Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15 del 05/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 05/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 05/01/2021), n.15

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1597-2016 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAVIA 30,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO DE GUGLIELMI;

– ricorrente principale –

contro

ELEMEDIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIACINTO FAVALLI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

M.S.;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4774/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2015, R.G.N. 10297/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

per l’inammissibilità del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato ROBERTO DE GUGLIELMI;

udito l’Avvocato PAOLO ZUCCHINALI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 26.5.2011, in accoglimento delle domande avanzate da M.S., riconosciuta la natura subordinata del rapporto intercorso con la società Elemedia s.p.a. e la decorrenza dello stesso a far data dall’1.11.1999, con inquadramento del M. nel IV livello retributivo del CCNL delle aziende radiotelevisive private, condannava la società al pagamento, in favore del predetto, della somma di Euro 5000,00 mensili a titolo di risarcimento del danno per la forzosa inattività subita dal 10.9.2010 e di ulteriori Euro 5000,00 mensili a titolo di retribuzione maturata dall’11.5.2010, detratto quanto già percepito a tale titolo.

2. La Corte di appello capitolina, con sentenza del 13.10.2015, in parziale riforma della decisione impugnata dalla società, quantificava in complessivi Euro 10.000,00, oltre accessori di legge dalla data della sentenza di appello al saldo, l’importo dovuto a M.S. per i titoli indicati al punto 2) delle conclusioni del ricorso di primo grado (risarcimento del danno dal I luglio 2007 alla effettiva reintegra) e respingeva ogni altra domanda ivi avanzata, compensando per 2/3 le spese di lite del doppio grado, per il residuo 1/3 poste a carico della società.

2.1. La Corte distrettuale rilevava che il Tribunale di Roma, con sentenza resa in data 11.5.2010, aveva già riconosciuto la natura subordinata del rapporto con il M. con decorrenza dall’1.11.1999, con inquadramento nel IV livello e con ordine alla società di ripristinare la funzionalità del rapporto, condannando la stessa al pagamento, in favore del ricorrente ed a titolo risarcitorio, di una somma pari all’ammontare delle retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito con il predetto inquadramento professionale dal 3.7.2007 ed al pagamento della somma lorda di Euro 10.000,00 a titolo di una tantum riconosciuta dalla società con lettera del 30.6.2007. Aveva, invece, rigettato la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive, atteso che le somme percepite dal ricorrente in esecuzione dei contratti di collaborazione sottoscritti erano di gran lunga superiori alle somme dovute in base al ccnl di categoria. Tale prima pronuncia, impugnata da entrambe le parti, era stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza 7.5.2013 n. 3386. Il ricorso per cassazione avverso detta sentenza è stato dichiarato inammissibile.

2.1. La Corte distrettuale, relativamente al secondo giudizio oggetto della sua cognizione, premesso che il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa svolto, con una serie di contratti, dal M. quale conduttore radiofonico per l’emittente Radio (OMISSIS), si era interrotto in quanto il nuovo direttore artistico aveva deciso di eliminare dal palinsesto della radio la trasmissione condotta dal predetto e che la società non aveva più rinnovato il contratto in corso con scadenza il 30.6.2007, riteneva fondata la censura della società, in quanto la retribuzione che il ricorrente avrebbe percepito in base al c.c.n.l. delle emittenti radiofoniche e televisive private quale impiegato di IV liv. non era affatto pari all’importo di Euro 5000,00 mensili concordato tra le parti nel contratto di collaborazione stipulato in data 27.12.2006, bensì era pari al minore importo di Euro 1375,95, riconosciuto come dovuto dalla Elemedia.

2.2. Osservava che l’importo concordato non costituiva invero un trattamento di miglior favore che il ricorrente avesse diritto di conservare – come invece dedotto dall’appellato sia sul rilievo che, ai sensi dell’art. 2077 c.c., gli accordi delle parti, ove più favorevoli, prevalevano sulle clausole del sia in virtù del principio di irriducibilità della retribuzione – atteso che il contratto del 27.12.2006 non era un contratto di lavoro subordinato, bensì un contratto di collaborazione autonoma il cui compenso pattuito non era qualificabile come retribuzione, non potendo i principi validi in tema di retribuzione invocati dall’appellato essere estesi a ciò che retribuzione non era.

