Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15005 del 17/07/2015
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15005 Anno 2015
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p . t . , domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’ Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex l ege
– ricorrente –
)g-0
contro
19.
Italdesign-Giugiaro spa, in persona del legale
rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in
Roma Viale Giuseppe Mazzini 11, presso lo studio
della Prof.Avv.to Livia Salvini, che la rappresenta
e difende, unitamente all’Avv.to Giancarla Branda,
in forza di procura speciale alle liti, autenticata
nella firma da Notaio Palea in Torino, in atti
–
controricorrente
–
avverso la sentenza n. 40/02/2009 della Commissione
Tributaria regionale del Piemonte, depositata il
5/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 27/03/2015 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avvocato dello Stato, Carla Colelli, per
parte ricorrente, e l’Avv.to Gabriele Escalar, per
Data pubblicazione: 17/07/2015
parte controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per
cassazione, affidato ad un unico motivo, nei
confronti della Italdesign – Giugiaro spa (che
della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.
n. 40/02/2009, depositata in data 20/05/2009, con
la quale – in una controversia concernente le
separate impugnazioni di due avvisi di accertamento
emessi, per IRPEG ed IRAP dovute negli anni 2002 e
2003, a seguito del recupero a tassazione del
maggior reddito imponibile,
rappresentato dai
ricavi per interessi corrispettivi derivanti da un
finanziamento, di C 2.000.000,00, concesso, nel
2002, dalla società italiana alla controllata (al
100%) francese Italdesign-France sarl, a titolo di
mutuo
infruttifero,
ma
ritenuto
dall’Ufficio
erariale integrante un’ipotesi di transfer pricing,
con conseguente rideterminazione degli interessi
attivi,
presuntivamente
maturati
e
non
contabilizzati, in applicazione del tasso
“prime
rate” ABI, tempo per tempo vigente – sono state
confermate le decisioni di primo grado, che avevano
accolto i distinti ricorsi della contribuente.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere
gli appelli, riuniti, dell’Agenzia delle Entrate,
hanno sostenuto che, nella specie, non ricorreva
un’ipotesi di
“transfer pricing”, stante la piena
legittimità, civilistica e fiscale, del mutuo
infruttifero di interessi, stipulato nel concreto
dalla società contribuente.
resiste con controricorso), avverso la sentenza
4
La controricorrente ha depositato memoria ex
art.378 c.p.c.
Considerato in diritto.
1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con
unico motivo, la violazione o falsa applicazione,
ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.110 comma 7 del
DPR 917/1986 (già art.76 coma 6, nella numerazione
vigente sino all’annualità d’imposta 2002), dovendo
transfer
pricing ad un finanziamento concesso, da società
italiana
società
a
interamente
controllata
stabilita in Francia, in ragione del fatto che le
parti hanno convenuto che si tratti di un
finanziamento infruttifero.
2. La censura è infondata.
2.1. Giova illustrare anzitutto il quadro normativo
di riferimento.
La normativa sul transfer pricing ha la finalità di
consentire
all’Amministrazione
finanziaria
un
controllo dei corrispettivi applicati alle
operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse
tra società collegate e/o controllate residenti in
nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano
aggiustamenti
“artificiali”
di tali prezzi,
determinati dallo scopo di ottimizzare il carico
fiscale di gruppo, ad esempio, canalizzando il
reddito verso le società dislocate in aree o
giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più
mite.
Laddove il prezzo di trasferimento, nei suddetti
rapporti tra società, una delle quali italiana,
facenti parte di un medesimo gruppo, sia ritenuto
non conforme al c.d.
“valore normale” o prezzo di
libera concorrenza, in difetto di rettifica in
aumento della dichiarazione dei redditi da parte
3
ritenersi applicabile la disciplina del
t
della
stessa
contribuente,
l’Amministrazione
finanziaria potrà rettificare in aumento
corrispettivi di vendita inferiori al valore
normale o rettificare in diminuzione i costi
superiori al valore normale.
