Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14986 del 16/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 16/06/2017, (ud. 30/03/2017, dep.16/06/2017),  n. 14986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11670/2013 proposto da:

Fintecna S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Zebio n. 37, presso

l’avvocato Lucifero Fabrizio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Fazzalari Francesco, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero degli Affari Esteri, in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliato in Roma Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4537/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2017 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI

Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Lucifero Fabrizio che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Gen. Stato Pio Marrone che

ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con contratto dell’8 luglio 1986, il Ministero degli Affari Esteri affidava alla S.p.A. Italtekna, tra l’altro, le prestazioni relative ai programmi di ristrutturazione e sviluppo idroagricolo del Dipartimento del Matam in Senegal per un importo complessivo di Lire 34 miliardi. Insorta controversia sullo svolgimento di tale rapporto, la Società adiva il Collegio arbitrale per ottenere compensi, indennizzi e danni causati dall’illegittimo comportamento della stazione appaltante, mentre il Ministero chiedeva il rigetto delle domande ed, in via riconvenzionale, la condanna della Italtekna alla restituzione di tutte le somme versate, oltre interessi e rivalutazione monetaria, con la declaratoria dell’obbligo della stessa di manlevarlo da qualsiasi pretesa sia del Governo del Senegal, in ordine al ripristino dei luoghi ed ai danni causati dall’errata esecuzione delle opere, che delle imprese subappaltatrici. Con lodo del 9.2.1995, il Collegio arbitrale, respinta la domanda riconvenzionale del Ministero, accoglieva parzialmente la domanda dell’appaltatrice, provvedendo alla relativa taxatio, e, con successivo lodo integrativo del 15.2.1996, condannava l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme, oltre agli interessi legali non anatocistici maturati dopo il 31.5.1995, al saldo. Il Ministero impugnava ambedue i lodi, mentre la Società Iritecna, incorporante dell’Italtekna, costituitasi in entrambi i giudizi, proponeva impugnazioni incidentali.

Con sentenza in data 12/1/2004, la Corte adita dichiarava inammissibili le impugnazioni proposte dal Ministero e quelle incidentali della Iritecna S.p.A., negando che i lodi potessero essere impugnati ai sensi dell’art. 829 cpv. c.p.c., trattandosi di lodi internazionali. Ma la decisione, resa nel contraddittorio della Fintecna – Finanziaria per i settori industriali e dei Servizi – incorporante la Iritecna – veniva cassata da questa Corte, con sentenza del 30/11/2007 n. 25018, secondo cui all’arbitrato, iniziato nel dicembre 1992, non andava applicata la novella del 1994, che escludeva la deducibilità degli errores in judicando.

