Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15008 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. II, 28/05/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 28/05/2021), n.15008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4828/2016 proposto da:

SICIL FER DI R.F.S. S.A.S., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LIVORNO n. 42, presso lo studio dell’avvocato GINA ALESSANDRA

TRAFFICANTE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO MARAGLIANO;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL SERAFICO n.

90, presso lo studio dell’avvocato DARIO SCIME’, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1613/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 26.10.2006 la Sicil Fer S.a.s. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Agrigento in favore di M.G., con il quale era stato ingiunto all’opponente il pagamento della somma di Euro 96.523,20 a titolo di saldo del compenso relativo alle prestazioni professionali rese dell’opposto per la redazione di un business plan utilizzato dall’opponente per il conseguimento di un finanziamento pubblico. L’opponente deduceva, in particolare, il proprio difetto di legittimazione passiva, perchè l’incarico era stato conferito al M. da una diversa società, nonchè il mancato completamento, e comunque il totale pagamento, della prestazione resa dal professionista.

Si costituiva in giudizio il M., resistendo all’opposizione ed invocando la conferma del decreto ingiuntivo. In particolare, l’opposto deduceva che la convenzione stipulata tra le parti prevedeva un compenso parametrato al 3% dell’importo finanziato, e che la società opponente aveva percepito un finanziamento pari a Lire 5.138.160.000.

Con sentenza n. 1160 del 2010 il Tribunale di Agrigento rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alle spese del grado.

Interponeva appello la Sicil Fer S.a.s. e la Corte di Appello di Palermo, nella resistenza del M., rigettava, con la sentenza oggi impugnata, n. 1613/2015, il gravame, condannando l’appellante anche alle spese del secondo grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza la Sicil Fer S.a.s., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso M.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1365 e 1366 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente limitato l’indagine ermeneutica condotta sulla convenzione sottoscritta dalle parti ad alcune clausole della stessa, senza apprezzarne il senso complessivo. Ad avviso della ricorrente, infatti, l’incarico conferito al M. non aveva ad oggetto soltanto la redazione del business plan occorrente per l’istruzione della domanda volta all’ottenimento del finanziamento pubblico, ma anche la cura dell’intero iter burocratico occorrente, fino al “ricevimento del decreto di finanziamento”. In mancanza di ulteriori specificazioni, detto decreto doveva essere individuato con l’atto di definitiva conferma dell’erogazione, e non invece con il decreto provvisorio, tanto più che nella convenzione si faceva riferimento all’impegno del professionista di assistere la società “… in ogni fase dell’istruttoria e nel corso delle erogazioni”.

Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte distrettuale non avrebbe offerto alcuna motivazione a sostegno dell’interpretazione della convenzione sottoscritta dalle parti in concreto prescelta. In particolare, la ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto l’attività del M. conclusa con la sola redazione del business plan e con l’emissione del decreto provvisorio di finanziamento, laddove – al contrario – il tenore degli accordi era nel senso che il professionista avrebbe dovuto assistere la società sino al decreto definitivo ed al completamento dell’intero iter della pratica di ammissione al contributo pubblico e della sua relativa erogazione.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate.

La Corte di Appello ha infatti esaminato il contenuto degli accordi intercorsi tra le parti ed ha ritenuto che “L’incarico scritto ricevuto dall’appellato individuava chiaramente le prestazioni da eseguire alla realizzazione di un Business Plan al fine di ottenere il finanziamento previsto dalla L. n. 622 del 1996, senza riferimento ad attività successive, e individuava in modo altrettanto chiaro l’entità del corrispettivo nella misura del 3% dell’investimento “al ricevimento del decreto di finanziamento”. Ed è ampiamente documentato che – per effetto determinante delle prestazioni eseguite dall’appellato, in primo luogo consistenti nella redazione del Business Plan, sul quale l’istituto bancario espresse parere favorevole- la società appellante conseguì il finanziamento a fondo perduto di lire 5.138.136.000 di cui al decreto provvisorio n. 2389 del 27 novembre 2000 del Ministero del Tesoro… Nè rileva il carattere “provvisorio” del finanziamento, perchè il decreto definitivo costituisce un atto finale che viene emesso solo dopo che la società appellante dimostrerà di avere effettivamente espletato il programma predisposto nel business plan, e potrebbe essere revocato esclusivamente da vizi od errori commessi successivamente alla data del decreto… per fattori quindi che esulano dalle prestazioni oggetto dell’incarico scritto ricevuto dall’appellato -e di cui egli non potrebbe pertanto considerarsi responsabile – posto che, secondo quanto già sottolineato, il contatto aveva ad oggetto la realizzazione del Business Plan e della “progettazione economico finanziaria” finalizzata ad ottenere il finanziamento, ma non certo la concreta attuazione Il della successiva attività imprenditoriale” (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata). Si tratta di una interpretazione del contenuto del contratto che, ben lungi dall’essere meramente apparente, come ritiene la società ricorrente, appare invece coerente, scevra da insanabili contrasti logici, e dunque non implausibile: secondo la Corte territoriale, in sostanza, l’incarico si era esaurito con la redazione delle prestazioni professionali finalizzate all’ottenimento del finanziamento, che la società ricorrente aveva pacificamente percepito nella misura di Lire 5.138.160.000, e dunque su tale importo doveva essere parametrato il compenso a percentuale pattiziamente stabilito a favore del M.. A tale interpretazione la società ricorrente contrappone una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, senza tuttavia riportare l’integrale contenuto del documento contrattuale, nè indicare quale sarebbe il canone interpretativo asseritamente violato dal giudice di merito. Il solo frammento riportato dal ricorrente, infatti, non è sufficiente a far comprendere se, e quale, violazione di legge si sarebbe prodotta. Va, sul punto,ribadito che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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