Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1499 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 23/01/2020), n.1499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7251-2013 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO 23,

presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PIETRO GIORGIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DIREZIONE PROVINCIALE DI PIACENZA;

– intimata –

avverso la decisione n. 181/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

BOLOGNA, depositata il 30/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Fatto

CONSIDERATO

che:

M.L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 181/04/2012, depositata il 30.01.2012 dalla Commissione tributaria centrale, sez. di Bologna, con la quale era stato rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento impugnato.

Ha rappresentato che a seguito di verifica presso la propria azienda, esercente attività di allevamento e commercio di bovini, la GdF aveva sollevato numerosi rilievi, ai fini IVA, sia relativi alla tenuta e registrazione della documentazione fiscale, sia riguardanti l’omessa fatturazione di operazioni di cessione di animali. Sulla base della verifica l’Ufficio Iva di Piacenza aveva notificato l’atto impositivo con cui accertava una maggiore imposta (Euro 544.642,53) e comminava le sanzioni (Euro 1.454.019,33).

Il contribuente aveva presentato istanza di condono relativamente alle violazioni di carattere formale, mentre, contestando l’omessa fatturazione di operazioni, aveva adito la Commissione tributaria di Piacenza, che con sentenza n. 231/1991 aveva rigettato il ricorso. La decisione era stata confermata anche in sede d’appello (sent. n. 418/04/1992) e, con la sentenza ora al vaglio della Corte, dalla Commissione tributaria centrale. I giudici tributari avevano ritenuto corrette le contestazioni relative alla mancata fatturazione di operazioni di cessione di 153 capi di bovini, nonchè della presunta cessione di oltre cinquemila capi di bovini.

Il ricorrente ha censurato la sentenza con quattro motivi.

Con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente affermato che i 153 capi di bovini rinvenuti nei locali adibiti dall’impresa a macello, stalla e area parcheggio del bestiame dovessero considerarsi ceduti a terzi;

con il secondo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per gli errori in cui i giudici tributari erano incorsi in ordine alla determinazione delle rimanenze, ed alla loro contabilizzazione per il solo periodo 1 gennaio / 14 febbraio 1984;

con il terzo per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver statuito oltre i limiti della domanda con riguardo alla applicabilità del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, nonchè per violazione e falsa applicazione del medesimo D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mancando i presupposti per l’espletamento di un accertamento induttivo;

con il quarto per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver statuito oltre i limiti della domanda con riferimento all’applicazione della percentuale di ricarico.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione. Si è costituita l’Agenzia, contestando i motivi del ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo, con il quale il ricorrente si duole della erronea applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, relativamente alla affermazione che i 153 capi di bovini rinvenuti nei locali adibiti dall’impresa a macello, stalla e area parcheggio del bestiame dovessero considerarsi ceduti a terzi, è infondato.

Il contribuente sostiene che nel corso della verifica i militari della guardia di finanza rinvennero i 153 animali in locali ubicati in Campagnasso di Zenevredo ed adibiti ad attività dell’impresa. Afferma che la circostanza che tali locali non fossero stati denunciati all’Ufficio Iva ex art. 53 citato, costituiva solo una omissione formale, da cui non poteva discendere la presunzione di cessione a terzi dei bovini. Ne deduce l’errata contestazione elevata nei suoi confronti in ordine alla cessione dei predetti bovini senza fatturazione, perchè tale cessione non era mai avvenuta.

L’art. 53 cit., che disciplina la fattispecie, prevede la presunzione di cessione di beni rinvenuti in sedi secondarie, che non risultino iscritte alla camera di commercio o in altro pubblico registro.

Questa disciplina è stata correttamente applicata dalla Commissione tributaria centrale, la quale ha rilevato l’insufficienza del mero rinvenimento degli animali in locali detenuti dall’impresa, ma non iscritti alla camera di commercio o ad altro pubblico registro. Tale omissione non si traduce infatti in mera violazione formale, ma nella presunzione di cessione.

Va in particolare esclusa la mera violazione di carattere formale, come affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di IVA, in mancanza della denunzia di variazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 35, ogni trasferimento del luogo di esercizio dell’attività è inopponibile all’Amministrazione finanziaria, sicchè la presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti che non si trovino nei locali in cui il contribuente eserciti la sua attività, prevista dall’art. 53, comma 1, cit., opera con riferimento al luogo di esercizio dell’attività originariamente denunziato, anche in presenza della definizione della sanzione ai sensi dell’art. 15 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, che riguarda solo il profilo formale dell’omessa denuncia (Cass., 13972/2016). D’altronde le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni, poste dall’art. 53 cit., sono annoverabili tra le presunzioni legali “miste”, che consentono la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova prefigurati dalla citata norma (Cass., 1976/2015).

