Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14994 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 21/07/2016, (ud. 12/02/2016, dep. 21/07/2016), n.14994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Liliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17377/2013 proposto da:

LEDRAGOMMA SRL, (OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione Dott. D.R., elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 38, presso lo studio dell’avvocato

GREZ E ASSOCIATI, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO

CONTI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AXA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI, rappresentata e

difesa dall’avvocato SERGIO PASSONI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 174/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 07/03/2013, R.G.N. 458/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato AURELIO RICHICHI per delega;

udito l’Avvocato SERGIO PASSONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento delle

domande ex art. 89 c.p.c.; manifesta infondatezza del ricorso;

condanna aggravata alle spese; statuizione sul contributo unificato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2009 la società Ledragomma s.r.l. convenne dinanzi al Tribunale di Pordenone la società AXA Assicurazioni s.p.a., esponendo che:

-) produceva ed esportava prodotti destinati al pubblico dei consumatori;

-) aveva stipulato con la AXA un contratto di assicurazione contro il rischio di responsabilità civile scaturente da danni da prodotto;

-) era stata convenuta in giudizio, dinanzi all’autorità giudiziaria degli Stati Uniti d’America, da un consumatore che assumeva di essere stato danneggiato da un prodotto della Ledragomma, e che ne aveva chiesto la condanna al risarcimento del danno;

-) la AXA aveva rifiutato la copertura del sinistro.

Chiese pertanto: (a) l’accertamento dell’obbligo indennitario a carico della AXA; (b) la condanna della AXA alla rifusione delle spese legali sino a quel momento sostenute per difendersi dinanzi all’autorità giudiziaria statunitense.

2. La AXA si difese sostenendo – per quanto ancora rileva in questa sede che il prodotto rivelatosi dannoso era stato esportato negli USA nel 2005, mentre la polizza (stipulata nel 2007) prevedeva, con la clausola “P50”, la copertura della responsabilità dell’assicurato per i soli danni provocati da prodotti esportati durante la vigenza del contratto.

3. Il Tribunale di Pordenone con sentenza 24.2.2011 n. 166 rigettò la domanda, osservando che:

a) la clausola P50 delle condizioni generali di contratto prevedeva l’estensione geografica della copertura alla responsabilità per danni provocati da prodotti esportati negli USA, ma contestualmente la limitava temporalmente alla responsabilità per i soli danni causati da prodotti esportati nella vigenza del contratto;

b) di tale clausola era prevista la validità se “richiamata” nella polizza;

c) poichè dal frontespizio della polizza si desumeva chiaramente che l’assicurazione coprisse anche i danni avvenuti negli USA, la suddetta clausola P50 doveva ritenersi richiamata nel suo complesso.

Concluse pertanto che la clausola P50 era stata validamente stipulata, era operante, e in virtù di essa l’assicurata non potesse pretendere la copertura per la responsabilità derivante da danni causati da prodotti esportati prima della stipula della polizza.

4. La sentenza venne appellata dalla soccombente.

La Corte d’appello di Trieste, con sentenza 27.2.2013 n. 174, rigettò il gravame, integrando la motivazione del giudice di primo grado con due ulteriori rilievi.

Da un lato rilevò che la clausola P50 (e quindi la delimitazione temporale del rischio ivi prevista) doveva ritenersi espressamente richiamata nella polizza, perchè inclusa fra quelle approvate ex art. 1341 c.c..

Dall’altro soggiunse che non era possibile – come pretendeva l’appellante scindere il rischio garantito e dimidiare le due previsioni contenute nella clausola P50, sì da ritenere che questa fosse operante nella parte in cui prevedeva l’estensione della copertura alla responsabilità scaturenti da prodotti venduti nel mercato nordamericano, e non operante nella parte in cui limitava tale copertura alla sola responsabilità per danni causati da prodotti esportati nella vigenza della polizza.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Ledragomma, con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso la AXA, ed ha anch’essa depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c..

Deduce, al riguardo, che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto efficace e valida la clausola P50 delle condizioni generali di contratto (che, per quanto detto, limitava la copertura ai soli prodotti esportati dopo il 2007).

