Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14991 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 21/07/2016, (ud. 16/12/2015, dep. 21/07/2016), n.14991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ESPOSITO F. Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3967/2015 proposto da:

PESCHIERE TARANTINE SRL, in persona dell’Amministratore Unico e

Legale Rappresentante p.t. Ing. L.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio

dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CORRADO GUGLIELMUCCI;

– ricorrente –

contro

ENI SPA in in persona del Procuratore speciale Dott. Ing.

E.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI ABRUZZI 3,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ZACCHEO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA GENOVESE giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 442/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

SEZ.DIST. di TARANTO, depositata il 17/11/2014, R.G.N. 27/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato ROMANO VACCARELLA;

udito l’Avvocato CORRADO GUCLIELMUCCI;

udito l’Avvocato ANDREA GENOVESE;

udito l’Avvocato MASSIMO ZACCHEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., proposto il 6.8.2012 dinanzi al Tribunale di Taranto la Peschiere Tarantine s.r.l. esponeva che a seguito di accordo intercorso il 9.6.2000 con Agip Petroli S.p.A. (poi ENI S.p.A.) aveva iniziato la costruzione di un impianto di allevamento di pesci marini, per il quale si prevedeva l’utilizzo di acqua calda ed energia elettrica fornite da Agip Petroli (la prima gratuitamente, la seconda a costi di produzione), completando poi il progetto a fine 2007. La società convenuta non aveva effettuato le suddette forniture, nonostante gli obblighi contrattuali assunti, cagionando così danni alla società deducente – per costo dell’impianto, mancati guadagni dal 2008 al 2015 e maggiori costi energetici – nella misura di complessivi Euro 12.308.447,97, come stimati dai consulenti nominati dal Tribunale di Roma in sede di accertamento tecnico preventivo espletato. Chiedeva pertanto la condanna dell’ENI al pagamento della suddetta somma, a titolo risarcimento dei danni.

Si costituiva l’ENI chiedendo il rigetto della domanda. Contestava, in particolare, la sussistenza dell’obbligo di canalizzare l’acqua calda reflua della propria centrale termica, nonchè di fornire energia elettrica, evidenziando altresì che il D.M. n. 185 del 2003, aveva reso illegittimo l’utilizzo di acqua calda reflua per fini alimentari. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attrice al pagamento della somma di Euro 41.638,15, pari alla metà del compenso liquidato ai consulenti incaricati dal Tribunale di Roma in sede di A.T.P. e agli stessi corrisposto per l’intero.

2. Con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 19.12.2012 il Tribunale di Taranto rigettava la domanda avanzata dalla società Peschiere Tarantine, accoglieva la domanda riconvenzionale formulata dall’ENI e regolava le spese del giudizio secondo soccombenza.

Il Tribunale rilevava (tra l’altro) che ancora alla data del 27.7.2010 non esistevano i presupposti per l’operatività dell’attività della società ricorrente; che il D.M. n. 185 del 2003, aveva reso impossibile l’utilizzo dell’acqua calda reflua a fini alimentari; che non sussisteva l’obbligo giuridico dell’ENI di somministrare energia elettrica.

3. Proposto appello dalla società Peschiere Tarantine, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 17.11.2014, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio.

Rilevava la corte territoriale che il contratto di somministrazione, intercorso il 9.6.2000 tra la società Peschiere Tarantine e Agip Petroli S.p.A., sul quale l’appellante fondava la sua pretesa, era inefficace. Ciò in quanto l’obbligazione di Agip Petroli di porre a disposizione della società Peschiere Tarantine l’acqua calda reflua della centrale era sottoposta alla condizione sospensiva della costituzione del diritto di superficie in favore della società appellante e tale condizione non si era avverata. Per contro, la società Peschiere Tarantine, il mese precedente la stipula del contratto di somministrazione, aveva acquistato i terreni necessari per l’esercizio dell’attività di allevamento dei pesci.

