Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15010 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15010 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

SENTENZA
’15
Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente —
contro

MONTARULI Fabrizio
-intimato-

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale Lazio 10.2.2009;
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Data pubblicazione: 17/07/2015

,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 29 aprile 2015
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato Giancarlo Caselli per l’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Rita Sanlorenzo,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale Lazio 10.2.2009, che, in conferma della sentenza C.T.P. di Roma n.
369/08/2007, ebbe a respingere l’appello dell’Ufficio, così affermando l’illegittimità
del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di
rimborso dell’IRAP chiesta per gli anni dal 2002 al 2004 e giudizialmente ammessa
sul presupposto per cui l’attività esercitata era priva dei requisiti organizzativi,
difettando la organizzazione di beni e di persone di cui all’art.2 d.lgs. n.446 del 1997.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello non poteva essere accolto, in
quanto il contribuente appellato esercitava la sua attività senza strumenti di entità
elevata, nella carenza di personale dipendente e comunque in una dimensione
organizzativa minimale, dovendo perciò escludersi che di per sé la predetta
fattispecie integrasse il presupposto impositivo dell’imposta reale in discussione.
Il ricorso è affidato a due motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 2697 cod.civ. e 18 e 23 d.lgs.
n. 546 del 1992, in relazione all’art.360 co.1 n.4 cod.proc.civ., avendo erroneamente
la C.T.R. addossato all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza degli elementi di fatto
idonei a giustificare l’applicazione dell’imposta.
Con il secondo motivo, si deduce il vizio di omessa motivazione, non dando conto
la sentenza in particolare degli elementi contabili e reddituali acquisiti al processo, e
prodotti dallo stesso contribuente – oltre che esposti dall’Agenzia – quanto ai beni
ammortizzabili, attinenti alle spese per beni strumentali.
1. Il ricorso è complessivamente non fondato, alla luce dei suoi due motivi, da trattare
unitariamente, stante l’intima loro connessione. Osserva il Collegio che nella seconda
censura ha trovato solo puntuale indicazione il fatto decisivo e controverso in sé (cioè
quello la cui differente considernione è idonea a comportare, con certeua, una decisione diversa,
Cass. 18368/2013), invero genericamente descritto con rinvio all’attività
autonomamente organizzata, per la quale la ricorrente, adducendo in particolare il
vizio di omessa motivazipne, ha riportato nel ricorso i ‘Quadri RE’ delle dichiarazioni
dei redditi della contribuente, prospettando altresì siccome determinanti ai fini di una
differente pronuncia il mero valore dei beni ammortizzabili, il cui riscontro — stante la
modestia delle spese e delle altre voci menzionate — esclude l’appartenenza ad
elementi idonei a far assumere alla motivazione sicure connotazioni di diversa
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. m.ferro

.-

2. Come ricordato da recente arresto (Cass. 1662/2015), in tema di IRAP l’esercizio
per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diversa dall’impresa commerciale costituisce infatti, secondo l’interpretazione
costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. con la sentenza n. 156 del 2001,
presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente
organizzata. Il significato della nozione di autonoma organizzazione – introdotta nella
disciplina dell’IRAP dalla modifica dell’articolo 2 dags. 446/97 recata dall’articolo 1
d.lgs. 137/98 – è stato individuato dalla Sezione Tributaria di questa Corte, a partire
dalle sentenze n. 3672, 3673, 3674, 3675, 36736, 73677, 3678, 3679 e 3680 del 16
febbraio 2007, secondo un duplice approccio. In primo luogo, di tale nozione è stata
fornita una definizione astratta, secondo formule variamente modulate, di cui le più
significative: “organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la
capacità produttiva del contribuente”; non, quindi, “un mero ausilio della attività personale, simile
a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dalla applicazione de/l’IRA?’ (sent
3672/07); “un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante
dall’aggregazione di beni strumentali e/ o di lavoro altrui’ (sent 3673/07); “un contesto
organizzativo esterno anche minimo, derivante dall’impiego di capitali e/ o di lavoro altrui, che
potenzi l’attività intellettuale del singolo” vale a dire, una “struttura rifiribile alla combinazione di
fattori produttivi, funzionale all’attività del titolare” (sent. 3675/07); “uno o più elementi
suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità” “ovverosia un
quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in
grado di fornire un copreuabile apporto al professionista” (sent 3676/07); “una struttura
organizzativa “esterna” del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista
si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera
attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how.”
(3678/07).
In secondo luogo, le suddette formule astratte sono state riempite di significato
concreto con un approccio empirico-induttivo, vale a dire mediante l’indicazione di
talune circostanze di fatto valutate come di per se stesse idonee a manifestare la
sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione. Tali circostanze
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m.ferro

giustificazione. Tale constatazione rende irrilevante la violazione dedotta con il primo
motivo, anche in ragione della enunciazione della regola di riparto dell’onere
probatoria (pur se errata) comunque espressa dalla C.T.R. in termini aggiuntivi
rispetto ad un principale e concludente apprezzamento di merito denegativo della
organizzazione autonoma dell’attività del contribuente. Risulta invero pacifico che la
motivazione della sentefiza della C.T.R. impegna in modo netto — alla luce del
raffronto con i dati contabili forniti per gli anni dal 2002 al 2004 – proprio i due
fattori del nucleo essenziale del principio di diritto applicato dal giudice di merito,
consistente nell’aver individuato, con riguardo all’art.2 del d.lgs. n.446 del 1997, il
limite di applicazione della norma, cioè l’inesistenza di un’autonoma organizzazione,
negando in fatto il presupposto impositivo a carico del lavoratore autonomo, la cui
attività viene riferita — oltre che senza dipendenti o collaboratori — per un utilizzo di
beni strumentali impiegati nella sola misura del “minimo indispensabile”.

Così sintetizzati gli approdi ermeneutici raggiunti da questa Corte, Cass. 1662/2015
ha proseguito osservando che mentre la definizione astratta della nozione normativa di
autonoma organizzazione costituisce il risultato delfindividuazione del significato precettivo
dell’articolo 2 digs. 446/97 offerto dalla Corte nell’esercizio della propria funzione nomofilattica,
l’enumerazione dei “fatti indice” sopra menzionati si risolve nella definizione di criteri empirici volti
ad orientare un accertamento in fatto che comunque pertiene al giudice di merito. Infatti, come
precisato da Corte cost nella sentenza n. 156/01, l’accertamento degli elementi di
organizzazione “in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero
fatto”. Anche per la presente vicenda, il Collegio osserva che i “fitti indice” dedotti dalla
difesa erariale a sostegno della censura (utilizzo di beni strumentali) in tanto avrebbero
manifestato (ove valorizati) il requisito impositivo dell’autonoma organizzazione, in
quanto fossero risultati — già in astratto — ipoteticamente idonei ad integrare “un
contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professionista (fornendo al
medesimo un apporto ulteriore rispetto alla personale attività di questi) e non si
fossero limitati a costituire un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera
agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale sollecitata nuova verifica,
con riferimento all’utilizzo sia di beni strumentali (esposti per valori modesti) che
dell’eventuale lavoro altrui (non invocato), solo alle citate condizioni avrebbe
integrato il criterio dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo la tipicità
socio-economica della figura so14:ettiva e dell’attività prestazionale riconducibili al
contribuente, così acquisendo sensatezza economico-organizzativa il limite dell’id quod
plerumque accidit.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL

Pertanto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2015.

3..1U6
1116. 2 015 –

sono state individuate, in molteplici pronunce della Sezione Tributaria, confermate
anche dalle Sezioni Unite (sentt. 12108 e 12111 del 26.5.09), nel fatto che il
contribuente non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità
ed interesse (sia, cioè, il responsabile dell’organizzazione) e nel fatto che il
contribuente impieghi b9ni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod
plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività anche in assenza di organizzazione o, alternativamente, si avvalga in modo
non occasionale di lavoro altrui. Nelle citate sentenze del 16 febbraio 2007 si è
peraltro precisato che l’accertamento in concreto del requisito dell’autonoma
organizzazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, come non avvenuto nella vicenda di causa.

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