L’art.76 del TUIR, secondo la numerazione vigente
ratione temporis, comma 5 ° (ora art.110 comma 7),
“I componenti del reddito
derivanti
da
operazioni
con
residenti
nel
territorio
dello
societa’ non
Stato
che,
direttamente o indirettamente, controllano
l’impresa, ne sono controllate o sono controllate
dalla stessa societa’ che controlla l’impresa, sono
valutati in base al valore normale del beni ceduti,
dei servizi prestati e del beni e servizi
ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne
deriva aumento del reddito; la stessa
disposizione si applica anche se ne deriva una
diminuzione del reddito, ma soltanto esecuzione
degli accordi conclusi con le autorita’ competenti
degli Stati esteri a seguito delle speciali ”
procedure amichevoli” previste dalle convenzioni
internazionali contro le doppie imposizioni,
sui redditi”.
La norma costituisce – in conformità con le linee
guida fissate dall’art. 9 del modello di
convenzione fiscale OCSE (Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico) sulla
determinazione dei prezzi di trasferimento per le
imprese multinazionali e per le amministrazioni
finanziarie (1995-2010) – una deroga al principio
per cui, nel sistema di imposizione sul reddito,
questo viene determinato sulla base dei
corrispettivi pattuiti dalle parti della singola
transazione commerciale.
stabiliva che
Nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni,
stipulate dall’Italia, che seguono il Modello OCSE,
invero, il fenomeno del transfer pricing è
affrontato nell’art. 9, il quale, nell’obiettivo di
coordinare le concorrenti potestà fiscali degli
Stati rispetto alle fattispecie con elementi di
estraneità, onde evitare la doppia imposizione
internazionale, attribuisce agli Stati contraenti
gli utili che sarebbero stati realizzati se le
imprese residenti nei due Stati avessero regolato
le loro relazioni commerciali o finanziarie in base
alle condizioni che sarebbero state convenute tra
imprese indipendenti.
Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultino,
dunque, scarsamente attendibili e possano essere
manipolati in danno del Fisco italiano, come nel
caso degli scambi transnazionali tra soggetti i cui
processi decisionali sono condizionati, poiché
funzionali ad un unitario centro di interessi, i
corrispettivi medesimi sono sostituiti, per volontà
di legge, dal
“valore normale”
dei beni o dei
servizi oggetto dello scambio, qualora tale
sostituzione ricada, in concreto, a vantaggio del
Fisco italiano.
Più precisamente, al verificarsi di determinati
presupposti soggettivi (impresa residente ed
impresa non residente e legame di controllo tra le
due), il legislatore prevede la sostituzione del
prezzo praticato con il valore normale, ossia con
un valore non alterato dalle strategie fiscali del
gruppo e calcolato tenendo conto dei prezzi di
mercato.
Secondo l’art.9 del TUIR, DPR 917/1986, nel testo
vigente
ratione temporis,
5
comma 3 ° , per valore
la possibilità di assoggettare a tassazione anche
normale si intende
“il prezzo o corrispettivo
mediamente praticato per i beni e i servizi
della stessa specie o similari, in condizioni di
libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione,
tempo
luogo
i beni o servizi sono stati acquisiti
o prestati, e, in mancanza,
luogo più prossimi.
valore
e nel
nel tempo e nel
Per la determinazione del
normale si fa riferimento, in quanto
possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto
che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza,
alle mercuriali
di
commercio
e
e
ai
listini delle camere
alle
tariffe professionali,
tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e
i servizi soggetti
a disciplina
dei prezzi
si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.
2.2. Le manovre sui prezzi di trasferimento
applicati nelle operazioni tra parti legate da
rapporti di controllo societario vengono dunque
perseguite, a livello internazionale, non tanto
perché rivolte al conseguimento di un indebito
risparmio fiscale (pur ottenibile attraverso le
stesse), quanto perché distorcono la corretta
allocazione tra gli Stati delle basi imponibili
generate dagli scambi trasnfrontalieri.