Assume la ricorrente che quella clausola era invece inefficace. Essa infatti, per espressa previsione sarebbe stata efficace solo richiamata nella polizza (ovvero nel documento contrattuale di cui all’art. 1888 c.c.), ma la polizza nel caso specifico non richiamava affatto quella clausola. Ed infatti:

– nel frontespizio non compariva;

– la sottoscrizione dell’elenco delle clausole vessatorie, tra le quali compariva la P50, non poteva valere come “richiamo” della stessa, perchè nell’elenco si diceva che il contraente approvava per iscritto la suddetta clausola “se prestata”.

Nè da tale esclusione poteva derivare l’esclusione anche della copertura della r.c. per danni da prodotti venduti negli USA, perchè dal contesto letterale della polizza era indubitabile che le parti avessero stipulato tale copertura: tanto si desumeva sia dalle pattuizioni sulla misura del premio, sia dalla previsione d’uno scoperto di garanzia, previsioni nelle quali si faceva espresso riferimento alla responsabilità per danni provocati da esportazioni negli U.S.A..

La società ricorrente, in estrema sostanza, articola il seguente sillogismo:

(-) la clausola P50, là dove esclude la copertura assicurativa, non è espressamente richiamata in polizza e quindi non s’applica;

(-) ciò non esclude la copertura della responsabilità dell’assicurata per danni causati negli U.S.A., perchè tale copertura risulta espressamente dal contratto, senza bisogno di richiamare la clausola P50.

Di qui la violazione dell’art. 1362 c.c., perchè la Corte d’appello avrebbe travisato il senso letterale del contratto.

1.2. Il motivo è infondato.

E’ noto come l’interpretazione del contratto costituisce oggetto di un accertamento di fatto demandato al giudice di merito.

Questa Corte ovviamente può sì sindacare la corretta applicazione, da parte di quest’ultimo, delle regole legali di ermeneutica dei contratti, ma in tanto queste ultimo potranno dirsi violate, in quanto il giudice di marito adotti una interpretazione con esse incompatibile. Il solo fatto, invece, che il contratto possa essere interpretato, oltre che nel modo ritenuto dal giudice di merito, anche in altri modi diversi, non costituisce di per sè un vizio censurabile in sede di legittimità.

Più volte, in particolare, questa Corte ha stabilito che per sottrarsi al sindacato di legittimità l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto “non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (così Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944; sostanzialmente nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161; Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007, Rv. 595003).

1.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello fu chiamata ad interpretare il senso e gli effetti della clausola “P50” delle condizioni generali di contratto. Tale clausola era per un verso ampliativa, e per un verso riduttiva della copertura standard fornita dal contratto.

La ampliava perchè la estendeva alla responsabilità per danni derivanti da merce esportata negli U.S.A.; ma la riduceva rispetto alla regola generale, perchè nel caso di responsabilità dell’assicurato scaturente dalla vendita di prodotti negli U.S.A., copriva solo gli eventi avvenuti dopo la stipula del contratto.

Tale clausola, infine, per patto espresso doveva essere richiamata “espressamente” nella polizza per essere valida.

A fronte di un patto di questo tipo, la Corte d’appello ha ritenuto:

-) che la clausola fosse stata richiamata nella polizza, perchè compariva nell’elenco delle clausole vessatorie contenuto a p. 2 della polizza stessa;

-) che in ogni caso quella clausola non poteva essere dimidiata, pretendendo producesse effetti nella parte in cui estendeva la copertura alla responsabilità per danni da prodotti venduti negli U.S.A., e che per contro non li producesse nella parte in cui limitava la copertura ai soli fatti avvenuti dopo la stipula.

Questa interpretazione non è irrazionale nè implausibile. Non viola, di per sè, l’art. 1362 c.c., in quanto da nulla risulta che le parti avessero l’intenzione di stipulare un’assicurazione valida per i sinistri avvenuti negli U.S.A. con clausola claim’s made retroattiva; non viola l’art. 1363 c.c., in quanto non è affatto incompatibile col testo letterale del contratto; non viola l’art. 1364 c.c., in quanto non è stata affatto estesa a casi in essa non previsti; non viola, infine, l’art. 1366 c.c., in quanto l’interpretazione adottata dalla Corte d’appello è di quelle che potevano comunque trarsi dalla lettera del contratto, e non il frutto di macchinose elucubrazioni, tali da produrre effetti inattesi per il contraente in buona fede.

