Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14999 del 17/07/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 5 Num. 14999 Anno 2015
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

Data pubblicazione: 17/07/2015

SENTENZA
sul ricorso iscritto proposto da:
CORTECO S.R.L.,

in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale
Mazzini n.11 presso lo studio del prof.avv.Livia
Salvini che la rappresenta e difende unitamente e
disgiuntamente all’Avv.Giuseppe Vanz.
– ricorrente –

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore

generale pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui
uffici in Roma, via dei Portoghesi n.12 è elettivamente
domiciliata.

f

-controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale del Piemonte n.15/14/2008, depositata il
14.5.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Crucitti;
udito per la ricorrente l’Avv.Annamaria Piras per
delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott.Sergio Del Core, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto

Nella controversia traente origine dall’opposizione proposta da Corteco
s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento con i quali, ai fini irpeg ed irap per gli anni
di imposta 2002 e 2003, l’Ufficio aveva ritenuto indeducibili i costi rinvenienti da
operazioni intrattenute dalla contribuente con imprese aventi sede in Singapore, la
Società propone ricorso, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che resiste con
controricorso, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la
Commissione Tributaria Regionale del Piemonte aveva confermato l’avviso di
accertamento, in punto di indeducibilità dei costi e, in virtù dello ius superveniens
costituito dalla legge n.296/06, rideterminato le sanzioni, nella misura prevista dal
comma 3 bis dell’art.8 del d.lgs. n.471197.
In particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che, anche alla luce del
disposto del sopravvenuto art. l, comma 301, 302 e 303 della legge n.296/06, la

2

udienza del 13.3.2015 dal Consigliere Dott.Roberta

mancata separata indicazione, in dichiarazione, rendesse indeducibili i costi
rinvenienti da operazioni poste in essere con imprese di Paesi a cd. “fiscalità
privilegiata” e che tale mancanza non potesse essere corretta con presentazione di
dichiarazione integrativa, una volta che fosse già avvenuto, come nella specie, un
accesso da parte dei verificatori.

dimostrata l’effettività ed economicità delle operazioni, riderteminava le sanzioni
nella misura prevista dal comma 3 bis del d.lgs. 417/97 come da modifiche
apportate dalla legge 296 /2006.
Il ricorso, affidato a tre motivi, è resistito dall’Agenzia delle Entrate con
controricorso.
La ricorrente ha depositato memorie ex art.378 c.p.c.
Considerato in diritto
1.Con il primo motivo di ricorso —rubricato: violazione dell’art.2, comma 8
del d.p.r. n.322/1998, in relazione all’art.360, commal, n.3 c.p.c.- la ricorrente,
premesso di non avere indicato separatamente i costi in dichiarazione, in assoluta
buona fede e per mera ignoranza del relativo adempimento, e di avere
immediatamente provveduto, dopo avere appreso di tale obbligo, a sanare tali
irregolarità delle dichiarazioni relative al 2002 e 2003 mediante presentazione di
dichiarazione integrativa,— deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione
Tributaria Regionale nel non ritenere valide dette dichiarazioni integrative perché
presentate dopo l’inizio della verifica fiscale nei suoi confronti senza, peraltro,
supportare tale affermazione con argomentazioni giuridiche.
1.1. Il motivo di ricorso va rigettato. Nella specifica materia, questa Corte
(sentenza n.5398/12 richiamata integralmente da Cass.n. 20081/2014; id. n.ri

3

In punto di sanzioni, la C.T.R. piemontese, dato atto che era stata

5670/2014; 11158/2014; 2612/2015; n.4030/2015) è ferma nel ritenere che “dopo
la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione,
essendo indubbio che, ove fosse possibile procedere alla correzione della
dichiarazione dei redditi sino al momento dell’accertamento definitivo del maggior
reddito, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal

elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle
.,
disposizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redd i t i ‘e c iò, anche
sulla scorta del principio di carattere generale espresso dalla Corte Costituzionale
con l’ordinanza n.392/2002.
La ricorrente, facendo leva, in memoria ex art.378 c.p.c., sulle prime di
dette pronunce e sul dato testuale delle stesse -le quali fanno tutte riferimento,
quale termine oltre il quale non sarebbe consentita la presentazione della
dichiarazione integrativa, alla

“contestazione della violazione – ritiene che il

principio così affermato, per il quale, secondo la prospettazione difensiva,
costituirebbe causa ostativa all’emenda la notificazione al contribuente dell’atto
con cui viene contestata la violazione cioè il processo verbale di constatazione
della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate, palesa la fondatezza del

motivo di ricorso. Ciò in quanto, per come è incontestato, la Società ebbe a
presentare le dichiarazioni integrative per i periodi di imposta 2002 e 2003 il
7.5.2005, ovvero due giorni prima la data (9.5.2005) in cui le venne notificato il
processo verbale di constatazione.
1.2.Tale prospettazione non può essere condivisa. Questa Corte, già con
sentenza n.24929/2013, ha avuto modo, condividendo il principio esposto da prima
da Cass. n.5398/12, di evidenziare che lo stesso raccordava la facoltà di emenda

