Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15011 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15011 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

AMBROSINI Guerino, rappr. e dif. dall’avv. Giovanni Pasanisi, elett. dom. a
L’Aquila, via Chieti n. 16 ; come da procura a margine dell’atto
-ricorrente —
contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t.
-intimato-

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale Abruzzo 24.2.2009;
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m. ferro

Data pubblicazione: 17/07/2015

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 29 aprile 2015
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Rita Sanlorenzo,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Guerino Ambrosini impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale Abruzzo 24.2.2009 che, in riforma della sentenza C.T.P. di Teramo n.
10/02/2007, ebbe ad accogliere l’appello dell’Ufficio, rigettando quello incidentale
del contribuente, così affermando la legittimità del silenzio rifiuto opposto
dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso dell’IRAP chiesta per
gli anni dal 2000 al 2004.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello poteva essere accolto, quanto agli
anni 2002-2004, poiché ‘dal quadro RE della dichiarazione reddituale dell’avvocato
contribuente risultavano quote di ammortamento di beni strumentali, canoni di
locazione e consumi per importi non irrilevanti, mentre andava confermata la
decisione della C.T.P., e così decidendo reiettivamente l’appello incidentale, circa
l’inammissibilità della domanda di rimborso relativa agli anni 2000-2001,
incompatibile con la definizione condonistica attuata.
Il ricorso, circoscritta la controversia alle sole annualità dal 2002 al 2004, è
affidato a due motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art.360 co.1
n.5 cod.proc.civ., avendo contraddittoriamente indicato la C.T.R. i criteri seguiti per
giustificare il non concesso esonero dall’imposta ma poi non dando conto in
particolare della valenza, nella loro composizione a fini organizzativi, degli strumenti
utilizzati nell’attività.
Con il secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione insufficiente, in relazione
all’art.360 co.1 n.5 cod.proc.dv., avendo errato la C.T.R. nell’illustrazione, sintetica
ma non esaustiva né indicativa, degli elementi contabili acquisiti al processo e riferiti
però in sentenza solo alla consistenza quantitativa delle spese affrontate
dall’avvocato contribuente per la produzione del reddito professionale, invero
derivante da elementi esigui e propri di una minitnalità organizzativa che avrebbe
invece fondato l’esonero dall’IRAP, tanto più che mancava l’apporto del lavoro di
terzi.
1. Il ricorso è fondato. Osserva il Collegio che nelle censure, da trattare congiuntamente
per l’evidente connessione, ha trovato puntuale indicazione il fatto decisivo e
controverso in sé (cioè quello /a cui differente considerazione è idonea a comportare, con
certezza, una decisione diversa, Cass. 18368/2013), invero descritto nell’attività
autonomamente organizzata, per la quale il ricorrente, adducendo il vizio di
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erro