Adita in sede di rinvio, la Corte di Roma, con sentenza del 20.9.2012, annullava i lodi, disponendo la prosecuzione del giudizio per le statuizioni rescissorie. Per quanto qui interessa, la Corte d’appello, dopo aver ritenuto correttamente dedotto il vizio dell’inosservanza di regole di diritto, sia in riferimento ai precetti di legge asseritamente violati, distintamente menzionati, sia in riferimento ai fatti, quali accertati in sede arbitrale, lo riteneva fondato nel merito, in quanto la Società aveva dato corso all’esecuzione dei lavori, pur non esistendo una vera progettazione di massima nè progettazioni esecutive, ed in assenza di approvazione formale delle stesse da parte del Ministero e del Paese beneficiario, dovute, sia in base alla disposizione di cui all’art. 11.1. del contratto, sia dalla normativa dei Lavori pubblici richiamata dall’art. 15 del contratto. Nè le note n. 8373/89 e 669/91 potevano supplire siffatta carenza, come erroneamente ritenuto dagli Arbitri, in quanto le stesse non risultavano firmate dal Sottosegretario delegato, in violazione dell’art. 11 del contratto e della L. n. 73 del 1985, artt. 1 e 4.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso Fintecna S.p.A. (così modificata la denominazione) con due articolati mezzi. Il Ministero ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 49 del 1987, art. 15; L. n. 73 del 1985, art. 4, D.P.R. n. 1063 del 1962; degli artt. 829, 830 e 132 c.p.c., omessa e contraddittoria motivazione. La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha implicitamente ritenuto dovuta l’osservanza delle disposizioni del Capitolato Generale delle OOPP, senza considerare che, in base alla disciplina speciale di cui alla L. 26 febbraio 1987, n. 49, la committente era legittimata a gestire l’appalto in deroga ai principi della contabilità di stato, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità. Trattandosi di contratto retto dai principi di diritto privato, prosegue la ricorrente, l’indagine sulla validità degli atti adottati era demandata, solo, al Collegio arbitrale e non era censurabile dalla Corte territoriale in sede rescindente, salva l’ipotesi, neppure dedotta ex adverso, di motivazione inidonea a ricostruire la ratio decidendi del lodo, con conseguente inammissibilità della censura, erroneamente accolta.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1362 c.c. e segg.; L. n. 73 del 1985, art. 1; della L. n. 49 del 1987, artt. 2, 10, 15 e 38; omessa e insufficiente motivazione con violazione dell’art. 132 c.p.c.. La ricorrente lamenta che l’affermazione secondo cui gli ordini di servizio non erano idonei ad integrare la convenzione originaria è errata, tenuto conto che con gli stessi il Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo dava conto della decisione di approvare la prima edizione dei progetti e quella successiva che ampliava, modificandolo, l’originale intervento, ed impartiva, inoltre, specifiche disposizioni. La relativa interpretazione da parte del Collegio arbitrale era, dunque, conforme alle regole di ermeneutica contrattuale, mentre erano incongrue le diverse conclusioni della Corte d’appello, con conseguente infondatezza nel merito dell’impugnazione avversaria. L’assunto, infine, secondo cui gli ordini di servizio non erano stati firmati dal Sottosegretario delegato non teneva conto che, per effetto della L. 26 febbraio 1987, n. 49, art. 38, comma 5, la legge del 1985, che ne prevedeva la legittimazione, era stata abrogata.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, vanno rigettati per le seguenti considerazioni. E’ bensì vero che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 13.5.2009 n. 10998, citata dalla stessa ricorrente e giurisprudenza ivi richiamata, e cfr. Cass. S.U. 16/04/2009 n. 8987) ha affermato il principio, secondo cui i contratti per la realizzazione di opere da eseguirsi all’estero a beneficio di un paese straniero, stipulati dal Ministero degli Affari Esteri nel quadro della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, non possono essere qualificati come contratti di appalto di opere pubbliche, perchè la cooperazione allo sviluppo non è compito della pubblica amministrazione, ma risponde a esigenze di politica internazionale; ed ha, in conseguenza, ritenuto che il capitolato generale di appalto per le opere pubbliche, di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, non è applicabile ope legis; salva, beninteso, la facoltà delle parti contraenti di recepirlo nell’esercizio della loro autonomia negoziale. 4. Tale condivisibile principio non risulta violato dalla Corte territoriale, che ha, anzitutto, focalizzato la sua attenzione sulla mancanza, accertata in seno al lodo (pagg. 7 fine, 8 inizio), della formale approvazione del progetto di massima e della progettazione esecutiva, approvazione che, invece, era imposta dall’art. 11.1. del contratto del 1986, ha, anche, rilevato che la normativa sui Lavori Pubblici era stata richiamata dal successivo art. 15, ed ha quindi dichiarato nullo il lodo per tale carenza formale, ritenuta di per sè assorbente, in accoglimento della censura in diritto formulata in seno al primo motivo dall’Amministrazione (cfr. pag. 4, secondo periodo, della sentenza che riporta le norme di legge censurate in seno all’atto d’impugnazione). 5. Detta statuizione è inammissibilmente censurata dalla ricorrente, sia col primo motivo, con cui si addebita contra factum alla sentenza di aver operato un accertamento del concreto svolgimento della commessa, pure riportandosi brani del lodo, a sostegno della congruità e coerenza della relativa motivazione (che non è in alcun modo apprezzabile in questa sede), sia col secondo, in quanto la violazione dei canoni legali di interpretazione viene riferita alle missive a firma del Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo – direttamente sottoposte all’attenzione di questa Corte – nuovamente affermandosi la correttezza della relativa esegesi effettuata in seno alla decisione arbitrale e l’erroneità delle diverse conclusioni dei giudici dell’impugnazione, quando, invece, le clausole che venivano in rilievo erano i menzionati artt. 15 e 11.1. del contratto, e su di essi la ricorrente omette, invece, ogni riferimento, e neppure li riporta. Non può sottacersi, peraltro, che la disciplina degli appalti pubblici, ricusata ai fini dell’affermata libertà di forma, risulta, invece, invocata dalla stessa ricorrente, laddove ha chiesto l’applicazione (quesiti 3^ e 4^), degli istituti delle riserve e della revisione prezzi (ben al di là dei ristretti limiti in cui essa è ammessa dall’art. 1664 c.c.).