Il motivo va in conclusione rigettato.

Altrettanto infondato è il secondo motivo, con il quale, a parte l’incomprensibile richiamo all’art. 112 c.p.c., sotto il profilo del vizio motivazionale, il contribuente ha lamentato che la decisione abbia erroneamente riconosciuto la presunta cessione a terzi di 5805 bovini senza fatturazione, senza considerare l’elevato indice di mortalità dei bovini, e senza tener conto che la contabilizzazione delle rimanenze sia stata concentrata nel solo periodo 1 gennaio/14 febbraio 1984.

Con riferimento al vizio di motivazione nella formulazione vigente prima delle modifiche introdotte con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134, si è affermato che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., ord. n. 12967/2018; 19547/2017; 17477/2007).

Ebbene, nella sentenza il giudice, quanto all’indice di mortalità dei bovini, ne ha valutato l’irrilevanza perchè le perdite di capi di bestiame “deve risultare da atti ufficiali e prescritti dalla normativa speciale, dato il particolare settore, e non da studi sia pure qualificati o da consulenze tecniche di parte.”. La motivazione, sia pur sintetica, mostra piena consapevolezza dei rilievi mossi dal contribuente e delle ragioni allegate a loro supporto, ma ad un tempo nega loro valore, affermando invece quali siano le fonti, rigorose e ufficiali, con cui dimostrare l’indice di mortalità del bestiame commercializzato.

Quanto alla contabilizzazione delle rimanenze in un lasso temporale pur così breve, le critiche del ricorrente restano comunque vaghe, laddove in sentenza si riconosce che la determinazione dei capi di bestiame non rinvenuta in giacenza al momento di inizio delle operazioni di verifica è il risultato ricavato dai verbalizzanti dal conto profitti e perdite e dalle dichiarazioni fatte dal ricorrente nei vari anni d’imposta.

In queste considerazioni non emerge alcuna illogicità argomentativa o errore materiale, mentre alcun elemento è stato addotto dal ricorrente a dimostrazione della inattendibilità dei dati assunti dai verificatori, e allegati nei precedenti gradi di giudizio, per contraddire quelle risultanze.

Il terzo motivo, con il quale ci si duole dell’assenza di presupposti per l’espletamento di un accertamento induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, è invece inammissibile.

Il contribuente afferma che all’accertamento induttivo può farsi ricorso solo in presenza violazioni contabili. Sennonchè, a parte che del citato art. 39, comma 2, lett. d), autorizza l’accertamento induttivo non solo in presenza di gravi, ripetute e numerose irregolarità contabili, ma anche per l’emersione di gravi e ripetute omissioni o false o inesatte indicazioni, -ciò a cui fa appunto riferimento la sentenza, laddove prende atto delle irregolarità per violazioni agli obblighi di registrazione di acquisti e per vendite senza fattura-, il motivo incorre nel difetto di autosufficienza perchè l’affermazione, secondo cui i militari accertatori avevano constatato la regolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie, doveva essere accompagnata dalla riproduzione, sia pur per estratto, dei passaggi del processo verbale di constatazione in cui tali affermazioni erano state riportate.

Il quarto motivo, con il quale, a parte l’incomprensibile invocazione dell’art. 112 c.p.c., il contribuente si duole della violazione e falsa applicazione delle regole dell’accertamento induttivo, avendo determinato la percentuale di ricarico dell’anno d’imposta oggetto di accertamento, il 1983, mediante ricorso a quella già utilizzata dall’Ufficio per l’anno 1982, non contestata dalla parte e divenuta definitiva, trova invece fondamento.

Questa Corte ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’adozione del criterio induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, impone all’Ufficio l’utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce (Cass., 6579/2008; 24709/2016). A tale orientamento, ormai consolidato e a cui questo Collegio ritiene di dare continuità, non si è conformata la Commissione tributaria centrale, che si è invece affidata alle sole risultanze di un accertamento analitico, relativo all’anno 1982, a cui il contribuente risultava non essersi opposto.

Il motivo va dunque accolto.

L’accoglimento del quarto motivo comporta la cassazione della sentenza, che va rinviata alla Commissione tributaria regionale di Bologna, che in diversa composizione provvederà a rideterminare l’Iva non dichiarata nell’anno d’imposta 1984, oltre che a liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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