2.3. Osservava che era stato lo stesso ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio presupposto, a chiedere il riconoscimento “del diritto ad essere inquadrato dal novembre 1999 nel IV livello retributivo del cml delle aziende radiotelevisive private ed a percepire il trattamento economico e normativo previsto dal relativo ccril”, per cui il Tribunale non avrebbe potuto quantificare la retribuzione dovuta nel maggiore importo previsto dal contratto di collaborazione autonoma del 27.12.2006, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione.

2.4. Aggiungeva che, in ogni caso, ogni contestazione in ordine alla quantificazione della retribuzione dovuta al ricorrente doveva essere sollevata nel giudizio presupposto e non nell’odierno giudizio, nel

quale si controverteva solo degli effetti determinati

dall’inottemperanza alla sentenza del Tribunale capitolino, laddove la sentenza stessa era stata confermata dalla Corte d’appello, che aveva fatto riferimento ai minimi contrattuali del IV livello rivendicato. Nulla pertanto era dovuto a tale titolo al M..

2.5. Quanto al secondo motivo formulato della società, premesso che nulla era dovuto al M. per il periodo dalla data della formale riammissione in servizio sino alla data 26.5.2011 della sentenza, in quanto la statuizione non era stata impugnata, osservava che, in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro o di riammissione in servizio, il danno non poteva considerarsi integralmente ristorato dal pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate, ben potendo residuare danni ulteriori non patrimoniali da forzata inattività ed al riguardo poteva ricorrersi alla prova presuntiva quanto meno per il periodo successivo alla data del 10.9.2010 di riammissione al lavoro, ciò che comportava una quantificazione al detto titolo di ulteriori Euro 10.000,000, in tal senso meritando accoglimento la domanda inizialmente formulata.

3. Di tale decisione domanda la cassazione il M., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste l’Elemedia, che propone ricorso incidentale, cui resiste con controricorso il M..

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE.

1. Con il primo motivo, il M. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè degli artt. 116 e 474 c.p.c., sostenendo che, pur vero che nella prima sentenza del Tribunale di Roma dell’11.5.2010 il risarcimento del danno per il periodo non lavorato dal 3.7.2007 al 10.5.2010 era stato parametrato all’ammontare delle retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito con il riconosciuto inquadramento professionale, tuttavia l’ordine giudiziale di ripristino non poteva che alludere alla conservazione della retribuzione pattuita ed erogata prima dell’interruzione del rapporto e non certo ad una diversa e nuova quantificazione in pretesa applicazione dei minimi tabellari del cm. Rilevava che in alcuna parte della pronuncia dell’11.5.2010 era stato affrontato il problema delle misura della retribuzione dovuta dall’11.5.2010 in poi e che l’applicazione del principio dell’assorbimento in relazione a voci contrattuali ulteriormente richieste rendeva evidente che era stata riconosciuta la preminenza alle pattuizioni a suo tempo intervenute tra le parti nella misura in cui le stesse si presentavano ampiamente superiori alle previsioni di cui al c.c.n.l.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2077,2099,2103 e 2909 c.c., evidenziando che il rapporto di lavoro era stato ritenuto di natura subordinata sin dall’origine, sicchè doveva ritenersi che la misura del compenso pattuita con il contratto del 21.12.2006, nella misura di 5000,00 Euro mensili, rappresentasse una legittima pattuizione individuale di miglior favore, non riducibile.

3. Con il terzo motivo, si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1372 e 2099 c.c., nonchè dell’art. 36 Cost., sul rilievo della possibilità per il giudice di determinare la retribuzione solo in mancanza di accordo tra le parti, che può essere disatteso solo quando non sia rispettato il parametro costituzionale di cui all’art. 36 Cost., rispetto al quale è consentito un incremento di quanto pattuito dalle parti contrattuali.