4

legislatore per ovviare ad un errore del contribuente per trasformarsi in un mezzo

della dichiarazione prevista dall’art.2 comma 8 e 8 bis d.p.r. 22.7.1998 n.322 (nel
testo introdotto dal s.pr 7.12.2001 n.435) all’esercizio del ravvedimento operoso in
tema di illeciti fiscali, consentito al contribuente dall’art.13 comma 1 dlgs
n.472/1997 “semprechè la violazione non sia stata già constatata e comunque non
siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle

conoscenza…”, atteso che la relazione tra le due norme …non si pone in termini di
successione delle norme nel tempo (in considerazione del differente oggetto della
disciplina dettata da ciascuna di esse), ma in termini di coordinamento e, dunque,
venendo in questione un tipico problema di interpretazione sistematica del
complesso normativo.
Si è, infatti, condivisibilmente ritenuto che la peculiare fattispecie -in cui
l’inosservanza dell’adempimento formale (indicazione separata nella dichiarazione
dei costi deducibili rinvenienti da operazioni sospette) impediva (prima della
novella introdotta dalla legge n. 296/2006, arti commi 302 e 303 per come si
specificherà meglio infra) il perfezionamento della stessa fattispecie costituiva del
diritto alla deduzione di tali spese, con la conseguenza che la deduzione operata
nella dichiarazione integrava oggettivamente una evasione di imposta- è del tutto
diversa dalle situazioni contemplate dall’art.2 comma 8 (integrazione dei dati della
dichiarazione a favore dell’Erario) e comma 8 bis (rettifica dei dati della
dichiarazione a favore del contribuente) in cui la modifica apportata con la
dichiarazione integrativa non interviene a completare con effetto ex nunc la
fattispecie costitutiva del diritto che il contribuente intende far valere nei confronti
della P.A ma viene ad incidere esclusivamente con il quantum dei rispettivi
crediti e debiti sussistenti al momento della presentazione della dichiarazione

5

quali l’autore od i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale

(Cass. n.24929/2013 cit.).
In tale ottica, pertanto, non è applicabile il principio di diritto secondo cui
in tema di imposte sui redditi, la possibilità per il contribuente di emendare la
dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione
tributaria, ma pur sempre di carattere meramente formale, è esercitabile anche in

dichiarazione.
Nel condividere le superiori argomentazioni, il Collegio ritiene, altresì, di
ribadire che l’ammissibilità della possibilità di emenda “ex post” allo stesso
accesso, ispezione, verifica e quant’altro si porrebbe in manifesto contrasto oltre
che con il principio di effettività della sanzione (venendo ad elidere lo stesso
esercizio del jus puniendi della P.A.) anche con i principi di efficienza e buon
andamento della Amministrazione finanziaria ex art.97 Cost. in quanto verrebbe a
vanificare le attività ispettive e di controllo svolte dagli Uffici finanziari,
demandando al contribuente la scelta di evidenziare o meno nella dichiarazione
fiscale i costi relativi ad operazioni indicate dal Legislatore come altamente
sospette in relazione alla tipologia dei soggetti esteri con le quali vengono
intrattenute, consentendo di sanare ex post la “irregolarità” mediante presentazione
di una dichiarazione integrativa, ” secundum eventum inspectionis” con evidenti
effetti pregiudizievoli sullo scopo antielusivo della norma e sulla stessa efficacia
dei controlli.
1.3. Alla luce di quanto esposto non appare, allora, revocabile in dubbio
l’inammissibilità e l’inidoneità allo scopo delle dichiarazioni integrative presentate
dalla Società, nella specie, non motu proprio, ma solo dopo che erano già state
concluse le operazioni di verifica ed appena a ridosso (due giorni prima) dalla