IL PROCESSO

Tale motivazione pertanto esprime in modo insufficiente ed eccessivamente sintetico,
oltre che omissivo quanto al lavoro di terzi ed ai reali fattori di spesa ed investimento,
gli elementi di fatto tenuti presenti nella qualificazione giuridica dell’attività svolta dal
contribuente, senza peraltro declinare le relative caratteristiche di organizzazione.
Parimenti, il giudizio di valore manifestato quanto ai beni organizzati nella propria
attività non si accompagna ad un riepilogo analitico di essi ovvero delle relative stime
d’importanza, mentre la qualificazione della loro significatività complessiva, per come
riassunta, è il portato di una pronuncia che comunque, nel merito, non identifica —
come detto – alcun assetto organizzativo, nonostante la corretta premessa sui requisiti
normativi e giurisprudenziali applicati dalla C.T.R. per giungere a tale finale risultato.
Sul punto dunque, efficacemente, il ricorrente fornisce gravi elementi di
contraddizione e manchevolezza rispetto alla tipologia di attività professionale, al dato
del lavoro altrui (assente), agli investimenti ed impieghi sui beni strumentali.
2.
Su tale questione, questa Corte già ebbe ad affermare, in tema di struttura
allocativa dell’onere della prova in materia e suggerendo al giudice di merito e a titolo
esemplificativo la valorizzazione delle dichiarazioni fiscali, che “si tratta di regola empirica
che facilita l’onere probatorio in un processo caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello
tributario, sostanzialmente incentrato sulle produzioni documentali e sugli eventuali poteri acquisitoti
riservati in via integrativa al giudice tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1). Fermo
restando che graverà sul contribuente che proponga domanda di ripetizione di indebito (contro il
silenzio-rifiuto od il diniego espresso di rimborso) dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, cioè
la mancanza della causa (autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale.” (Cass.
3678/2007). A tale riguardo, il duplice mezzo di censura condotto ai sensi dell’art.360
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insufficiente e contraddittoria motivazione, ha riportato nel ricorso gli addendi
sintetici dei costi dell’attività, riferiti al triennio 2002-2004, rispetto ai proventi finali,
nonché le modalità di svolgimento dell’attività professionale, prospettando altresì per
quali elementi di essi la motivazione avrebbe dovuto assumere connotazioni di diversa
giustificazione e dunque quali di essi fosse decisivo. Risulta invero pacifico che la
motivazione della sentenza della C.T.R. impegna in modo esplicito, ma assolutamente
generico — alla luce del raffronto con i dati forniti dal contribuente – proprio i due
fattori del nucleo essenziale del principio di diritto applicato dal giudice di merito,
consistente nell’aver individuato, con riguardo all’art.2 del d.lgs. n.446 del 1997, il
limite di applicazione della norma, cioè l’esistenza di un’autonoma organizzazione,
affermando in fatto il presupposto impositivo a carico del professionista ordinistico, la
cui attività venne riferita per l’utilizzo di “importi non irrilevanti” quanto a quote di
ammortamento di beni strumentali, canoni di locazione e consumi, senz’altra
specificazione e non riferendosi all’assenza di lavoro di terzi. Ed invece, dalla
prospettazione delle censure — e per come riassumono le precedenti difese anche
avanti alla C.T.P., la cui sentenza venne riformata — non appaiono tenuti in conto né
l’assenza di compensi corrisposti a. terzi, né la stretta inerenza dei costi di locazione e
di impiego di un’automobile ad uso promiscuo quali specifici esborsi per acquisti e
ammortamenti (mobiliari, spese immobiliari, consumi) che, nel rapporto rispetto ai
ricavi da attività professionale, non hanno rinvenuto alcuna illustrazione compiuta.

3. Come ricordato da recente arresto (Cass. 1662/2015), in tema di IRAP l’esercizio
per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diversa dall’impresa commerciale costituisce infatti, secondo l’interpretazione
costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. con la sentenza n. 156 del 2001,
presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente
organizzata. Il significato della nozione di autonoma organizzazione – introdotta nella
disciplina dell’IRAP dalla modifica dell’articolo 2 d.lgs. 446/97 recata dall’articolo 1
d.lgs. 137/98 – è stato individuato dalla Sezione Tributaria di questa Corte, a partire
dalle sentenze n. 3672, 3673, 3674, 3675, 36736, 73677, 3678, 3679 e 3680 del 16
febbraio 2007, secondo un duplice approccio. In primo luogo, di tale nozione è stata
fornita una definizione astratta, secondo formule variamente modulate, di cui le più
significative: “organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi’ ed accresca la
capacità produttiva del contribuente”; non, quindi, “un mero ausilio della attività personale, simile
a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dalla applicazione dell’IRAP” (sent.
3672/07); “un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante
dall’aggregazione di beni strumentali e/ o di lavoro altrui” (sent. 3673/07); “un contesto
organizzativo esterno anche ,minimo, derivante dall’impiego di capitali e/ o di lavoro altrui, che
potenzi l’attività intellettuale del singolo” vale a dire, una “struttura riferibile alla combinazione di
fattori produttivi, funzionale all’attività del titolare” (sent 3675/07); “uno o più elementi
suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità” “ovverosia un
quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in
grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista” (sent. 3676/07); “una struttura
organizzativa “esterna” del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista
si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera
attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how.”
(3678/07).
In secondo luogo, le suddette formule astratte sono state riempite di significato
concreto con un approccio empirico-induttivo, vale a dire mediante l’indicazione di
talune circostanze di fatto valutate come di per se stesse idonee a. manifestare la
sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione. Tali circostanze
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co.1. n.5 cod.proc.civ. permette di rilevare che, proprio con riguardo alle dichiarazioni
fiscali, la C.T.R. non ha fatto buon governo del principio di diritto indicato,
restituendo al controllo impugnatorio una motivazione insufficiente e lacunosa, cioè
esprimendo un giudizio di imponibilità dell’attività organizzativa riferibile al
professionista, contraddetto dalle plurime circostanze — assenza di costi per
collaboratori o dipendenti e valore alternativamente trascurabile dei beni strumentali —
per le quali si può invece e positivamente ipotizzare, al contrario ed almeno in
astratto, che il contribuente ha dimostrato di poter versare, per il periodo in esame,
nelle condizioni di mancanza di autonoma organizzazione. Va infatti applicato alla
materia il principio per cui costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta
asseritatnente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. s.u..
12108/2009; 13095/2012), ma al contempo la commissione di merito deve illustrare
gli elementi emersi dandone conto in modo anche analitico.