4. Il quarto motivo ascrive alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione degli art. 1223,1226,2056,2059 e 2909 c.c., nonchè dell’art. 324 c.p.c., dolendosi il M. dell’interpretazione fornita dalla Corte distrettuale con riguardo alla parametrazione dell’importo del risarcimento del danno dovuto per la forzosa inattività al minore importo di Euro 1375,95 anzichè a quello di 5000,00 Euro mensili, nonchè alla limitazione del danno alla data in cui era stata emessa la pronuncia di primo grado, essendo stata ritenuta non impugnata la statuizione in ordine al periodo di debenza del risarcimento per la forzosa inattività.

5. Devono preliminarmente disattendersi i rilievi di inammissibilità dell’intero ricorso per mancato rispetto del principio di autosufficienza.

5.1. In conformità alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, è onere del ricorrente operare una sintesi funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata in base alla sola lettura dei ricorso; la Corte deve tuttavia poter verificare che quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne la Corte del merito tenuto conto (cfr., da ultimo, tra le altre, Cass. 18.4.2018 n. 24340).

5.2. Quanto all’interpretazione del giudicato esterno, la stessa può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (cfr. Cass. 8.3.2018 n. 5508).

5.3. Nella specie, nel ricorso del M., oltre al comando giudiziale, ossia al dispositivo della sentenza del Tribunale di Roma del n. 8329 del 11.5.2010, vengono riportate le parti ed i passaggi salienti della motivazione ritenute funzionali alla comprensione della questione prospettata, sicchè non possono riavvisarsi le carenze di specificità dedotte rispetto all’intero impianto dell’impugnazione, osservandosi che della stesa pronuncia richiamata si indica la sede di deposito negli atti processuali di parte delle fasi di merito (doc. n. 7 nel fascicolo di primo grado).

6. Con riguardo al primo motivo, il problema interpretativo del comando giudiziale è stato risolto in modo conforme a diritto, posto in primo luogo che è stata conferita corretta rilevanza a quanto richiesto nel relativo ricorso dal M., con la conseguenza che la ratio decidendi autonoma, che rileva come il Tribunale non potesse quantificare diversamente la retribuzione nel maggiore importo previsto dal contratto di collaborazione autonoma del 27.12.2006, pena un’ultrapetizione, doveva essere censurata. Ciò comporta che divengano inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (cfr., in tal senso, Cass. 24.5.2006 n. 12372, Cass. sez. lav., 18.5.2006 n. 11660; Cass. 8.8.2005 n. 16602; Cass. 8.2.2006 n. 2811; Cass. 22.2.2006 n. 3881; Cass. 20.4.2006 n. 9233; Cass. 8.5.2007 n. 10374; Cass. sez. I 14.6.2007 n. 13906, conf. a Cass., sez. un. 16602/2005).

6.1. Rimane dunque ferma l’altra ratio decidendi che si fonda sulla definitività dell’accertamento in ordine alla quantificazione della retribuzione contenuta nella indicata sentenza presupposto.

6.2. La censura, peraltro, mira a contestare l’interpretazione del giudicato, sul rilievo di un’intrinseca contraddittorietà della decisione quanto al ritenuto assorbimento di alcune voci retributive, non considerando che una cosa è l’assorbimento per il periodo relativo alla vigenza dei contratti di lavoro autonomo, altro è quanto accertato in relazione alla retribuzione in ipotesi dovuta per il periodo successivo, che costituiva la base per il risarcimento richiesto a far data dal 3.7.2007 alla data della sentenza. D’altronde, rispetto al rilievo della Corte distrettuale che il Tribunale, con la sentenza n. 8329/2010, aveva rigettato la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive per essere risultate le somme percepite dal ricorrente in esecuzione degli intercorsi contratti di collaborazione di gran lunga superiori alle somme dovute in base al ccnl di categoria, sarebbe stato onere del ricorrente trascrivere i passi di quella decisione che avrebbero condotto ad un’interpretazione diversa, ciò che non risulta essere stato effettuato nel presente giudizio. Nè viene trascritto per la parte di rilievo, in ossequio al necessario principio di specificità – in questo caso da assolvere con puntualità – il ricorso originario che aveva dato avvio al giudizio presupposto, per supportare l’assunto del M. secondo cui non era mai stato richiesto in quel giudizio la condanna all’erogazione del trattamento economico minimo, quanto piuttosto voci retributive di natura contrattuale o legale calcolate sulla base della retribuzione pattuita con la società datrice di lavoro.

