Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 150 del 08/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 150 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 1197-2008 proposto da:
COINU

CRISTIANO CNOCST73D17F979F,

QUACRN40C44D665K,

QUAI

CATERINA

COINU GIOVANNI CNOGNN43M23D6650,

COINU ANTONIA CNONTN37C65D6650, COINU GIUSEPPE
CNOGPP35B02D665D, COINU MARCO CN0MRC75T29F979I, IN
QUALITA’ DI EREDI E AVENTI DIRITTO DA CUALBU
ANTONIANGELA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DI PORTA PINCIANA 6, presso l’avvocato MASINI STEFANIA
ST D’AMELIO & SCIACCA, rappresentati e difesi
dall’avvocato MEREU MARCELLO PATRIZIO;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 08/01/2014

contro

CUALBU GIUSEPPE CLBGPP64H27D665C,

CUALBU ANTONIO

CLBNTN62E13D665X, CUALBU MARIA ANTONIA
CLBMNT27E64D665K, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

difende unitamente all’avvocato SECCI PAOLO;
– controricorrenti nonchè contro

BUSIA GIOVANNI, BUSIA ANGELO, BUSIA ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 378/2006 della CORTE D’APPELLO 5) Cil4Lo1 1-1
SEZ.DIST. DI di SASSARI, depositata il 21/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/11/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
MAZZACANE;
udito l’Avvocato Masini Maria Stefania con delega
depositata in udienza dell’Avv. Mereu Marcello
Patrizio difensore dei ricorrenti che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Albini Carlo con delega depositata in
udienza dell’Avv. Luigi Manzi che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità,

in subordine,

il rigetto del

dell’avvocato MANZI LUIGI, che li rappresenta e

ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 12-12-1966 Salvatore Cualbu conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di
Nuoro la sorella Antoniangela Cualbu ed i nipoti Angelo Busia, Giovanni Busia ed Antonio Busia,
figli della defunta sorella Giovanna Cualbu, per chiedere la divisione dei beni caduti nella

con testamento olografo del 28-1-1944, con il quale era stato attribuita all’esponente l’esclusiva
proprietà dei terreni siti in territorio di Vallermosa, regione “Sa Urredda” e “Tuveri”, ed in
territorio di Decimoputzu, regione “Paule Giovanni Scanu” e “Giba Manna”.

Costituendosi in giudizio i convenuti non si opponevano alla divisione, salva migliore specificazione
della massa, e deducendo che alcuni beni erano ormai divenuti di esclusiva proprietà dei germani
Busia per intervenuta usucapione; precisavano inoltre, quanto al testamento olografo, di

successione del padre Antonio Cualbu, deceduto il 2-2-1944, fermo quanto dal medesimo disposto

ignorarne l’esistenza e di non conoscere la firma del “de cuius”; aggiungevano che il 23-6-1964 era /’
deceduta senza testamento anche la moglie di Antonio Cualbu, Rita Cualbu Loi, lasciando a sua
volta dei beni mobili ed immobili di cui chiedevano la divisione.

L’attore faceva istanza di verificazione della scrittura del 28-1-1944.

In corso di causa decedevano Salvatore Cualbu (e si costituivano per proseguire il giudizio la
moglie Maria Antonia Cualbu ed i figli Antonio Cualbu e Giuseppe Cualbu) e, successivamente, la
convenuta Antoniangela Cualbu (e, dopo l’interruzione del processo, la causa veniva riassunta nei
confronti dei figli Giuseppe Coinu, Giovanni Coinu, Antonia Coinu e Salvatore Coinu); si costituiva
in giudizio Giuseppe Coinu, prima insieme ai suoi fratelli e poi autonomamente come
interveniente volontario, chiedendo di essere riconosciuto unico proprietario, per intervenuta
usucapione, di parte dei terreni siti in agro di Decimoputzu e di Vallermosa che l’attore aveva
affermato di avere ricevuto per testamento.
1

Con sentenza non definitiva del 28-4-1999 il Tribunale adito dichiarava l’autenticità della firma
apposta al testamento olografo redatto il 28-1-1944 da Antonio Cualbu, l’ammissibilità
dell’intervento volontario di Giuseppe Coinu, e la proprietà esclusiva dei germani Busia, per
intervenuta usucapione, sulla casa sita in via Carlo Alberto di Fonni.

incidentale, veniva confermata dalla Corte di Appello di Cagliari con sentenza dell’11-2-2000.

Successivamente, a seguito del decesso di Salvatore Coinu, si costituivano in giudizio la moglie
Caterina Quai ed i figli Cristiano Coinu e Marco Coinu.

