Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14984 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. II, 28/05/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 28/05/2021), n.14984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23500/2019 R.G. proposto da:

I.N., (alias I.A.) – c.f. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Crotone, alla

via Libertà, n. 27/B, presso lo studio dell’avvocato Assunta Fico,

che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce

al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 433/2019;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 14 gennaio 2021 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. I.N. (alias I.A.), cittadino del Pakistan, originario della regione del Punjab, formulava istanza di protezione internazionale.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale respingeva l’istanza.

3. I.N. formulava nuova istanza di protezione internazionale, “adducendo quali elementi di novità una denuncia presentata nei suoi confronti alle autorità pakistane il 3.7.2010 ed un documento in cui il capo del villaggio dichiarava che doveva essere ucciso, datato 3.7.2010” (così sentenza d’appello, pag. 5).

4. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale respingeva la nuova istanza.

5. Con ordinanza del 5.6.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso proposto da I.N. avverso il provvedimento della commissione.

6. Avverso tale ordinanza I.N. proponeva appello.

Resisteva il Ministero dell’Interno.

7. Con sentenza n. 433/2019 la Corte di Catanzaro rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che le fonti internazionali davano conto con riferimento al Punjab, regione di provenienza dell’appellante, del numero limitato e quindi occasionale degli attacchi terroristici.

Evidenziava poi che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava, per un verso, che non si aveva riscontro di specifiche situazioni di vulnerabilità cui l’appellante sarebbe stato esposto, qualora rimpatriato; per altro verso, che il lavoro a tempo determinato svolto dall’appellante non costituiva indice sufficiente di inserimento nel contesto socioeconomico italiano.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso I.N.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi

inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

9. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Deduce che ha formulato richiesta di sua audizione; che la corte, nonostante i dubbi sollevati in ordine alla sua credibilità, ha respinto l’istanza.

Deduce che mercè la sua audizione, indipendentemente dall’esame della documentazione prodotta, la corte avrebbe potuto appieno riscontrare la veridicità delle sue dichiarazioni ovvero avrebbe potuto prendere atto del suo orientamento omosessuale, quale ragione determinante l’abbandono del paese d’origine, e valutarlo ai fini dell’invocata protezione.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27.

Deduce che ha errato la corte a negargli lo status di rifugiato.

Deduce che ha espressamente dichiarato di aver lasciato il suo paese d’origine per il timore di essere arrestato e condannato a pena detentiva ovvero alla pena capitale a motivo della sua omosessualità.

Deduce che del resto in Pakistan l’omosessualità costituisce un reato punito severamente; che di tanto si ha riscontro alla stregua, tra gli altri, del report di “Amnesty International” 2017/2018, del report del Dipartimento di Stato degli U.S.A. in data 13.3.2019, del report “E.A.S.O.”.

Deduce che che ben avrebbe dovuto la corte avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi, onde riscontrare le sue dichiarazioni ed il rischio di una sua persecuzione, qualora rimpatriato, a motivo della sua omosessualità.

11. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 – 27.

Deduce che ha errato la corte a negargli la protezione sussidiaria.

Deduce che il pericolo di subire, qualora rimpatriato, un danno grave, ovvero un trattamento inumano o degradante, ben può provenire da organismi non statuali, qualora lo Stato non sia in grado di assicurare adeguata protezione.

Deduce che del resto i reports internazionali, tra i quali il report del Dipartimento di Stato degli U.S.A. del 13.3.2019, il report “E.A.S.O.” dell’ottobre 2018, danno ragione dell’inefficienza e dell’elevato tasso di corruzione delle forze dell’ordine pakistane, dell’inefficienza del sistema giudiziario.

12. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32.

Deduce che ha errato la corte a negargli la protezione umanitaria.

Deduce che anche ai fini della “umanitaria” la corte avrebbe dovuto tener conto della sua omosessualità e dell’indigenza sua e della sua famiglia, nel quadro di instabilità sociopolitica del suo paese d’origine.

13. I rilievi, che la delibazione dei motivi di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.

14. E’ fuor di dubbio, nella fattispecie, che la domanda di protezione internazionale che ha dato origine al procedimento allo stato dinanzi a questa Corte, è domanda “reiterata”.

Invero la corte d’appello ha dato atto che l’appellante “aveva già presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale non accolta dalla Commissione Territoriale di Crotone” (così sentenza d’appello, pag. 5).

E, ben vero, siffatta affermazione non è stata in alcun modo censurata.

