Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15000 del 16/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 16/06/2017, (ud. 20/12/2016, dep.16/06/2017),  n. 15000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

s.r.l. C.M.R., in persona del legale rappresentante, con sede a

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in appello in Jesi, viale della

Vittoria n. 75, presso lo studio del dottor Alberto Cimarelli, suo

difensore in quel grado;

– intimata –

avverso la sentenza n. 48/09/2009 della Commissione tributaria

regionale delle Marche, depositata il 21 aprile 2009, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

dicembre 2016 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

udito, per l’Agenzia ricorrente, l’avvocato dello Stato Bruno

Dettori, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale

dottoressa D.M.M., che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 48/09/2009, depositata il 21 aprile 2009 e non notificata, la Commissione tributaria regionale delle Marche (hinc: “CTR”) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della s.r.l. C.M.R. avverso la sentenza n. 39/02/2006 della Commissione tributaria provinciale di Ancona (hinc: “CTP”), compensando tra le parti le spese di lite.

Il giudice di appello premetteva che: a) in base a processo verbale di constatazione (hinc: “pvc”) redatto dalla Guardia di finanza relativo agli anni dal 1999 al 2001 recante i risultati di indagini bancarie effettuate sui conti correnti dei soci, l’Agenzia delle entrate aveva emesso avviso di accertamento ai fini IRPEF, IVA, IRAP per detti anni nei confronti della s.r.l. C.M.R.; b) il recupero a tassazione era conseguito alla mancata dimostrazione, da parte dei soci, del soggetto beneficiario di alcuni importi risultanti dai conti correnti e dalla indeducibilità di alcuni costi; c) la società aveva impugnato l’avviso davanti alla CTP, la quale aveva accolto il ricorso, in quanto le movimentazioni bancarie dei soci non potevano essere automaticamente imputate alla società come maggiori ricavi e costi indeducibili; d) l’ufficio impositore aveva appellato la decisione, esponendo che la società si era avvalsa del condono in relazione al “primo pvc ai fini delle imposte dirette e IVA” deducendo che: d.1.- v’era correlazione tra l’attività della società e le movimentazioni bancarie dei soci, con conseguente inversione dell’onere della prova; d.2.- la CTP non aveva motivato sulla implicita reiezione dei rilievi sulla indeducibilità dei costi; e) la società aveva controdedotto, presentando conteggio degli utili e compensi percepiti dai soci e affermando che l’ufficio tributario non aveva provato la riferibilità alla società dei conti correnti bancari dei soci.

Su queste premesse, la CTR, nel rigettare l’appello, osservava che: a) l’ente impositore non aveva fornito la prova (se non genericamente e pretestuosamente, senza addurre presunzioni gravi, precise e concordanti) che i conti correnti bancari dei soci, cioè di soggetti terzi rispetto alla s.r.l., avevano intestazione fittizia e si riferivano, in realtà, alla contribuente società; b) in ogni caso i soci, benchè non onerati, avevano fornito la prova contraria della riferibilità degli importi dei conti correnti alla società, indicando le somme percepite negli anni oggetto di indagine (Lire 1.564.885.000, Lire 1.232.689.000, Lire 713.798.000) e precisando che gli assegni erano stati utilizzati per uso personale ed avevano come prenditore un terzo (di cui avevano precisato l’identità) o se medesimi; c) le censure dell’appellante relative all’IRAP erano lacunose e difficili da analizzare; d) l’IRAP, comunque, non era dovuta perchè la società, avvalendosi del condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15 avente ad oggetto il pvc, aveva fatto perdere a quest’ultimo la qualifica di atto istruttorio e lo aveva reso inidoneo al recupero dell’imposta suddetta.

2.- Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate, dichiarando un valore di Euro 28.344,95, ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 7- 10 giugno 2010 ed affidato a quattro motivi.

3.- La s.r.l. C.M.R. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ricorrente Agenzia delle entrate, dopo aver premesso che l’impugnato avviso di accertamento si basa su due distinti pvc (il primo del 3 agosto 2001; il secondo del 26 luglio 2002), ha proposto i seguenti quattro motivi di ricorso, tutti corredati, a seconda dei casi, da quesito o da momento di sintesi:

1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, in quanto la CTR – nel richiedere che, per l’operatività della presunzione di cui agli artt. evocati, occorre la prova che i conti correnti bancari dei soci siano loro fittiziamente intestati e che le operazioni siano riferibili alla società – non avrebbe considerato sufficiente per determinare l’inversione della prova in capo alla società contribuente il ristretto rapporto familiare tra i soci ( R.R. e Ro.Ra.), la mancanza di una loro attività per conto proprio, l’emissione di numerosi assegni di elevato importo in un periodo ristretto.;

2) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 61 e 32, perchè la CTR – nel ritenere che i soci avevano offerto la prova contraria della riferibilità alla società degli importi dei loro conti correnti – si è basata su assegni depositati in appello solo undici giorni (invece di venti giorni liberi) prima dell’udienza di trattazione;

3) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’insufficiente motivazione sul fatto decisivo della controversia costituito dalle ragioni giustificative dell’utilizzo per scopi personali degli importi di cui ai conti correnti dei soci, perchè la CTR – nel ritenere che i soci avevano offerto la prova dell’uso personale dei conti correnti indicando il prenditore degli assegni e ciò anche in relazione agli assegni tratti all’ordine del traente con la dicitura “a me medesimo” – non aveva fornito le ragioni della ritenuta irrilevanza degli elementi indiziari forniti dall’ente impositore a sostegno della tesi della riferibilità degli importi alla società;

4) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, in quanto la CTR – nel rigettare il motivo di appello relativo alla dedotta ultrapetizione della sentenza della CTP con la quale era stato annullato l’intero avviso, nonostante non fosse stato impugnato dalla contribuente il rilievo del mancato riconoscimento ai fini dell’IRAP di costi indeducibili per difetto di inerenza – aveva utilizzato una motivazione apparente ed incomprensibile, posto che aveva giustificato la pronuncia con l’intervenuto condono riguardante il primo dei due pvc (quello del 3 agosto 2001), laddove, invece, i rilievi concernenti l’IRAP non erano stati oggetto di condono.

2.- Il primo, il secondo ed il terzo motivo (da esaminare congiuntamente, data la loro connessione) sono inammissibili.

La CTR fonda la sua decisione su due rationes: a) l’amministrazione finanziaria non ha dimostrato (neppure con presunzioni gravi, precise e concordanti, avendo fornito solo “prove (…) generiche e pretestuose”) che i conti correnti bancari dei soci sono fittiziamente intestati ad essi e che le operazioni si riferiscono in realtà alla società; b) i soci hanno comunque fornito la prova della non riferibilità alla società delle movimentazioni dei propri conti correnti, avendo “indicato le somme percepite negli anni inquisiti (…) e dichiarato che i propri assegni emessi, che l’Ufficio vuole ricondurre alla società, sono stati utilizzati dagli stessi per uso personale con l’indicazione del prenditore o con l’utilizzo a me medesimo”, per un importo costituente “ben poca cosa rispetto alla disponibilità finanziaria dagli stessi posseduta e dichiarata ai fini della tassazione IRPEF”. La prima ratio decidendi è censurata con il primo e con il terzo motivo di ricorso, mediante i quali si assume che costituiscono valida presunzione di riferibilità alla società sia lo stretto rapporto familiare tra i soci ( R.R. e Ro.Ra.), sia la mancanza di una loro attività per conto proprio, sia l’emissione di numerosi assegni di elevato importo in un periodo ristretto; la seconda ratio decidendi è censurata con il secondo e con il medesimo terzo motivo di ricorso, mediante i quali si assume che la CTR non poteva utilizzare gli assegni prodotti in appello dalla società senza il rispetto dei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 e che le argomentazioni del giudice di appello non tenevano conto delle deduzioni dell’ufficio tributario.