Con sentenza non definitiva del 24-9-2002 il Tribunale di Nuoro, per quel che interessa in questa
sede, dichiarava la nullità per vizio di forma della scrittura privata del 28-1-1944 a firma di Antonio
Cualbu, che qualificava atto

“inter vivos” (donazione) e non “mortis causa” (testamento),

dichiarava compresi quindi nella successione legittima del Cualbu anche i terreni siti in territorio di
Vallermosa e Decimoputzu, e dichiarava invece esclusi dalla comunione ereditaria e dalla massa
dividenda i beni immobili indicati ai numeri 1-18 della motivazione in quanto acquistati dall’attore
Salvatore Cualbu per atti “inter vivos” successivi (salvo uno) all’apertura della successione del
padre, nonché il gregge di ovini, i cavalli ed il giogo di buoi.

Proposta impugnazione avverso tale sentenza da parte di Maria Antonia Cualbu, Antonio Cualbu e
Giuseppe Cualbu quali eredi di Salvatore Cualbu cui resistevano Giuseppe Coinu, Giovanni Coinu,
Antonia Coinu e, quali eredi di Salvatore Coinu, Marco Coinu, Cristiano Coinu e Caterina Quai, tutti
nella qualità di eredi di Antoniangela Cualbu, nella contumacia di Giovanni Busia, Angelo Busia ed
Antonio Busia, la Corte di Appello di Cagliari — Sezione Distaccata di Sassari con sentenza del 2111-2006, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che la scrittura privata a firma
di Antonio Cualbu del 28-1-1944 doveva essere qualificata come testamento olografo,
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Tale sentenza, contro la quale i Cualbu proponevano appello, ed i Coinu, a loro volta, appello

formalmente valido, ed ha dichiarato, per l’effetto, che dovevano essere esclusi dalla massa
dividenda anche tutti gli immobili siti in territorio di Decimoputzu e Vallermosa caduti nella
successione che non ne fossero già stati esclusi per effetto della statuizione di cui al capo c) della
sentenza impugnata.

Coinu e Caterina Quai hanno proposto un ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrato
successivamente da una memoria cui hanno resistito con controricorso Maria Antonia Cualbu,
Antonio Cualbu e Giuseppe Cualbu; Giovanni Busia, Angelo Busia ed Antonio Busia non hanno
svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per ragioni logico – giuridiche occorre anzitutto esaminare il secondo motivo di ricorso con il quale
i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, affermano che, nell’ipotesi in cui questa Corte
ritenesse di non poter esaminare il presente ricorso in assenza della scrittura privata del 28-11944, analoga statuizione avrebbe dovuto adottare il giudice di appello che, avendo rilevato la
mancanza in atti di detta scrittura privata, ha tuttavia ritenuto di poter ugualmente procedere al
suo esame ed alla sua qualificazione.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

La Corte territoriale, dopo aver premesso che il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado non
conteneva l’originale della scrittura privata del 28-1-1944 (trasmesso dall’Archivio notarile di
Sassari e verosimilmente custodito presso la cancelleria del Tribunale di Nuoro), e che tale
documento non era stato rinvenuto nei fascicoli di parte, ha evidenziato che nella sentenza di
primo grado era stato riportato nella sua interezza il testo della suddetta scrittura privata, che è

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Avverso tale sentenza Giovanni Coinu, Giuseppe Coinu, Antonia Coinu, Cristiano Coinu, Marco

stato quindi oggetto di esame diretto da parte del giudice di appello e che è stato interamente
trascritto nella sentenza impugnata; pertanto la questione sollevata dal ricorrente è priva di
qualsiasi rilevanza nella presente sede.

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e

motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver qualificato la scrittura privata del 28-11944 quale disposizione di ultima volontà di Antonio Cualbu sulla base essenzialmente del tenore
della dichiarazione contenuta in detta scrittura, in particolare valorizzando esclusivamente il
criterio letterale, avendo richiamato l’espressione “nessuno faccia osservazione di quanto è
dichiarato o scritto” o “prego che nessuno faccia osservazione a questo biglietto essendo scritto di
sua propria mano”, asseritamente ritenuta “tipica espressione di chi intende esprimere le proprie
volontà”.

I ricorrenti rilevano che detta espressione, isolatamente esaminata, non consente affatto di
individuare la causa della disposizione, essendo compatibile con la diversa volontà di disporre in
favore di un soggetto, ma con effetto immediato, dunque come atto “inter vivos”; invero il tenore
letterale della dichiarazione avrebbe potuto essere decisivo soltanto se non avesse lasciato adito a
dubbi, mentre in caso contrario occorre fare riferimento ai criteri ermeneutici sussidiari.