6

sede contenziosa ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della

notificazione del processo verbale di constatazione.
2.Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’arti,
commi 301-303 della legge 27.12.2006 n.296. In particolare, si censura la sentenza
impugnata per non avere ritenuto che lo ius superveniens costituito dalla legge
finanziaria del 2007 (in virtù del quale la mancata separata indicazione dei costi

operazioni poste in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore della suddetta
norma ed ancora, per avere applicato la sanzione amministrativa del 10% dei costi
laddove l’unica applicabile era quella di cui all’art.8, comma 1, del d.lgs.
n.471/1997 (vigente all’epoca dei fatti).
3.In subordinei al mancato accoglimento dei primi due motivi, la ricorrente
rileva che la sentenza andrebbe confermata nella parte in cui ha omesso di
annullare il recupero dell’imposta e confermata in punto di sanzioni.
4.1 motivi, connessi, possono trattarsi congiuntamente
4.1.Nella versione in vigore sino al 31 dicembre 2003, l’art. 76 d.p.r.
91771976 recita: “.. 7-bis. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri
componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed
imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione
europea aventi regimi fiscali privilegiati….
7-ter. Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese
residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono
prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste
in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno
avuto concreta esecuzione)). … La deduzione delle spese e degli altri componenti
negativi di cui al comma 7-bis è comunque subordinata alla separata

7

non costituiva più causa di indeducibilità dei costi) si applicasse anche alle

indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti …”.
In termini perfettamente identici si esprime, ai commi 10 e 11, l’art. 110 d.p.r.
917/1986, nel testo in vigore dal I gennaio 2004 all’i gennaio 2007.
Le norme vigenti sino al 31 dicembre 2006, dunque, sancivano l’indeducibilità dei
costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Stati o territori a

esteri svolgevano effettiva attività commerciale ovvero che le operazioni poste in
essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed avevano avuto concreta
esecuzione e, in ogni caso, ove i costi non fossero stati separatamente indicati in
dichiarazione.
Con decorrenza dall’I gennaio 2007, l’art. 1, comma 301, I. 226/2006 (finanziaria
2007) ha modificato il testo dell’art. 110 d.p.r. 917/1986, nella parte rilevante ai
fini della presente controversia, nei termini seguenti: “10. Non sono ammessi in
deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse
tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non
appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati….
Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti
in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente
un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere
rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto
concreta esecuzione. Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi
del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi …”.
Il contestuale art. 1, comma 302, I. 226/2006 ha, poi, sancito: “All’articolo 8 del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 3 è aggiunto il
seguente: “3-bis. Quando l’omissione o incompletezza riguarda l’indicazione delle

8

finalità privilegiata (cd. Paesi black list), ove non risultasse provato che i contraenti

spese e degli altri componenti negativi di cui all’articolo 110, comma Il, del
testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari
al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non
indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo

Per la normativa entrata in vigore 1’1 gennaio 2007, dunque, la deducibilità dei
costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi cd. “Black
list” risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera
contraente e dell’effettività della transazione commerciale. La separata indicazione
in dichiarazione dei costi suddetti è degradata, invece, da presupposto sostanziale
di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale (a garanzia, evidentemente,
delle esigenze di controllo degli uffici finanziari), passibile di corrispondente
sanzione amministrativa.
Sul tema in rassegna, l’art. 1 I. 226/2006, al comma 303, ha, infine, ulteriormente
disposto in via transitoria: “303. La disposizione del comma 302 si applica
anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della
presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’articolo 110,
comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi. Resta
ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8, comma 1,
del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471″.
Così delineata l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, dirimente ai fini
della soluzione della presente controversia si rivela stabilire se la retroattività della
normativa innovativa sia circoscritta alla disciplina sanzionatoria o coinvolga,
invece, anche il profilo dell’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei

9

di euro 50.000”.

costi non separatamente indicati in dichiarazione.
In tale prospettiva, il dato letterale, sembrerebbe escludere la retroattività della
sopravvenuta eliminazione del previgente
separatamente indicati in dichiarazione,

regime d’indeducibilità, se non
dei costi scaturenti da operazioni

intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati o territori “a

sino al 31 dicembre 2006.
Indicativa è, al riguardo, la circostanza che la disposizione transitoria di cui all’art.
1, comma 303, 1. 296/2006 attribuisce, in termini testuali, portata retroattiva
esclusivamente al precedente comma 302, che dispone in tema di sanzioni, e non
anche al comma 301, introducente l’eliminazione (peraltro con esplicito
riferimento alla sola previsione dell’art. 110 d.p.r. 917/1986 e non anche alla
corrispondente disposizione ancora precedentemente vigente) del regime
d’indeducibilità dei costi in rassegna se non separatamente indicati.
La soluzione non risulta, d’altro canto, inconciliabile, in termini assoluti, con il
dato sistematico; la limitazione della retroattività al solo nuovo regime
sanzionatorio può infatti, in tale ottica, trovare una propria autonoma e coerente
giustificazione nella finalità, evidenziata dall’Agenzia, di anticipare – fermo
restando il regime d’indeducibilità dei costi non separatamente dichiarati – almeno
l’operatività del nuovo sistema sanzionatorio, ispirato al sopravvenuto
riconoscimento del carattere meramente formale della violazione, sostituendolo, in
via di applicazione retroattiva, a quello previgente (cfr. art. 1 d.lgs. 471/1997)
correlato alla natura sostanziale in allora riconosciuta alla violazione.
Tanto premesso, al Collegio appare, ciò non pertanto, condivisibile
l’orientamento di recente espresso da questa Corte (Cass. n.ri 4030/2015;

10

fiscalità privilegiata”; regime incontrastamente sancito dalla norme succedutesi

6205/2015 e 9950/2015)

il quale ha rivisitato l’orientamento precedente (cfr.