6.3. Ogni altro profilo deve ritenersi superato in relazione al rilievo assorbente che il giudicato esplicito sulla domanda di risarcimento da mancata retribuzione preclude ogni decisione che non sia in linea con esso sulla questione relativa all’ammontare della retribuzione anche per il periodo successivo, dovendo ritenersi formato il giudicato implicito su tale domanda per essere palese il rapporto di dipendenza indissolubile tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole implicitamente risolta, fondandosi entrambe sugli stessi fatti costitutivi (cfr. Cass. 5581/12, Cass. 7115/2020).

6.4. In conclusione, è corretta la decisione che ha escluso la ricorrenza di pattuizioni individuali prevedenti compensi ampiamente superiori a quelli previsti dal c.c.n.l., essendo quelli pattuiti tra le parti relativi ad una prestazione di collaborazione autonoma, rispetto alla quale non trovano spazio i riferimenti, contenuti nel motivo, al principio di irriducibilità della retribuzione.

6.5. Peraltro, come sopra precisato, la irretrattabilità di una decisione del Tribunale che aveva specificato in modo chiaro la parametrazione delle differenze ai minimi del trattamento economico del IV liv contrattuale non può porsi in discussione se non violando i principi in materia di giudicato.

7. Quanto al secondo motivo, è corretta l’individuata diversità del titolo del compenso originariamente pattuito per una collaborazione autonoma, sicchè non è prospettabile in termini giuridicamente sostenibili l’esistenza di una pattuizione individuale incidente sulla misura della retribuzione in senso difforme rispetto ai minimi contrattuali del lavoro subordinato.

8. I principi richiamati nel terzo motivo, ossia quelli di autonomia contrattuale ed efficacia del contratto, con l’ulteriore corollario che l’intervento del giudice è consentito solo in assenza di pattuizione tra le parti, ovvero nell’ipotesi di retribuzione insufficiente, si riferiscono ad ipotesi diversa in cui il datore di lavoro deve corrispondere un emolumento equivalente alla retribuzione minima prevista nei contratti collettivi di categoria o del settore produttivo di appartenenza del lavoratore, integrando i medesimi il requisito della sufficienza voluto dall’art. 36 Cost.. La norma, ispirata al principio del minimo costituzionale, non si attaglia a quello che è l’oggetto della presente controversia, in relazione alla quale deve ribadirsi quanto già registrato in relazione alla mancanza di ogni impugnazione della ratio decidendi che evidenziava un vizio di ultrapetizione ove la retribuzione fosse stata fissata nel maggior importo previsto dal contratto di collaborazione autonoma del 27.12.2006.

9. La prima censura del quarto motivo è assorbita dalle considerazioni già svolte. Quanto alla limitazione temporale del risarcimento del danno alla data della sentenza di primo grado, il riferimento a Cass. 8643/2010 è improprio, in quanto tale precedente si riferisce all’ipotesi del risarcimento del danno conseguente alla reintegra e non ai danni maggiori prospettati nella specie, di natura

non patrimoniale e connessi alla forzosa inoperatività. La motivazione della Corte distrettuale, secondo cui la condanna è stata limitata fino alla data della sentenza di primo grado, trova giuridico fondamento nel principio secondo cui un risarcimento per il periodo successivo presuppone la prospettazione di comportamenti successivi posti in essere dal datore dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che siano anche provati dalla parte che li allega. Questa affermazione che costituisce autonoma ratio decidendi, non è stata adeguatamente censurata e quindi si rivela inammissibile la censura formulata sulla erroneità della interpretazione della decisione di primo grado quanto al limite temporale della sentenza.