I tre motivi sono inammissibili. La CTR, infatti, ha in primo luogo escluso in punto di fatto la rilevanza sia della asserita mancanza di una attività propria dei soci, sia dell’emissione da parte loro di numerosi assegni di elevato importo in un breve periodo, avendo accertato che i soci avevano una “disponibilità finanziaria (…1 posseduta e dichiarata ai fini della tassazione IRPEF”, significativamente superiore agli importi in contestazione (ritenuti, rispetto a quella, “ben poca cosa”). In secondo luogo, in relazione alla ristretta base familiare della partecipazione nella s.r.l. (elemento che sarebbe stato idoneo a far ritenere riferibili alla società, salva prova contraria, le movimentazioni bancarie dei conti intestati ai soci: ex plurimis, Cass. n. 20851 e n. 20849 del 2016; n. 12776 e n. 428 del 2015; n. 26829 del 2014; n. 4904 del 2013; n. 21420 del 2012; n. 26173 del 2011; n. 18083 del 2010), la CTR ha affermato che in ogni caso i soci avevano fornito in concreto la prova della non riferibilità alla società della movimentazione bancaria. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla tardiva produzione in giudizio degli “assegni” emessi dai soci, non è idoneo ad infirmare il suddetto accertamento del giudice di appello, perchè, da un lato, non è autosufficiente (dal momento che il ricorso non precisa nè l’importo degli assegni prodotti in giudizio in raffronto ai rilievi dell’avviso di accertamento nè il contenuto e le modalità di difesa dell’appellata, la quale, secondo la CTR, avrebbe presentato, nell’ambito delle controdeduzioni in secondo grado, non gli “assegni”, ma solo il “conteggio degli utili e compensi complessivamente percepiti dai soci”); dall’altro, non dimostra la decisività della censura (la CTR non fa menzione, quale fondamento della propria decisione, degli “assegni” di cui al motivo di ricorso, ma solo, genericamente, come visto, di un “conteggio degli utili e compensi” dei soci). Il terzo motivo di ricorso deduce sotto il profilo dell’insufficienza di motivazione la mancata valorizzazione da parte della CTR degli elementi presuntivi indicati dall’ente impositore (ristretta base familiare della partecipazione; mancanza di attività propria dei soci; movimentazione bancaria di importo elevato ed in tempi ravvicinati) ed esaminati nella sentenza di appello: la censura, però, si risolve nella inammissibile prospettazione di una diversa valutazione dei fatti considerati dalla CTR e motivatamente (come sopra visto) ritenuti inidonei a dimostrare la fondatezza delle riprese a tassazione.

In conclusione, il rilievo (in punto di fatto) dell’esistenza di altre fonti di reddito dei soci e la mancata dimostrazione da parte dell’Agenzia che la CTR – nell’affermare che i soci avevano giustificato le movimentazioni bancarie – si è basata esclusivamente su produzioni tardive rendono inammissibili i primi tre motivi di ricorso.

3.- Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

La CTR ha escluso la fondatezza dei rilievi concernenti l’IRAP motivando sul fatto che questi erano contenuti in un pvc oggetto di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15. L’Agenzia ricorrente censura come apparente tale motivazione, affermando che: a) con uno specifico motivo di appello aveva dedotto una ultrapetizione della CTP, in quanto la contribuente non aveva impugnato, in primo grado, i suddetti rilievi concernenti l’IRAP; b) la CTR, menzionando il condono, aveva fornito una risposta non pertinente al motivo di appello; c) in ogni caso, il condono non riguardava i rilievi concernenti l’IRAP.

Il motivo di ricorso non può accogliersi, perchè è contraddittorio.

L’Agenzia, nel riportare testualmente il motivo di appello, riferisce, che “nel ricorso introduttivo del giudizio la società ricorrente aveva resistito in modo debole (…)” e che la CTP, pur avendo annullato totalmente l’avviso di accertamento e, quindi, avendo “ritenuto infondati i rilievi di indeducibilità di costi ai fini IRAP pari a Euro 39.822,82 (lire 77.107.725) mossi alla società”, aveva motivato esclusivamente sulle movimentazioni bancarie dei soci (con riferimento, perciò, ad altri rilievi) ed aveva lasciato “privo di motivazione” l'”accoglimento del punto contestato della indeducibilità dei costi da partè del giudice di prime cure” (passi indicati come “pag. 10 dell’atto di appello). Ne consegue che, con il ricorso in primo grado, erano stati censurati (sia pure “in modo debole”, qualunque sia il significato di tale espressione) i rilievi concernenti l’IRAP e che l’accoglimento da parte della CTP di tali censure era stato denunciato come “privo di motivazione”. Ciò, però, è in contrasto con quanto si legge nel motivo di ricorso per cassazione, secondo cui (pagg. 14 e 15 del ricorso) “nel ricorso introduttivo (…) nulla era stato osservato in ordine alla determinazione dell’IRAP” ed era stata “denunziata ultrapetizione della sentenza della CTP”.

La sopra rilevata contraddittorietà del motivo, la mancata riproduzione del ricorso introduttivo in primo grado sul punto della ripresa dell’IRAP (con correlativo difetto di autosufficienza), la conseguente difficoltà di comprendere (in base al ricorso per cassazione) la valenza della motivazione della CTR fondata sul condono, la (cauta, ma non per questo meno inammissibile) prospettazione nel motivo – ma non nel quesito – di un errore revocatorio della CTR sul contenuto del pvc oggetto di condono comportano l’inammissibilità del motivo stesso.

4.- La mancata difesa della società intimata impedisce la pronuncia sulle spese di lite.

PQM

 

Dichiara inammissibili i motivi di ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2017

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