Cass. nn.20081/14, 5398/12) che si era espresso nel senso dell’irretroattività
dell’abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente
indicati in dichiarazione.
Per quanto riguarda la disciplina “a regime”, invero, le innovazioni

ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Paesi a fiscalità
privilegiata sottende, indubitabilmente, l’intenzione di trovare un punto di
equilibrio meno gravoso per il contribuente, rispetto a quello precedentemente
definito, nel contemperamento dell’interesse del contribuente medesimo a poter
dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppur nell’ambito di operazioni intercorse
con soggetti operanti in aree fiscalmente sospette, con l’interesse erariale a veder
assicurata, in relazione ai costi riferiti ad operazioni obiettivamente suscettibili di
ragionevole sospetto, un’efficace azione di controllo. Punto di equilibrio che si è
ritenuto di poter raggiungere, trasformando la separata indicazione in dichiarazione
dei costi in oggetto, da presupposto di deducibilità dei costi medesimi, in obbligo
dichiarativo amministrativamente sanzionato; in tal modo coniugando la
deducibilità dei costi che il contribuente dimostri effettivi ed inerenti,
indipendentemente dalla relativa separata indicazione in dichiarazione, con il
mantenimento, a fini di controllo (seppur con effetti più circoscritti), dell’obbligo
d’indicazione separata in dichiarazione.
La ratio dell’innovazione legislativa “a regime” — aderente, peraltro, ai canoni
costituzionali della capacità contributiva e dell’uguaglianza tributaria — si proietta
inevitabilmente sulla relativa disciplina transitoria e, facendo aggio sul dato
testuale, induce a leggerla nel senso dell’estensione dell’applicazione retroattiva

11

apportate dalla 1. 296/2006 alla normativa in tema di deducibilità di costi inerenti

anche all’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei costi non
separatamente indicati in dichiarazione.
Peraltro, pur nella grave ambiguità del complessivo contesto normativo,
dato a conforto della soluzione qui prescelta sembra cogliersi nell’ultima
proposizione dell’art. 1, comma 303, 1. 296/2006, che — in esito all’affermazione

471/1997, introdotto dal precedente comma 302, in ipotesi di mancata indicazione
separata dei costi black list tuttavia comprovati nella loro effettività — recita: “Resta
ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8, comma I, del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
La norma prevede indubitabilmente, per le sole violazioni dell’obbligo di
separata indicazione riferibili a situazioni di diritto transitorio, il cumulo della
sanzione proporzionale del 10% (entro limiti prescritti), disposta dal sopravvenuto
comma 3 bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al comma
I dell’art. 8 d.lgs. 471/1997 e, trovando ragion d’essere solo sul presupposto
dell’estensione della retroattività anche all’abolizione del previgente regime
d’indeducibilità, la legittima a sua volta, finendo, così, con il costituire clausola di
chiusura dell’intera disciplina.
Considerata la maggior gravità per il contribuente del previgente regime di radicale
indeducibilità e, altresì, della sanzione di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 471/1997
ad esso ricollegabile, la norma non viola, d’altro canto, il principio di legalità. Né,
per effetto della stessa previsione normativa, può, per le situazioni di diritto
transitorio, evocarsi il criterio di specificità (cosi Cass.n.4030/2015 e
Cass.n.9950/15) .
5. Da quanto sin qui esposto consegue che, rigettato anche il secondo motivo ed in

12

dell’efficacia retroattiva della sanzione di cui all’art. 8, comma 3 bis, d.lgs.

-

6SENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 261411956
N. 131 TALL ALL. B. – N. 5

MATER:IA .00MT~
accoglimento del solo terzo, la sentenza impugnata va cassata nel capo in cui non
ha ritenuto indeducibili i costi. La controversia va quindi rimessa al Giudice di
merito, affinché, alla luce dei superiori principi, proceda al riesame oltre che a
regolare le spese di lite.
P.Q.M.

in motivazione, la sentenza impugnata e rinvia a diversa Sezione della
Commissione tributaria regionale del Piemonte anche per il regolamento delle
spese processuali di questo grado.
Così deciso in Roma, il 13.3.2015.

La Corte, in accoglimento del solo terzo motivo di ricorso, cassa, nei termini di cui

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA