Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14990 del 16/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 16/06/2017, (ud. 21/10/2016, dep.16/06/2017),  n. 14990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LA TORRE Enza Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26677-2009 proposto da:

G.G., G.T., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FRACASSINI 18, presso lo studio BAILO-VENETTONI,

rappresentati e difesi dall’avvocato VITO PETRAROTA delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 58/2008 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 14/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PETRAROTA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’avvocato PALASCIANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.G. e G.T., nella qualità di eredi della madre A.A., deceduta il (OMISSIS), propongono ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, rigettandone l’appello, ha confermato la fondatezza della pretesa avanzata con l’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF per il 1999, notificato loro il 13 maggio 2005, con il quale si recuperava a tassazione la plusvalenza realizzata con la vendita di un terreno edificabile in (OMISSIS).

Il giudice d’appello, con riguardo all’eccepita decadenza dal termine per l’accertamento – essendo stato notificato il 13 maggio 2005 l’avviso con il quale si contestava l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi 1999, della plusvalenza realizzata -, ha ritenuto l’Ufficio “ampiamente nei termini”, in quanto il contribuente, per il reddito in discorso, non aveva presentato la dichiarazione integrativa prescritta dalla L. n. 289 del 2002, art. 8 per i redditi soggetti a tassazione separata ai sensi dell’art. 16 TUIR. Nè era possibile, secondo la Commissione regionale, esercitare nella dichiarazione integrativa una opzione diversa, di tassazione separata o ordinaria di reddito, rispetto a quella operata nella dichiarazione dei redditi originaria, dovendo la facoltà di far valere la tassazione ordinaria per alcuni dei redditi elencati nell’art. 16 TUIR essere espressamente esercitata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è avvenuta la percezione dei detti redditi.

Con riguardo poi alla domanda subordinata diretta al “riconoscimento delle spese incrementative nel calcolo dell’INVIM così come riportato nella sentenza n. 64/24/2002 del 20/3/2002 della CTP di Bari”, il giudice d’appello ha rilevato che “non avendo la necessaria documentazione, non è possibile esprimersi su tale punto”.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione ai soli fini della partecipazione alla discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo i ricorrenti lamentano, rispettivamente, l’omessa pronuncia e la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 3 in relazione all’eccepita illegittimità dell’avviso in quanto notificato a mezzo del servizio postale con busta non recante la sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario ed il sigillo dell’ufficio (comma 2), il che avrebbe comportato la giuridica inesistenza della notifica dell’avviso stesso.

I due motivi devono essere disattesi, ove si consideri che i vizi della notificazione a mezzo del servizio postale denunciati non ne comportano l’inesistenza – essendo comunque ravvisabili gli elementi essenziali della figura ma l’irregolarità ovvero, al più, la nullità, sanata con il raggiungimento dello scopo dell’atto, alla luce dell’art. 156 c.p.c., avendo potuto i ricorrenti impugnare l’avviso e far valere le loro ragioni anche nel merito dell’accertamento (cfr., fra le altre, Cass. n. 9493 del 2009: “in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, la mancata apposizione della relata di notifica sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 3 – comporta, non l’inesistenza, ma la mera irregolarità della notificazione, atteso che la fase essenziale del procedimento notificatorio è costituita dall’attività dell’agente postale, mentre quella dell’ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notifica) ha il solo scopo di fornire al richiedente la notifica la prova dell’avvenuta spedizione e l’indicazione dell’ufficio postale al quale è stato consegnato il plico; conseguentemente, qualora sia allegato l’avviso di ricevimento ritualmente completato, l’omessa apposizione della relata integra un semplice vizio, che non può essere fatto valere dal destinatario, non essendo tale adempimento previsto nel suo interesse”).

Con il terzo ed il quarto motivo denunciano, rispettivamente, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 ed insufficiente motivazione, assumendo che essendo stata validamente e tempestivamente presentata nell’aprile del 2000 la dichiarazione dei redditi per l’anno 1999, ed essendosi avvalsi essi ricorrenti “della definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 9”, l’accertamento, “per il combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e della L. n. 289 del 2002, art. 10”, sarebbe “da ritenersi nullo poichè notificato oltre il quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”, e cioè il 13 maggio 2005 invece che entro il 31 dicembre 2004. Nella specie, si sostiene, non potrebbe operare la proroga biennale per l’accertamento prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10 essendosi avvalsi gli eredi della contribuente, in relazione alla dichiarazione dei redditi per il 1999, “della definizione L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 9”.