Con esse si realizza infatti un artificiale
aggiustamento del prezzo di scambio di beni e/o di
servizi (possibile tra le società considerate dalla
norma, in quanto facenti capo a un unitario centro
di interesse economico) teso, fondamentalmente,
secondo l’ottica assunta dal legislatore fiscale,
non solo italiano, a spostare all’estero flussi di
reddito prodotti nello Stato: applicando, in sede
di controllo, in sostituzione di quello pattuito,
il “valore normale” del prezzo di trasferimento,
6
in cui
nel
calcolato ai sensi dell’art.9 coma 3 del TUIR,
l’operazione deve produrre nel soggetto passivo
d’imposta, residente nello Stato,
reddito imponibile”
“un aumento del
(Cass. 17953/2012;
Cass.27087/2014).
Va, invero, rilevato come le manovre sui prezzi di
trasferimento infragruppo possono essere motivate
anche da ragioni diverse da quella del vantaggio
abbassare gli utili prodotti in Paesi ad alta
instabilità politica, di aggirare le normative anti
– dumping, di penetrare nuovi mercati, di contenere
i rischi di cambio, di avvalersi di ordinamenti che
tutelano il segreto bancario.
Una finalità antielusiva è pur compresa, ma non
esaurisce gli obiettivi dello strumento.
2.3. La disciplina suddetta costituisce in ogni
caso,
secondo
certo
un
orientamento
giurisprudenziale di questa Corte, una chiara
“clausola antielusiva”,
in linea con i principi
comunitari in tema di divieto di abuso del diritto,
implicante
l’inopponibilità
all’Amministrazione
finanziaria degli effetti di un negozio posto in
essere al solo, essenziale, scopo di eludere
principi
l’applicazione di norme fiscali –
codificati, nell’ambito dei tributi armonizzati,
quali l’IVA, nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia (cfr. C.Gius. 21/02/2006, causa C-255/02;
C.Gius. 21/02/2008, causa C.425/06), ma immanenti
altresì
nell’ordinamento
interno
e
dunque
applicabile anche ai tributi non armonizzati, quali
le imposte sui redditi (Cass. S.U. 30055/2008).
La lettura predetta individua nelle disposizioni in
esame, gli artt. 76 (ora 110) e
norma antielusiva
9
del TUIR, una
finalizzata ad evitare che,
7
fiscale, quali, ad esempio, l’obiettivo di
all’interno
del
gruppo
di
società,
vengano
effettuati trasferimenti di utili mediante
l’applicazione di prezzi inferiori o superiori al
valore normale dei beni ceduti, al fine di
sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a
favore di tassazioni estere inferiori (cfr. Cass.
22023/06, 11226/07, 11949/12) o comunque a favore
di situazioni che rendano fiscalmente conveniente
diverse da quelle nazionali.
Questa Corte ha quindi affermato che “l’onere della
prova gravante sull’Ufficio – nella materia in
esame del transfer priclng – resta limitato alla
dimostrazione dell’esistenza di transazioni tra
imprese collegate e dello scostamento evidente tra
il corrispettivo pattuito e quello di mercato
(valore normale), non essendo tale onere esteso
alla prova della funzione elusiva dell’operazione”,
e che, per contro,
“a fronte degli elementi
probatori offerti dall’Amministrazione, incombe sul
contribuente l’onere di dimostrare – in forza del
principio di vicinanza della prova, desumibile
dall’art. 2697 c.c. – non soltanto l’esistenza e
l’inerenza dei costi dedotti, ma anche ogni altro
elemento che consenta all’Ufficio di ritenere che
la transazione sia intervenuta per valori di
mercato da considerarsi normali alla stregua del
disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9,
comma 3” (Cass. 22010/2013; Cass. 10742/2013).