RICORSO INCIDENTALE.

10. Con il primo motivo del ricorso incidentale, denunziandosi la violazione dell’art. 112 e/o dell’art. 2033 c.c., si sostiene che il tenore della sentenza di secondo grado, di riforma della sentenza appellata, rendeva doverosa una pronuncia da parte della Corte distrettuale che disponesse, così come richiesto dalla società, la restituzione delle somme maggiori aventi titolo in capi della sentenza modificati per effetto di una ritenuta minore quantificazione del risarcimento dovuto.

11. Con il secondo motivo, si denunzia violazione falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 18 anche in relazione all’art. 2099 c.c., sull’assunto che il pregiudizio derivante dalla inattività ulteriore rispetto a quello afferente alla impossibilità di rendere la prestazione doveva essere supportato da allegazioni suscettibili di riscontro probatorio, nella specie non sussistenti.

12. Il primo motivo – rispetto al quale per costante insegnamento giurisprudenziale può prescindersi dall’intitolazione del vizio dedotto, in relazione a quanto specificato nel corpo del motivo (cfr., da ultimo, ex aliis, Cass. 23.05.2018 n. 12690) è fondato nei limiti di quanto riconosciuto in sentenza, dovendo essere restituito quanto percepito in eccesso (ove accertata l’avvenuta percezione della totalità delle somme indicate nella sentenza di primo grado): ed invero, la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello anche nel corso del giudizio, quando l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione. Qualora il giudice d’appello non provveda su tale domanda, la parte può alternativamente denunciare l’omissione con ricorso per cassazione o farla valere riproponendo la detta domanda restitutoria in autonomo giudizio, posto che la mancata pronuncia dà luogo ad un giudicato solo processuale e non sostanziale (cfr. Cass. 24.5.2019 n. 14253, Cass. 21.11.2019 n. 30495).

12.1. Nella specie, la società afferma di avere dato esecuzione alla sentenza di primo grado, pur evidenziandosi da parte del controricorrente una parziale dimostrazione di quanto allegato, per cui si impone la necessità di un preciso accertamento in ordine a quanto effettivamente erogato dalla società in misura eccedente rispetto alla quantificazione della Corte d’appello capitolina.

13. Il secondo motivo è, invece, infondato, in quanto la deduzione vi è stata, come argomentato dalla Corte d’appello e dal giudice di primo grado, e quindi correttamente è stato liquidato il danno non patrimoniale sulla base di presunzioni. Ed invero, è pacifico l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità, pur relativo ad ipotesi di demasionamento, alla cui stregua “è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti. La relativa prova spetta al lavoratore, il quale tuttavia non deve necessariamente fornirla per testimoni, potendo anche allegare elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione” (cfr. Cass. 2.10.2019 n. 24585, Cass. 20.4.2018 n. 9901). Il riferimento alla esaustività del risarcimento L. n. 300 del 1970, ex art. 18 è contraddetto da questa Corte che ha affermato che anche “nel regime di tutela reale L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18 avverso i licenziamenti illegittimi (nella formulazione “ratione temporis” applicabile, anteriore alla modifica apportata con L. 28 giugno 2012, n. 92), la predeterminazione legale del danno risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (nel caso, alla professionalità) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra, e che il giudice, in presenza della relativa prova – il cui onere incombe sul lavoratore ma che, in presenza di precise allegazioni, può essere soddisfatto mediante il ricorso alla prova presuntiva – possa liquidarlo equitativamente” (cfr. Cass. 15.4.2013 n. 9073).

14. Conclusivamente, il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale vanno respinti, meritando accoglimento soltanto il primo motivo del ricorso incidentale.

15. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e va disposto il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà accertare gli importi asseritamente già corrisposti dalla società versati in eccedenza in esecuzione della sentenza di primo grado rispetto alla somma riconosciuta all’esito del giudizio di appello.

16. Al giudice del rinvio va demandata la determinazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021

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