariva scalfita dalle generiche deduzioni svolte dall’Ufficio Tecnico del Comune, peraltro fondate su atti relativi a compravendite di suoli di modeste dimensioni o di natura agricola che non fosse applicabile la decurtazione del 40% dell’indennizzo espropriativo, attesa l’entità della somma offerta agli espropriati che non fosse applicabile il meccanismo correttivo dell’indennizzo espropriativo, previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, in rapporto al valore dichiarato dall’espropriato ai fini dell’ICI, in quanto nella specie l’Istituto aveva presentato il 10.7.2000 una dichiarazione a fini ICI per l’anno 1999 (per un valore di L. 706.500.000), priva di completi riferimenti catastali e non coeva all’epoca di emanazione del decreto ablativo.

Avverso questa sentenza, notificata il 6.05.2005, il Comune di San Prisco ha proposto ricorso per cassazione notificato il 5.07.2005 ed affidato a due motivi. L’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero ha resistito con controricorso notificato il 19.09.2005 e depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il Comune di San Prisco denunzia:

1. “Violazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis e dei principi generali in tema di stima delle indennità di espropriazione per causa di pubblica utilità; motivazione omessa, insufficiente e illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente censura:

– il valore venale unitario, pari ad Euro 250,00 al mq, attribuito al terreno espropriato, di notevole estensione (mq 4.710), valore che assume determinato dalla Corte di merito con recepimento acritico e pedissequo delle conclusioni del CTU, su elementi assolutamente incerti e non riscontrabili, senza considerare le censure sollevate dal Comune e documentate attraverso la produzione di tre atti di compravendita, per le quali tale valore avrebbe dovuto oscillare intorno ad una media di Euro 70,00/90,00 al mq la mancata considerazione delle caratteristiche oggettive del terreno, la mancata dimostrazione da parte degli opponenti della piena edificabilità di esso e l’omessa considerazione dei costi di urbanizzazione la mancata applicazione della decurtazione del 40%.

Il motivo non merita favorevole apprezzamento.

In massima parte esso si sostanzia in critiche o smentite dal contenuto dell’impugnata pronuncia o non aderenti al metodo sintetico – comparativo applicato per la argomentata determinazione del valore venale del terreno ablato o generiche, apodittiche e carenti anche sotto il profilo dell’autosufficienza, considerando pure che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell1 insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr cass. n. 10222 del 2009). Inoltre, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza del 24 ottobre 2007 n. 348) del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, (convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992, n. 359), e della successiva disciplina della materia da parte della L. 24 dicembre 2007, n. 244, deve ritenersi superata la questione della concedibilità del “premio” del mancato abbattimento del 40 per cento del valore mediato del suolo espropriato, atteso che la detrazione è stata espressamente giudicata dalla Corte costituzionale priva di “qualsiasi riferimento, non puramente aritmetico, al valore del bene”.

2. “Violazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16; motivazione omessa, insufficiente e illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto determinare gli indennizzi attenendosi al criterio di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 e, quindi, recependo il minore valore dichiarato ai fini ICI nella dichiarazione presentata dall’Istituto Diocesano nel 2000 e relativa al 1999, ultimo anno di possesso de terreno, considerando l’inizio dell’autorizzata occupazione.

Il motivo non è fondato, giacchè i giudici di merito si sono attenuti all’inequivoco tenore letterale della norma ed al condiviso principio di diritto già affermato da questa Corte (cfr cass. n. 10934 del 2001 e n. 3741 del 2004), secondo cui “Ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 (che prevede una riduzione dell’indennità d’espropriazione nell’ipotesi in cui il valore del bene, indicato dall’espropriato ai fini dell’I.C.I., risulti inferiore alla menzionata indennità, oppure una maggiorazione di quest’ultima, pari alla differenza tra l’importo dell’imposta pagata dall’espropriato e quello risultante dal computo dell’imposta effettuato sulla base dell’indennità) il giudice deve compiere la comparazione tra l’indennità spettante al ricorrente ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e l’ultima dichiarazione del valore dell’immobile ai fini dell’ICI con riferimento alla data del provvedimento di espropriazione”.

Giova aggiungere che sebbene nelle more del giudizio la Corte Costituzionale, con la già richiamata sentenza n. 348 del 2007, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dei criteri di commisurazione dell’indennità di esproprio per le aree edificabili, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis il fatto che il ricorso sia stato proposto dall’amministrazione comunale e non anche dall’espropriato, comporta che la decisione non possa essere più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata, e, quindi, preclude la “reformatio in peius” in danno del primo ed in particolare di dare ingresso alle sopravvenute innovazioni normative, per le quali all’espropriato spetta un indennizzo di entità superiore a quella determinata dalla sentenza impugnata (cfr cass. n. 3175 del 2008 e n. 15835 del 2010).

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del Comune soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di San Prisco a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 7.700,00, di cui Euro 7.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011

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