I ricorrenti inoltre assumono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevanti gli
elementi valorizzati dal Tribunale, che al contrario erano frutto dell’applicazione del criterio
indicato dalla dottrina e dalla giurisprudenza secondo cui l’interprete deve esaminare l’atto nella
sua totalità e non nelle sue singole disposizioni, al fine di comprenderne il significato letterale;
infatti l’espressione valorizzata dal giudice di appello era oggettivamente equivoca, e la totale
assenza di dubbio al riguardo da parte di quest’ultimo costituiva una inammissibile forzatura
4

seguenti c.c. in quanto applicabili all’interpretazione dei negozi “mortis causa” e vizio di

interpretativa; pertanto l’oggettiva insufficienza del criterio letterale avrebbe dovuto indurre la
Corte territoriale alla ricerca della effettiva volontà del sottoscrittore attraverso l’esame del
contenuto dell’atto con riferimento a tutti i suoi elementi intrinseci ed eventualmente anche
estrinseci, così da offrire anche adeguata motivazione della ritenuta irrilevanza o insignificanza

Al riguardo i ricorrenti evidenziano anzitutto il mancato riferimento anzitutto al corpo centrale
della scrittura privata in questione, dove si leggeva che “Cualbu Antonio fu Pietro di Fonni, avendo

una proprietà nel salto di Vallermosa, espone il Cualbu Antonino che questi terreni siano a conto di
Cualbu Salvatore Antonino, autorizzato dal suo padre di esserne padrone assoluto e nessuno faccia
osservazione di quanto è dichiarato e scritto”; infatti da tali espressioni era logico ritenere che
Antonio Cualbu avesse voluto disporre con effetto immediato delle sue sostanze in favore del
figlio Salvatore; inoltre essi assumono che il giudice di appello ha attribuito valore decisivo al fatto
che l’espressione ivi contenuta “scritto di propria mano” fosse quantomeno inconsueta in un atto
tra vivi, senza rilevare come fosse altrettanto inconsueta la presenza di due testimoni in occasione
della redazione di un testamento olografo; del pari non era stata considerata la

“vidimazione”

dell’atto operata da Salvatore Cualbu, ovvero il beneficiario unico della disposizione, nel corpo del
documento, essendo invero singolare che un testatore faccia firmare “per vidimazione” all’erede il
proprio testamento olografo.

ricorrenti rilevano altresì che non erano stati valorizzati altri elementi extratestuali quali la
mentalità e la cultura del disponente, essendo invero rilevante, come già osservato dal Tribunale,
la mancata menzione delle due figlie femmine, da cui poteva dedursi, per un uomo come Antonio
Cualbu, nato nel 1870 e cresciuto in un ambiente agropastorale, la volontà di favorire
nell’immediato l’unico figlio maschio senza che nessuno facesse dei rilievi.

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degli elementi esaminati.

Infine i ricorrenti sottolineano che illogicamente e contraddittoriamente la sentenza impugnata ha
negato rilevanza al fatto, pure preso in considerazione, che lo stato d’animo e/o di salute del
Cualbu non faceva supporre, neanche in via indiziaria, che egli volesse disporre dei suoi beni per il
periodo successivo alla sua morte.

La Corte territoriale, dopo aver riportato il testo della scrittura privata del 28-1-1944 sottoscritta
dal suo autore nonché, “per vidimazione”, dal figlio Salvatore Cualbu e da due testimoni, del
seguente tenore: “CUALBU Antonio fu Pietro di Fonni, avendo una proprietà nel salto Decimoputzu

e Vallermosa, espone il CUALBU Antonio che questi terreni siano a conto di CUALBU Salvatore di
Antonio autorizzato dal padre di essere padrone assoluto e nessuno faccia osservazione di quanto
è dichiarato e scritto. Prego che nessuno faccia osservazione a questo biglietto essendo scritto di
sua propria mano”, ha premesso che non è indispensabile, ai fini dell’appartenenza dell’atto alla
categoria delle disposizioni “mortis causa”, il fatto che il dichiarante faccia espresso riferimento
alla sua morte o precisi che si tratta di una manifestazione di ultima volontà con la quale egli
intende disporre dei suoi beni o di una parte di essi dopo la sua scomparsa, potendo tale volontà
essere anche desunta dal tenore letterale della dichiarazione; orbene nella specie appariva
estremamente significativa in tal senso l’espressione “nessuno faccia osservazione di quanto è

dichiarato e scritto”, subito dopo ribadita con le parole “Prego che nessuno faccia osservazione a
questo biglietto essendo scritto di sua propria mano”; tali espressioni, infatti, ha ritenuto il giudice
di appello, sono tipiche di chi intende esprimere le proprie ultime volontà, essendo volte ad
affermare la perentorietà dell’atto di disposizione patrimoniale in favore del soggetto beneficiato
ed a dissuadere nel contempo gli altri eredi (nella fattispecie gli altri figli) che si sentissero sfavoriti
o comunque insoddisfatti dal compimento di atti di contestazione o di disobbedienza, avendo
specificato per di più, proprio in considerazione della natura dell’atto (testamento olografo), che la
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Il motivo è infondato.

scrittura era autografa (“scritto di sua propria mano”, espressione, quest’ultima, a dir poco
inconsueta per un atto tra vivi).