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 10 sostenendo di essersi “avvalsi della definizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 10 con riferimento all’anno ed all’imposta che hanno costituito oggetto dell’avviso di accertamento, non potendo perciò in ordine alla notificazione di questo trovare applicazione la proroga prevista dalla norma in rubrica, in quanto essa opera esclusivamente per le imposte e le annualità non oggetto di definizione, a nulla rilevando che, dato che il reddito oggetto di recupero è assoggettato a tassazione separata, ove si fosse voluto sanare l’omessa o infedele dichiarazione di esso, avrebbe potuto unicamente farsi luogo alla dichiarazione integrativa semplice di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 8”.

I tre motivi, che in quanto strettamente legati vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.

La sentenza impugnata non è infatti incorsa negli errori ad essa addebitati nel ritenere applicabile la proroga biennale dei termini per l’accertamento prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10 per i contribuenti non avvalsisi del condono per il reddito in discorso.

Come risulta dal tenore del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. b) (ora 67) e art. 16 (ora 17), comma 1, lett. g) bis, sono soggette a tassazione separata, quali “redditi diversi”, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al memento della cessione” (Cass. n. 15629 e n. 4150 del 2014).

Questa Corte ha chiarito come “in tema di condono fiscale, l’esclusione dei redditi a tassazione separata dalla definizione automatica L. 27 dicembre 2012, n. 289, ex art. 9 consente all’Amministrazione finanziaria di procedere ad attività di accertamento sugli stessi, beneficiando della proroga dei termini di cui al successivo art. 10, senza che operi la preclusione prevista dallo stesso art. 9, comma 10” (Cass. n. 21190 del 2014).

Nella specie l’unica forma di definizione agevolata cui i ricorrenti avevano fatto ricorso è appunto la definizione automatica prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9: giova in proposito ricordare che “la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata dalla L. n. 289 del 2002, art. 10 opera “in assenza di deroghe contenute nella legge” sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi di tali disposizioni, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, atteso che il meccanismo di proroga è finalizzato a tutelare il preminente interesse dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento e alla riscossione delle imposte” (Cass. n. 16964 del 2016).

Con il sesto ed il settimo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione dell’art. 82 (ora 68) Tuir, e la violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione, si dolgono che, con riguardo alla determinazione della plusvalenza, il giudice di appello “abbia omesso di tenere conto delle spese incrementative inerenti al suolo oggetto della compravendita dalla quale ha avuto origine la plusvalenza”. Tali spese, che parte ricorrente rivendicava di aver sostenuto, sarebbero state “riconosciute” dall’ufficio nel corso del tentativo di accertamento con adesione – non andato a buon fine, ed il cui verbale di contraddittorio avevano prodotto – attivato dopo la notifica dell’avviso di accertamento impugnato; e sarebbero stati riconosciuti con la sentenza della CTP di Bari ai fini della determinazione dell’imponibile INVIM relativa alla cessione del detto suolo.

I due motivi, che si trattano congiuntamente perchè legati, vanno disattesi.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto che non erano stati forniti, a proposito del “riconoscimento delle spese incrementative nel calcolo dell’INVIM così come riportato nella sentenza n. 64/24/2002 del 20/3/2002 della CTP di Bari”, utili elementi di prova (“.” non avendo la necessaria documentazione, non è possibile esprimersi su tale punto…”).

Del resto, sembra di poter intendere, l’intervenuto “riconoscimento delle spese incrementative” cui i ricorrenti fanno riferimento sarebbe costituito dalla proposta formulata dall’Ufficio in sede di accertamento con adesione non perfezionato, proposta – cui non venne prestata adesione – alla quale non può essere assegnata l’efficacia probatoria postulata, attesa l’evidente natura di definizione transattiva rivestita da quella forma di composizione amministrativa della controversia.

Nè, del resto, sarebbe stato elemento idoneo ai fini della determinazione della plusvalenza l’accertamento compiuto, nella sentenza menzionata da parte contribuente, in ordine alla determinazione, ai fini delle imposte indirette, dell’imponibile relativo alla cessione di quel terreno, ove si consideri che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro” (Cass. n. 11543 del 2016).

E neppure, infine, assume rilievo nel presente giudizio il principio di non contestazione cui si appellano i ricorrenti, perchè la relativa disposizione è stata introdotta nel corpo dell’art. 115 c.p.c. ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14, ed è applicabile ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, laddove la sentenza impugnata risulta depositata il 14 ottobre del 2008.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in del giudizio, liquidate in Euro 3.000 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2017

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