15. Cosicchè vanno evidentemente ribaditi gli insegnamenti di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di protezione internazionale, i “nuovi elementi”, alla cui allegazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione (o comunque in nuovi fatti costitutivi del diritto) successivi al rigetto della domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei medesimi fatti costitutivi, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza in sede amministrativa o in quella giurisdizionale, mediante l’introduzione del procedimento di cui all’art. 35 del D.Lgs. cit. (cfr. Cass. (ord.) 9.7.2019, n. 18440 (Rv. 654657-01)).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in caso di reiterazione della domanda, dopo che si sia già svolto un precedente giudizio diretto al riconoscimento della protezione internazionale, il richiedente asilo, a pena di inammissibilità della nuova istanza, è tenuto ad indicare le ragioni per cui, senza colpa, non ha potuto addurre i “nuovi elementi” indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b), nel giudizio inizialmente proposto, atteso che quest’ultimo ha ad oggetto non già l’impugnazione del provvedimento di diniego della commissione, ma il riconoscimento del diritto alla protezione invocata, sicchè, in esso, è possibile integrare le originarie deduzioni svolte in sede amministrativa (cfr. Cass. (ord.) 9.7.2019, n. 18440 (Rv. 654657-02)).

16. In questo quadro va debitamente rimarcato che la corte di merito ha evidenziato che i documenti addotti quali elementi di novità a supporto della nuova domanda di protezione internazionale – ovvero “una denuncia presentata nei confronti (del ricorrente) alle autorità pakistane il 3.7.2010 ed un documento in cui il capo del villaggio dichiarava che (il ricorrente) doveva essere ucciso, datato 3.7.2010” (così sentenza d’appello, pag. 5) – non risultavano, neppure in copia, agli atti.

17. Ebbene, a fronte di tale rilievo, non può che puntualizzarsi quanto segue. Per un verso, il ricorrente in nessun modo, con nessuno degli esperiti motivi, ha censurato siffatta affermazione.

Per altro verso, appieno si legittima la susseguente affermazione della corte distrettuale, alla cui stregua in assenza della documentazione anzidetta, risultava preclusa la valutazione in ordine all’attendibilità dell’appellante ed in pari tempo risultava precluso il riconoscimento e dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

18. In ogni caso, con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso, non può che rilevarsi quanto segue.

Da un canto, sovviene l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass. (ord.) 21.11.2011, n. 24544; Cass. (ord.) 7.2.2018, n. 3003; Cass. (ord.) 29.5.2019, n. 14600; Cass. (ord.) 15.4.2020, n. 8931).

D’altro canto, la corte distrettuale ha compiutamente esplicitato, in premessa (cfr. pag. 3), le ragioni alla cui stregua ha reputato non necessario far luogo alla rinnovazione dell’audizione del richiedente asilo.

Ovvero ha chiarito che non era necessario far luogo all’audizione, siccome l’appellante era stato sentito dinanzi alla commissione territoriale ed era stato messo in condizioni di riferire ogni utile circostanza e di illustrare le ragioni del suo allontanamento dal Pakistan; che del resto l’appellante non aveva prospettato specifiche esigenze atte a giustificare la necessità di una nuova audizione.

19. In ogni caso, con precipuo riferimento al secondo ed al terzo motivo di ricorso, non può che rilevarsi quanto segue.

In dipendenza del mancato – e non censurato – riscontro delle condizioni legittimanti la reiterazione dell’istanza di protezione internazionale, a nulla vale addurre che la corte calabrese, avrebbe dovuto avvalersi dei suoi poteri di cooperazione istruttoria, onde acclarare i gravi pericoli cui il ricorrente è esposto, in caso di rimpatrio, in dipendenza della sua omosessualità; a nulla vale addurre che anche i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

20. Va ulteriormente soggiunto che il ricorrente non ha specificamente censurato il disconoscimento, operato, in forma esente da qualsivoglia anomalia motivazionale, dalla Corte di Catanzaro, della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex lett. c).

21. Da ultimo, con precipuo riferimento al quarto motivo, il difetto delle condizioni legittimanti la reiterazione della domanda di protezione internazionale esplica valenza anche in rapporto alla protezione umanitaria.

22. In ogni caso, in tema di “umanitaria”, non possono che soggiungersi i seguenti rilievi.

In primo luogo, che, nel quadro della debita valutazione comparativa, il rapporto di lavoro non è di per sè indice sufficiente ed univoco di radicata integrazione nel tessuto socioeconomico italiano.

In secondo luogo, che, in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perchè non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali (cfr. Cass. (ord.) 6.11.2020, n. 24904).

In terzo luogo, che, indubbiamente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la valutazione relativa alle condizioni oggettive del paese di origine, ancorchè non coincidente con l’esame necessario ai fini della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), può concorrere nel giudizio comparativo che la protezione umanitaria involge (cfr. Cass. (ord.) 1.3.2021, n. 5524).

E tuttavia la corte di seconde cure ha debitamente puntualizzato che non si aveva riscontro dell’esistenza in Pakistan di una situazione di emergenza sanitaria o alimentare, sì che potessero risultar compromessi i diritti ovvero le esigenze fondamentali dell’appellante (cfr. pag. 11).

23. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

24. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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