Osservavano poi i giudici di merito che, anche a voler riconoscere effetti giuridici al contratto del 9.6.2000, esso doveva ritenersi sciolto per l’intervenuto recesso da parte di Agip Petroli. Difatti, trattandosi di contratto a tempo indeterminato – dato che la scrittura non recava alcuna indicazione circa la durata del rapporto, correlata genericamente alla durata del diritto di superficie, mai costituito -, doveva ravvisarsi nella condotta tenuta da AGIP Petroli l’implicito esercizio del diritto di recesso dal contratto, pur senza congruo preavviso, previsto dall’art. 1569 c.c., desumibile dalla mancata erogazione dell’acqua reflua della raffineria. Non poteva peraltro configurarsi un risarcimento del danno per l’esercizio del recesso senza congruo preavviso, in considerazione dello ius superveniens costituito dal D.M. n. 185 del 2003, che aveva reso illegittimo il riutilizzo di acque reflue industriali che – come nella specie – venissero in contatto con gli alimenti (i pesci oggetto di allevamento).

Infondata, infine, si palesava la domanda risarcitoria per mancata fornitura di energia elettrica, posto che il contratto non prevedeva alcuna obbligazione in tal senso a carico di Agip Petroli, prospettandosi solo la possibilità di una eventuale fornitura di energia elettrica da parte della suddetta società.

4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, la Peschiere Tarantine s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi ed illustrato da memoria.

Resiste con controricorso ENI S.p.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In ordine logico, vanno esaminati per primi il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, in quanto volti a censurare la prioritaria ratio decidendi della sentenza impugnata inerente la ritenuta inefficacia del contratto di somministrazione stipulato dalle parti il 9.6.2000.

2. Con il primo motivo la società Peschiere Tarantine lamenta: “Violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non aver proceduto i giudici di appello all’esame dell’intera probatoria prodotta dalle parti omettendo, peraltro, una valutazione globale della stessa”.

Deduce la ricorrente che la Corte d’appello di Lecce aveva preso in considerazione solo il contratto di somministrazione del 9.6.2000, omettendo di esaminare, nella loro completezza e globalità, gli altri documenti prodotti in giudizio, dai quali sarebbe emersa la fondatezza della domanda risarcitoria: segnatamente, il contratto in data 4.3.1992 di concessione da parte dell’ENI alla società Peschiere Tarantine del diritto di superficie su terreno di proprietà dell’ENI per la durata di 15 anni per la realizzazione di uno stabilimento di piscicoltura termica; il contratto del 19.5.2000, con il quale l’ENI alienò altro terreno alla società Peschiere Tarantine su cui erigere lo stabilimento, stante l’impossibilità di utilizzare l’area precedentemente individuata; l’atto del 31.7.2008 di collaudo da parte dell’ENI della condotta realizzata; i documenti provenienti da A.R.P.A. Puglia concernenti la non applicabilità del D.M. n. 185 del 2003, alla piscicoltura; la “dichiarazione ambientale aggiornamento 2010” relativa alla esistenza di un altro impianto di piscicoltura gestito nella centrale di (OMISSIS).

Il motivo è infondato.

Le censure mosse dalla ricorrente, pur prospettando un vizio di violazione di legge, si risolvono nella deduzione di un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione applicabile ratione temporis.

Posto che il giudice di merito non è tenuto a valutare analiticamente tutti i documenti prodotti in giudizio, nè a confutare per ciascuno di essi le argomentazioni prospettate dalle parti, nella specie la corte territoriale, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, nell’ambito di una valutazione complessiva delle risultanze processuali, ha posto a fondamento della decisione il contratto di somministrazione del 9.6.2000, con adeguata e congrua motivazione, immune da vizi logici o giuridici, incensurabile in sede di legittimità, così implicitamente disattendendo gli elementi e le argomentazioni logicamente incompatibili con la decisione adottata. 3. Con il secondo motivo si deduce: “Violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., in materia di ermeneutica contrattuale per non essersi la impugnata sentenza attenuta alla regola prioritaria di letteralità nell’interpretare la volontà dei contraenti nè a quella di interpretazione complessiva delle clausole, violando altresì l’interpretazione di buona fede ed il principio di conservazione del contratto. In relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3”.

Sostiene la ricorrente che il contratto del 9.6.2000 era stato erroneamente ritenuto dalla corte territoriale un contratto a tempo indeterminato, e quindi precario, senza considerare che sarebbe stato contrario al senso comune che la società Peschiere Tarantine si fosse impegnata a costruire (art. 3 del contratto) una imponente opera di collegamento tra la raffineria e lo stabilimento di piscicoltura, collaudata nel 2008, senza la garanzia della durata del rapporto almeno sino al 2015.

Il motivo è infondato.