6. Il profilo della doglianza, con cui si deduce che, nell’escludere la natura di atti con valore negoziale integrativo alle note n. 8373 del 1989 e n. 669 del 1991 a firma del Direttore Generale per la Cooperazione e lo Sviluppo, la Corte avrebbe violato le disposizioni della L. n. 49 del 1987, è infondato, anche se va corretta ed integrata la motivazione. Va premesso che il contratto originario è stato concluso nella vigenza della L. 8 marzo 1985, n. 73, che riservava agli artt. 1 e 4, la competenza a concluderlo al Sottosegretario di Stato e ad esso ha fatto riferimento, come riportato nell’impugnata sentenza, l’art. 11 del contratto stesso. 7. Ora, è di immediata evidenza che la missiva del 7.2.1987 a firma del Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, indicata dal ricorrente (a pag. 22 del ricorso) quale atto di approvazione dei progetti – che non coincidevano neppure con le prestazioni originarie, ma erano relativi ad un programma ben più ampio – non può valere al riguardo, in quanto essa è antecedente la data (1 marzo 1987) di entrata in vigore della nuova normativa disciplinante la cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo, mediante la quale le competenze del Sottosegretario di Stato sono state attribuite al Direttore Generale (L. n. 49 del 1987, art. 15). Ma il valore di approvazione dell’intero progetto di massima (c.d. programma direttore) non può riconnettersi neppure alla missive, n. 669 del 1991 del Direttore Generale (o alle altre invocate dalla ricorrente), tenuto conto che la disciplina sopravvenuta – volta a regolare i rapporti sorti in epoca successiva alla sua entrata in vigore, secondo il principio di cui all’art. 11 preleggi – non si è limitata ad abrogare, con dell’art. 38, comma 5, la precedente legge, ma ha dettato, al medesimo art. 38, una specifica normativa transitoria per i rapporti in corso, prevedendo, tra l’altro, che “fino all’emanazione dei decreti di attuazione del Ministro degli affari esteri, il Comitato direzionale, anche nella composizione di cui all’art. 9, impartisce le direttive per assicurarne l’immediata operatività e per garantire la continuità delle iniziative in corso di attuazione alla data del 28 febbraio 1987 in base alle L. 9 febbraio 1979, n. 38 e L. 8 marzo 1985, n. 73″, aggiungendo che, entro trenta giorni, il Comitato direzionale esamina le singole iniziative di cui al comma 1, verifica il relativo stadio di attuazione, adotta, ove necessario, i provvedimenti adeguati, e delibera quali devono essere attribuite alla gestione dell’unità operativa di cui dell’art. 11, comma 4. Fino a tale momento la gestione operativa delle iniziative è assicurata dagli uffici esistenti”. Il D.P.R. n. 177 del 1988, art. 55, di approvazione del regolamento di esecuzione della L. n. 49 del 1987, ha, poi, espressamente fatto salvi provvedimenti e direttive adottati, in applicazione della citata disciplina transitoria di cui all’art. 38, dal Comitato direzionale per garantire la continuità delle iniziative in corso di attuazione alla data del 28.2.1987.

8. Di tutti tali presupposti la ricorrente non parla, e si limita a ribadire l’intervenuta approvazione del progetto variato, estrapolando dal nuovo assetto normativo la sola disposizione che modifica l’organo preposto, senza, peraltro, menzionare che il Direttore Generale deve, comunque, operare in conformità con le direttive e deliberazioni del Comitato direzionale (art. 10, comma 3 della legge) e con l’osservanza di prescrizioni e limiti previsti, anche, dal menzionato regolamento, specie in riferimento all’entità della spesa. A tanto, deve, ancora, aggiungersi che: a) la disposizione di cui alla L. n. 73 del 1985, art. 1, secondo cui i poteri straordinari conferiti al Sottosegretario per gli affari esteri vengono a scadenza “in ogni caso entro il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore della presente legge” non ha alcun effetto ai fini qui in rilievo, in quanto la norma preclude, dopo la predetta data (28 agosto 1986) l’ulteriore esercizio dei poteri straordinari previsti dalla legge, tra cui la stipula di nuovi contratti, convenzioni e concessioni (art. 4, lett. d), senza ovviamente incidere sulla validità di quelli pregressi; b) l’invocato precedente di questa Corte (Cass. n. 12179 del 2014) non ha affatto affermato, in via generale, che gli ordini di servizio del Direttore Generale hanno effetti vincolanti per il Ministero ed i suoi contraenti, come sostenuto dalla ricorrente nella memoria, avendo piuttosto, escluso che il contratto in data 7.2.1990, col quale l’odierna ricorrente aveva incaricato una Società terza di progettare le opere irrigue nell’ambito del rapporto per cui è causa, fosse imputabile al Ministero, ed affermato che il potere di sottoscrivere un contratto impegnativo per l’Amministrazione non era delegabile a privati, per esser prerogativa di organi determinati (D.P.R. n. 177 del 1988, art. 14); c) nel contratto d’appalto di opere pubbliche, la cui disciplina è applicabile pattiziamente, alla stregua di quanto si è affermato nei precedenti p.p. 3 -5, le varianti (tale sarebbe, in tesi, quella di cui alla menzionata missiva 7.2.1987 a firma del Direttore Generale, che modificava, ampliandolo, l’intervento) sono consentite nel rispetto delle condizioni previste dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 14, All. F, ossia la presenza dell’ordine del direttore dei lavori e l’intervenuta successiva approvazione dell’ente pubblico (cfr. Cass. 22/12/2015 n. 25798).

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 10.000,00, oltre a spese prenotate a debito ed accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2017

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