Orbene deve anzitutto evidenziarsi che correttamente la sentenza impugnata non ha ritenuto
indispensabile, ai fini della riconducibilità dell’atto da lui redatto nell’ambito delle disposizioni

di una manifestazione di ultima volontà con la quale egli intende disporre dei suoi beni dopo la sua
scomparsa; infatti, perché si abbia una manifestazione di ultima volontà e quindi esista un negozio

“mortis causa”, è necessario soltanto che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà
definitiva dell’autore, nel senso che essa si sia compiutamente ed incondizionatamente formata e
manifestata e sia diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo
successivo alla propria morte (Cass. 24-8-1990 n. 8668).

Tanto premesso, si osserva che l’evidenziato convincimento del giudice di appello è basato
essenzialmente sulla valorizzazione dell’elemento testuale ai fini della interpretazione della
suddetta scrittura privata, avendo ritenuto che le espressioni sopra riportate fossero chiaramente
il frutto della volontà di Antonio Cualbu di trasmettere la proprietà degli immobili ivi richiamati per
il tempo successivo alla sua morte in favore del figlio Salvatore, come era attestato dall’invito
rivolto agli altri eredi a non sollevare contestazioni al riguardo, essendo tenuti essi a rispettare tali
disposizioni contenute in un “biglietto” interamente scritto e sottoscritto di suo pugno dallo stesso
Antonio Cualbu, precisazione quest’ultima poco comprensibile in un atto tra vivi ed invece
coerente con il requisito dell’autografia che caratterizza il testamento olografo; in altri termini
secondo la sentenza impugnata Antonio Cualbu in tale scrittura aveva inequivocabilmente
manifestato il proposito di lasciare alcuni beni al figlio Salvatore, preoccupandosi contestualmente
di prevenire possibili dissensi da parte degli altri figli che si sentissero svantaggiati al riguardo; ed
in effetti il fermo invito a rispettare la sua volontà come espressa nella scrittura privata rivolto a
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“mortis causa”, che il dichiarante faccia espresso riferimento alla sua morte o precisi che si tratta

chiunque non avesse accettato tali disposizioni trova una sua logica e coerente giustificazione in
relazione alla ritenuta natura testamentaria dell’atto.

La sentenza impugnata ha quindi dato rilievo decisivo al dato letterale nell’interpretazione della
suddetta scrittura privata, che invero costituisce il criterio ermeneutico primario, mentre il ricorso

invece il giudice di appello ha ritenuto esaustivo l’esame delle sopra riportate espressioni per
ritenere la natura “mortis causa” delle richiamate disposizioni, all’esito di un interpretazione
dell’atto frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua ed adeguata motivazione, come
tale immune dai profili di censura sollevati dai ricorrenti, che si risolvono sostanzialmente nel
prospettare una interpretazione della scrittura privata ad essi favorevole (ovvero la configurazione
in essa di un atto tra vivi sul presupposto della individuazione di una volontà di Antonio Cualbu di
beneficare con effetto immediato il figlio Salvatore) senza indicare specificatamente le regole di
ermeneutica asseritamente violate e soprattutto le modalità con cui il giudice di appello si sarebbe
da esse discostato, né censurare in termini concreti l’iter” argomentativo seguito dalla sentenza
impugnata; al riguardo può evidenziarsi che i ricorrenti piuttosto apoditticamente ritengono che il
giudice di appello avrebbe trascurato gli elementi da cui evincere che le disposizioni contenute
nella predetta scrittura privata avevano, nell’intento di Antonio Cualbu, un effetto immediato,
come è in particolare confermato dal richiamo alla mentalità arcaica di quest’ultimo ed alla sua
volontà di favorire il figlio maschio rispetto alle figlie femmine, trattandosi di rilievo di per sé
neutro e non decisivo, ben potendo attuarsi un simile proposito anche con una disposizione
testamentaria.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come
in dispositivo.

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agli altri criteri presuppone la rigorosa insufficienza del mero elemento testuale; nella fattispecie

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro
3.500,00 per compensi.

Il Consigliere estensore

Il Presid te

01

Così deciso in Roma il 21-11-2013

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