E’ dunque evidente che sotto l’usbergo della violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., la ricorrente pretende in sostanza da questa Corte una interpretazione del contratto diversa rispetto a quella adottata dalla Corte d’appello: richiesta, per quanto detto, non ammessa in questa sede.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso, formulato subordinatamente al rigetto del primo, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, formalmente, la violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 e 1370 c.c.. Nella illustrazione del motivo, tuttavia, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato la regola dell’interpretatio contra proferentem, di cui all’art. 1370 c.c..

Deduce che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 1370 c.c., perchè il contratto era comunque ambiguo, e andava interpretato in senso sfavorevole all’AXA. Il contratto, soggiunge la ricorrente, era ambiguo perchè:

– da un lato la clausola P50, valida solo se “espressamente” richiamata, prevedeva congiuntamente l’estensione della garanzia al mercato USA, e la limitazione della copertura per tale mercato ai soli danni da prodotti consegnati dopo la stipula della polizza;

– dall’altro lato, la polizza non richiamava espressamente la clausola P50, ma prevedeva il pagamento di un premio comprensivo del “rischio USA”.

2.2. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

Come già detto, la clausola P50 del contratto per essere operante doveva essere richiamata “espressamente” nella polizza. Nel nostro caso un richiamo “espresso” non c’è: c’è, invece, un richiamo inespresso, rappresentato dal fatto che sulla facciata della polizza è indicato un premio comprensivo del “rischio USA”.

Un contratto così strutturato è in effetti ambiguo, in quanto la mancanza del richiamo espresso indurrebbe a ritenere esclusa la copertura per le esportazioni negli U.S.A.; mentre la previsione d’un premio maggiorato e l’inclusione della clausola nell’elenco delle pattuizioni vessatorie, da sottoscrivere ex art. 1341 c.c., dimostrerebbe che quella copertura fu voluta. E tuttavia, dinanzi ad un testo così ambiguo, il giudice di merito non poteva in tesi che scegliere due strade: o escludere l’applicazione della clausola in toto; o ammettere l’applicazione della clausola in toto. Non sarebbe stato possibile, per contro, dividerne gli effetti, perchè in tal modo non di interpretazione si sarebbe trattato, ma di vera e propria manipolazione del contratto.

Sicchè, una volta stabilito che la clausola era unitaria ed inscindibile, l’interpretazione più favorevole all’assicurato era ovviamente la seconda, perchè gli consentiva di beneficiare della copertura del rischio derivante da esportazione negli U.S.A.. L’opposta interpretazione, per contro, avrebbe privato l’assicurato della copertura di quel rischio, esponendolo però all’obbligo del pagamento d’un premio maggiorato rispetto a quello ordinario. Deve solo soggiungersi che la “favorevolezza” dell’interpretazione della clausola ambigua va valutata ex ante e con riferimento al momento della stipula, e non ex post e con riferimento al tipo di sinistro verificatosi.

L’interpretazione d’una clausola contrattuale, infatti, non può variare a seconda del tipo di contenzioso che dovesse insorgere tra le parti.

Così ad esempio, nel nostro caso, se allo spirare del contratto non si fossero verificati sinistri negli U.S.A., certamente l’assicurata non avrebbe potuto pretendere la restituzione del maggior premio pagato con riferimento al rischio U.S.A., assumendo che questa doveva essere l’interpretazione contra proferentem del contratto, ex art. 1370 c.c., perchè più favorevole all’assicurato in quanto gli consentiva di risparmiare una parte del premio. Pertanto, avuto riguardo al momento in cui il contratto fu stipulato, l’interpretazione della clausola P50 “più favorevole” all’assicurato fu effettivamente quella prescelta dal giudice di merito.

In conclusione, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza; ed infatti, quand’anche la clausola P50 fosse stata interpretata nell’unico altro modo possibile rispetto a quello adottato dalla Corte d’appello (ovvero escludendone l’efficacia in tutte le sue parti), a fortiori il diritto all’indennizzo comunque non sarebbe sorto.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Si deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 91 e 92 c.p.c., decidendo di condannare la Ledragomma al pagamento delle spese del primo e del secondo grado di giudizio. Sostiene che la natura della controversia e la condotta della AXA avrebbero imposto la compensazione integrale delle spese.

3.2. Il motivo è inammissibile, in quanto censura il mancato esercizio di un potere – quello di compensare le spese – rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, e non sindacabile in questa sede.

4. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna Ledragomma s.r.l. alla rifusione in favore di AXA Assicurazioni s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 8.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Ledragomma s.r.l. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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