Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15009 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15009 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

A2

,

i5

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente —
contro

FURLOTTI Davide
-intimato-

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estensore

Data pubblicazione: 17/07/2015

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut Regionale Emilia Romagna,
sez.staccata Parma 9.2.2009;

i

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 29 aprile 2015
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato Giancarlo Caselli per l’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Rita Sanlorenzo,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributari
Regionale Emilia Romagna, sez. staccata Parma, 9.2.2009, che, in conferma della
sentenza C.T.P. di Piacenza n. 54/02/2006, ebbe a respingere l’appello dell’Ufficio,
così affermando l’illegittimità del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione
finanziaria avverso l’istanza di rimborso dell’IRAP chiesta per gli anni dal 1998 al
2003 e giudizialmente ammessa per gli stessi con l’eccezione del primo di essi, sul
presupposto — invero dichiarato dalla C.T.P. — per cui la professione esercitata, quale
dottore commercialista individuale, era priva dei requisiti organizzativi, difettando la
organizzazione di beni e di persone di cui all’art.2 d.lgs. n.446 del 1997.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello non poteva essere accolto, in
quanto il contribuente appellato esercitava la sua attività senza strumenti di entità
elevata e nella carenza di personale dipendente e, comunque, stante la necessaria
presenza del professionista intellettuale nell’organizzazione, doveva escludersi che di
per sé la predetta attività integrasse il presupposto impositivo dell’imposta reale in
discussione.
Il ricorso è affidato ad un motivo.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il motivo, si deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art.360 co.1 n.5
cod.proc.civ., avendo omesso la C.T.R. di indicare i criteri seguiti per giustificare il
concesso esonero dall’imposta, non dando conto in particolare degli elementi
contabili acquisiti al processo, e prodotti dallo stesso contribuente – oltre che esposti
dall’Agenzia – quanto alle dichiarazioni dei redditi e i relativi quadri RE, attinenti alle
spese per beni strumentali e ai compensi corrisposti a terzi.

1. Il ricorso è fondato. Osserva il Collegio che nella censura ha trovato puntuale
indicazione il fatto decisivo e controverso in sé (cioè quello la cui differente considerazione
è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa, Cass. 18368/2013), invero descritto
nell’attività autonomamente organizzata, per la quale la ricorrente, adducendo il vizio
di insufficiente motivazione, ha riportato nel ricorso i ‘Quadri RE’ delle dichiarazioni
dei redditi della contribuente, prospettando altresì per quali elementi di essi la
motivazione avrebbe dovuto assumere connotazioni di diversa giustificazione e
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estensore

.ferro

.,

Tale motivazione esprime in modo incompiuto ed eccessivamente sintetico, oltre che
omissivo quanto al lavoro di terzi (che va precisato in relazione alla tipologia di
apporto), gli elementi di fatto tenuti presenti nella qualificazione giuridica dell’attività
svolta dal contribuente, senza peraltro declinare le relative caratteristiche di
organizzazione. Parimenti, il giudizio di valore manifestato quanto ai beni organizzati
nella propria attività non si accompagna ad un riepilogo analitico di essi ovvero delle
relative stime d’importanza, mentre la qualificazione della loro significatività
complessiva, per come riassunta, è il portato di una pronuncia che comunque, nel
merito, non identifica — come detto – alcun assetto organizzativo, nonostante la lunga
premessa sui requisiti normativi e giurisprudenziali applicati dalla C.T.R. per giungere
a tale finale risultato. Sul punto dunque, efficacemente, la ricorrente fornisce gravi
elementi di contraddizione e manchevolezza rispetto alla tipologia di attività
professionale, al dato del lavoro altrui, agli investimenti ed impieghi sui beni
strument2li.
2. Su tale punto, questa Corte già ebbe ad affermare, in tema di struttura allocativa
dell’onere della prova in materia e suggerendo al giudice di merito e a titolo
esemplificativo la valorizzazione delle dichiarazioni fiscali, che “si tratta di regola empirica
che facilita l’onere probatorio in un processo caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello
tributario, sostanzialmente incentrato sulle produzioni documentali e sugli eventuali poteri acquisitovi
riservati in via integrativa atgiudice tributario (13.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1). Fermo
restando che graverei sul contribuente che proponga domanda di ripetizione di indebito (contro il
silenzio-rifiuto od il diniego espresso di rimborso) dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, cioè
la mancanza della causa (autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale.” (Cass.
3678/2007). A tale riguardo, il mezzo di censura condotto ai sensi dell’art.360 co.1.
n.5 cod.proc.civ. permette di rilevare che, proprio con riguardo alle dichiarazioni
fiscali, la C.T.R. non ha fatto buon governo del principio di diritto indicato,
restituendo al controllo impugnatoti° una motivazione insufficiente, cioè esprimendo
un giudizio di minimalità organizzativa riferibile al professionista, contraddetto dalle
plurime circostanze — presenza di costi per lavori di terzi e valore non di per sé
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estensore iimferro

dunque quali di essi fosse decisivo. Risulta invero pacifico che la motivazione della
sentenza della C.T.R. impegna in modo esplicito, ma assolutamente generico — alla
luce del raffronto con i dati contabili forniti per gli anni dal 1999 al 2003 – proprio i
due fattori del nucleo essenziale del principio di diritto applicato dal giudice di merito,
consistente nell’aver individuato, con riguardo all’art.2 del d.lgs. n.446 del 1997, il
limite di applicazione della norma, cioè l’inesistenza di un’autonoma organizzazione,
negando in fatto il presupposto impositivo a carico del professionista ordinistico, la
cui attività venne riferita quale senza dipendenti o collaboratori e con utilizzo di beni
strument2li di modesto valore. Ed invece, dalla prospettazione delle censure — e per
come riassumono le precedenti difese anche d’appello — non appaiono tenuti in conto
né i compensi corrisposti a terzi almeno per gli anni 2000-2003 (la cui natura esige un
chiarimento), né gli specifici esborsi per acquisti e ammortamenti mobiliari, spese
immobiliari, consumi che, nel rapporto rispetto ai ricavi da attività professionale, non
hanno rinvenuto alcuna illustrazione critica.

3. Come ricordato da recente arresto (Cass. 1662/2015), in tema di IRAP l’esercizio
per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diversa dall’impresa commerciale costituisce infatti, secondo l’interpretazione
costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. con la sentenza n. 156 del 2001,
presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente
organizzata. Il significato della nozione di autonoma organizzazione – introdotta nella
disciplina dell’IRAP dalla modifica dell’articolo 2 d.lgs. 446/97 recata dall’articolo 1
d.lgs. 137/98 – è stato individuato dalla Sezione Tributaria di questa Corte, a partire
dalle sentenze n. 3672, 3673, 3674, 3675, 36736, 73677, 3678, 3679 e 3680 del 16
febbraio 2007, secondo un duplice approccio. In primo luogo, di tale nozione è stata
fornita una definizione astratta, secondo formule variamente modulate, di cui le più
significative: “organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la
capacità produttiva del contribuente”; non, quindi, “un mero ausilio della attività personale, simile
a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dalla applicazione dell’IRAP” (sent.
3672/07); “un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante
dall’aggregazione di beni strumentali e/ o di lavoro altrui’ (sent 3673/07); “un contesto
organizzativo esterno anche minimo, derivante dall’impiego di capitali el o di lavoro altrui, che
potenzi l’attività intellettuale del singolo” vale a dire, una “struttura n:feribile alla combinazione di
fattori produttivi, funzionale all’attività del titolare” (sent. 3675/07); “uno o più elementi
suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità” “ovverosia un
quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in
grado di fornire un apprezzabile «orto al professionista” (sent 3676/07); “una struttura
organizzativa “esterna” del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista
si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera
attività intellettuale stipportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how.”
(3678/07).
In secondo luogo, le su’ ddette formule astratte sono state riempite di significato
concreto con un approccio empirico-induttivo, vale a dire mediante l’indicazione di
talune circostanze di fatto valutate come di per se stesse idonee a manifestare la
sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione. Tali circostanze
sono state individuate, in molteplici pronunce della Sezione Tributaria, confermate
anche dalle Sezioni Unite (sentt. 12108 e 12111 del 26.5.09), nel fatto che il
contribuente non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità
ed interesse (sia, cioè, il responsabile dell’organizzazione) e nel fatto che il
contribuente impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’ id quod
plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività anche in assenza di organizzazione o, alternativamente, s .vvalga in modo
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estensorlios, rn.ferro

trascurabile dei beni strumentali — per le quali si può invece e negativamente
ipotizzare, al contrario, che il contribuente non ha dimostrato di versare, per il
periodo in esame, nelle condizioni di mancanza di autonoma organizzazione. Va
infatti applicato alla materia il principio per cui costituisce onere del contribuente, che chieda il
rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni
(Cass. s.u.. 12108/2009; 13095/2012).,

Così sintetizzati gli approdi ermeneutici raggiunti da questa Corte, Cass. 1662/2015
ha proseguito osservando che mentre la definizione astratta della nozione normativa di
autonoma organizzazione costituisce il risultato dell’individuazione del significato precettivo
dell’articolo 2 digs. 446197 offerto dalla Corte nell’esercizio della propria funzione nomofilattica,
fenumerazione dei 7atti indice” sopra menzionaii si risolve nella definizione di criteri empitici volti
ad orientare un accertamento in fatto che comunque per/iene al giudice di merito. Infatti, come
precisato da Corte cost. nella sentenza a 156/01, l’accertamento degli elementi di
organizzazione “in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero
fatto”. Anche per la presente vicenda, il Collegio osserva che i “fatti indice” dedotti dalla
difesa erariale a sostegno della censura (utilizzo di beni strumentali, compensi erogati a
terzi) in tanto manifestano il requisito impositivo dell’autonoma organizzazione in
quanto risultino effettivamente idonei ad integrare “un contesto organizzativo esterno”
rispetto all’operato del professionista (ossia forniscano al medesimo un apporto
ulteriore rispetto alla personale attività di questi) e non si limitino a costituire un mero
ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di
svolgimento. Tale verifica va condotta – con riferimento all’utilizzo sia di beni
strumentali che del lavoro altrui – in base al criterio dell’eccedenza rispetto al minimo
indispensabile secondo la tipicità socio-economica della figura soggettiva e dell’attività
prestazionale riconducibili al contribuente, così acquisendo sensatezza economicoorganizzativa il limite altrimenti solo verbale dell’id quod plerumque accidit, dunque
patametrando lo svolgimento di una determinata attività professionale e risolvendosi
l’analisi degli elementi di capitale e lavoro altrui in una considerazione che spetta
valutativamente al solo giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo
sotto il citato profilo del vizio motivazionale di cui al numero 5 dell’art. 360 co. 1
cod.proc.civ. e nei limiti di dedsività ricordati e nella specie ben prospettati.
Pertanto il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla C.T.R.
Emilia Romagna, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia a C.T.R. Emilia Romagna, in diversa
composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2015.

non occasionale di lavoro altrui. Nelle citate sentenze del 16 febbraio 2007 si è
peraltro precisato che l’accertamento in concreto del requisito dell’autonoma
organizzazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, come non avvenuto nella vicenda di causa.

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