Con le censure mosse la ricorrente tende a porre in discussione il risultato interpretativo cui è pervenuta la corte territoriale criticando la ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito sulla base di una diversa prospettazione degli elementi acquisiti al processo. In tal modo, pur deducendo la violazione di canoni ermeneutici, la ricorrente, nella sostanza, richiede a questa Corte, sulla base di una valutazione che involge profili di opportunità e di convenienza della complessiva operazione imprenditoriale, una rivalutazione del giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non consentita in sede di legittimità.

4. Con il quarto motivo si denuncia: “Violazione dell’art. 1353 c.c. e ss., in materia di condizioni in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il contratto del 9.6.2000 era rimasto inefficace perchè subordinato alla costituzione del diritto di superficie e che tale condizione non si verificò avendo la società Peschiere Tarantine in precedenza acquistato dall’ENI un terreno per l’esercizio dell’attività di allevamento di pesci. Assume la ricorrente che, poichè il diritto di superficie si risolve nella attribuzione di poteri parziali sulla res oggetto del diritto pieno di proprietà, ove – come avvenuto nel caso di specie – il bene che doveva essere oggetto di costituzione del diritto di superficie sia stato sostituito, per la sua indisponibilità, con l’acquisto in piena proprietà di altra porzione di suolo anch’essa appartenente all’ENI, la condizione costituita dalla titolarità di un diritto reale sul suolo su cui erigere lo stabilimento risultava comunque soddisfatta.

Il motivo è infondato.

La corte territoriale ha rilevato che “non risulta che si sia proceduto, in epoca successiva al 9.6.2010, alla costituzione di siffatto diritto reale di godimento in favore della Soc. Peschiere; peraltro rilevandosi che la circostanza pare comunque esclusa dall’avvenuto acquisto di terreni da parte della Soc. Peschiere, nella data del 30.5.2000 (in epoca precedente a quella del contratto), per l’esercizio dell’attività di allevamento di pesci. L’accordo negoziale del 9.6.2000 si appalesa dunque inefficace per mancato avveramento della condizione sospensiva in esso espressamente prevista”. Tale valutazione, espressa dal giudice di merito con adeguata e congrua motivazione, non può essere sottoposta a revisione, sulla base della diversa prospettazione di parte ricorrente, in sede di legittimità.

5. Alla stregua delle considerazioni svolte, appare immune dai vizi dedotti la ratio decidendi sulla quale si fonda la sentenza impugnata, consistente nella ritenuta inefficacia del contratto di somministrazione stipulato tra le parti il 9.6.2000 per il mancato avveramento della condizione sospensiva inerente la costituzione del diritto di superficie in favore della società ricorrente.

Pertanto restano assorbiti i motivi di ricorso che postulano l’efficacia del contratto in questione e relativi al contestato implicito esercizio del diritto di recesso da parte dell’ENI, desunto dalla mancata erogazione dell’acqua reflua della raffineria (terzo motivo), alla richiesta disapplicazione (quinto motivo) e alla dedotta errata interpretazione del D.M. 185/2003 (sesto motivo), alla asserita errata interpretazione del contratto del 9.6.2000 in riferimento alla somministrazione di energia elettrica (settimo motivo).

6. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce: “Violazione dell’art. 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; mancata ottemperanza dell’ENI all’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella esecuzione del contratto”.

Sostiene la ricorrente che l’ENI, dopo aver dato l’input per la realizzazione dello stabilimento di piscicoltura, aveva del tutto omesso di indicare tempestivamente le pretese condizioni ostative di carattere legislativo, lasciando che la società Peschiere Tarantine continuasse nella onerosa opera di costruzione dello stabilimento e di allacciamento dello stesso, “ecclissandosi” allorquando avvertì il pericolo – a causa di vicende esterne che allarmavano l’opinione pubblica sotto il profilo della tutela dell’ambiente o per suo tornaconto personale – di esservi coinvolto.

La censura, da riferirsi alla condotta tenuta dall’ENI in pendenza della condizione sospensiva, è infondata, risolvendosi nella generica attribuzione a controparte di condotte asseritamente contrarie al dovere di buona fede che, come ha accertato la corte territoriale, con giudizio di fatto incensurabile in questa sede, perchè fondato su motivazione sufficiente e immune da errori giuridici e logici, non hanno trovato alcun specifico riscontro nelle risultanze processuali.

7. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso deve essere quindi rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di ENI S.p.A., liquidate in complessivi Euro 30.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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