Così sintetizzati gli approdi ermeneutici raggiunti da questa Corte, Cass. 1662/2015
ha proseguito osservando che mentre la definizione astratta della nozione normativa di
autonoma organizzazione costituisce il risultato delfindividuazione del significato precettivo
dell’articolo 2 d.lgs. 446/97 offerto dalla Corte nell’esercizio della propria funzione nomofilattica,
l’enumerazione dei ‘fatti indice” sopra menzionati si risolve nella definizione di criteri empitici volti
ad orientare un accertamento in fatto che comunque perviene al giudice di merito. Infatti, come
precisato da Corte cost. nella sentenza n. 156/01, l’accertamento degli elementi di
organizzazione “in mancanza di 4,ecifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero
fatto”. Anche per la presente vicenda, il Collegio osserva che i “fatti indice” dedotti dalla
difesa del contribuente a sostegno della censura (modesto utilizzo di beni strumentali,
svolgimento personale in concreto dell’attività con le spese sostenute, difetto di
compensi erogati a terzi) in tanto manifestano l’assenza del requisito impositivo
dell’autonoma organizzazione in quanto risultino effettivamente idonei ad escludere
un contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professionista (ossia non
forniscano al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla personale attività di questi) e
si limitino a costituire un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera
agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica va condotta – con
riferimento all’utilizzo sia di beni strumentali che del lavoro altrui, oltre che delle sole
spese affrontate dal contribuente nella produzione del reddito – in base al criterio
dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo la tipicità socio-economica
della figura soggettiva e dell’attività prestazionale riconducibili al contribuente, così
acquisendo sensatezza economico-organizzativa il limite altrimenti solo verbale dell’id
quod pkrumque accidit, dunque parametrando lo svolgimento di una determinata attività
professionale e risolvendosi l’analisi degli elementi di capitale e lavoro altrui in una
considerazione che spetta valutativamente al solo giudice di merito e può essere
censurata in cassazione solo sotto il citato profilo del vizio motivazionale di cui al
numero 5 dell’art. 360 co. 1 cod.procciv. e nei limiti di decisività ricordati, nella specie
ben prospettati.

Pertanto il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla C.T.R.
Abruzzo, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.

P.Q.M.
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sono state individuate, in molteplici pronunce della Sezione Tributaria, confermate
anche dalle Sezioni Unite (sentt. 12108 e 12111 del 26.5.09), nel fatto che il
contribuente non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità
ed interesse (sia, cioè, il responsabile dell’organizzazione) e nel fatto che il
contribuente impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod
plerurnque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività anche in assenza di organizzazione o, alternativamente, si avvalga in modo
non occasionale di lavoro altrui. Nelle citate sentenze del 16 febbraio 2007 si è
peraltro precisato che l’accertamento in concreto del requisito dell’autonoma
organizzazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, come non avvenuto nella vicenda di causa.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia a C.T.R. Abruzzo, in diversa
composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2015.

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