Secondo tale orientamento, essendo precluso al
contribuente conseguire vantaggi fiscali – come lo
spostamento dell’imponibile presso le imprese
associate che, nel territorio, godano di esenzioni
o minor tassazione – mediante l’uso distorto, pur
se
non
contrastante
con
8
alcuna
specifica
l’imputazione di utili ad articolazioni del gruppo
disposizione di legge, di strumenti giuridici
idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni
economiche diverse dalla mera aspettativa di quei
benefici, occorre la dimostrazione che vi sia stato
“trasferimento di utili tramite applicazione di
prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti,
onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore
di tassazioni estere inferiori”
(Cass. 11226/2007;
2.4. Ora, nella specie, non risulta dimostrato né
che ricorresse il requisito del trasferimento di
utili verso paesi aventi regime fiscale
privilegiato, né che non vi fossero valide ragioni
economiche, avendo la contribuente anzi allegato,
sin dai ricorsi introduttivi, che il mutuo aveva lo
scopo di finanziare la controllata francese per
l’acquisto della partecipazione in altra società
francese.
2.5. Peraltro, proprio in relazione a fattispecie
concernente la stipulazione di un finanziamento
gratuito, questa Corte, di recente (Cass.
27087/2014), – precisando che il sistema del c.d.
“valore normale”
del bene o servizio scambiato,
descritto dal combinato disposto dell’art.9 comma 3
TUIR e dell’art. 76, comma 5 (ora 110) del TUIR,
esula, in realtà, dallo schema proprio della
fattispecie dell’abuso del diritto – ha chiarito
che:
“la stipula di un finanziamento non oneroso
erogato dalla società controllante a favore delle
controllate, riconducibile allo schema del mutuo a
titolo gratuito, non subisce limitazioni per il
fatto che la controllante, residente nello Stato, e
le società residenti in altri Paesi appartengano al
medesimo gruppo societario, realizzando quindi una
operazione infra gruppo transfrontaliera, non
9
Cass. 17955/2013).
contrastando la gratuità della operazione, che
esclude la pattuizione di interessi corrispettivi
dovuti dalla mutuataria, con la previsione
dell’art. 76, quinto comma (oggi art. 110, settimo
comma), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
secondo cui il bene o servizio, rispettivamente
ceduto o prestato, deve essere valutato secondo il
criterio del «valore normale» stabilito dall’art.
9, terzo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986”. Il
tutto, in quanto, secondo la Corte,
“l’applicazione
della norma tributaria è subordinata dalla legge
alla duplice condizione che dalla operazione
negoziale infra gruppo derivino per la società
contribuente componenti (positivi o negativi)
reddituali e che dalla applicazione del criterio
del valore normale derivi un aumento del reddito
imponibile”
e tali condizioni
“non risultano
integrate nella concessione del mutuo non oneroso,
essendo estranea a tale schema negoziale la stessa
prestazione – avente ad oggetto la corresponsione
di interessi corrispettivi – che costituisce il
necessario termine di comparazione rispetto ai
valore normale”.
In sostanza, secondo tale pronuncia, in fattispecie
del tutto analoga a quella oggetto del presente
giudizio, la mancata produzione di un reddito
tassabile, stàte la gratuità del mutuo tra società
transfrontaliere appartenenti allo stesso gruppo,
fa venire meno lo stesso elemento costitutivo della
fattispecie abusiva dell’indebito risparmio
fiscale.
2.6. Resta comunque ferma la mancata dimostrazione,
nello specifico, da parte dell’Amministrazione
finanziaria, della sussistenza di un uso distorto,
pur se non contrastante con alcuna specifica
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•
disposizione di legge, di strumenti giuridici
idonei ad ottenere vantaggi, in difetto di ragioni
economiche diverse dalla mera aspettativa di quei
benefici.
3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve
essere respinto.
Le spese processuali vanno integralmente compensate
tra le parti, in considerazione della peculiarità
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara le spese
processuali del presente giudizio di legittimità
integralmente compensate tra le parti.
Deciso in Roma, il 27/03/2015.
della questione interpretativa implicata.