Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14983 del 01/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14983 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 15169-2011 proposto da:
BOCHICCHIO CATERINA BCHCRN57B63L197I, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la rappresenta e
difende, giusta mandato speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 01/07/2014

avverso la sentenza n. 4166/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 5.5.2010, depositata l’11/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO.
FATTO E DIRITTO

di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia di primo grado con cui era stata respinta la domanda
proposta da Bochicchio Caterina diretta all’accertamento della nullità del
termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato
con Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.12.01-31.1.2002, ai sensi dell’art.
25 CCNL 2001 per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a
processi di riorganizzazione, ricomprendendo ivi un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni
tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione
di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.
La Corte di merito rilevava che – nell’ambito del sistema della L. n. 56
del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss, a individuare nuove ipotesi
di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il termine era
apposto in forza dell’art. 25 del CCNL Poste 11.1.01, e che, pertanto era
ultroneo ogni ulteriore accertamento di fatto, essendo il contratto a
termine legittimo in quanto stipulato per causale individuata dalle parti
sociali.
Avverso questa sentenza Bochicchio Caterina ha proposto ricorso per
cassazione sulla base di due motivi. Poste Italiane s.p.a. resiste con
controricorso.
Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e carenza di
motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 25 del c.c.n.l. 2001,
Ric. 2011 n. 15169 sez. ML – ud. 13-05-2014
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La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito

contestandosi gli argomenti adottati per il rigetto del motivo di appello a
proposito del mancato assolvimento da parte del datore dell’onere
probatorio circa l’adempimento alla cd. clausola di contingentamento,
fissata dall’art. 25, comma 3, del c.c.n.l. 2001, secondo cui “il numero
dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato non potrà

alla data del 31 dicembre dell’anno precedente per Poste Italiane s.p.a.
nell’ambito della stessa regione, e il 10% per le società di cui all’elenco
allegato all’art. 1, comma 1, lett. b) del presente contratto”. Si sostiene
l’inadeguatezza del prospetto prodotto da Poste Italiane in primo grado
e ritenuto dalla Corte di appello idoneo a dimostrare il rispetto del limite
percentuale. Si deduce che tale prospetto riporta la “media” dei
contratti a termine stipulati nella regione Basilicata nell’anno 2001,
laddove il tenore letterale della norma contrattuale non fa alcun
riferimento, ai fini del rispetto della percentuale, a tale criterio di calcolo.
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole che non sia stata
richiesta alla parte datoriale la prova del nesso causale diretto fra
l’assunzione e l’introduzione di nuovi processi produttivi o la
sperimentazione di nuovi servizi, lamentando al contempo la nullità
della clausola pattizia priva della indicazione analitica e tassativa delle
ragioni della legittimità del termine.
Il primo motivo è inammissibile e il secondo manifestamente
infondato.
Sul piano generale deve rilevarsi che con riferimento all’art. 25 del
CCNL 11.1.01 – al pari di quanto previsto per l’art. 8 del CCNL 26.11.94
– la giurisprudenza di questa Corre ha legittimato l’interpretazione che il
legislatore ha conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, non
imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema della L.
n. 230 del 1962, ma consentendo alle parti stipulanti di esprimersi
Ric. 2011 n. 15169 sez. ML – ud. 13-05-2014
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superare, su base regionale, il 5% del numero dei lavoratori in servizio

secondo le specificità del settore produttivo e autorizzando Poste
Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo
strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni. L’assenza di
ogni pregiudiziale collegamento con la disciplina generale del contratto a
termine giustifica l’interpretazione che il raccordo sindacale autorizza la

collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di
carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con
riferimento alla specificità di uffici e di mansioni (Cass. 26.9.07 n. 20157
e 20162, 1.10.07 n. 20608).
Quanto all’osservanza dell’onere di provare il rispetto della clausola di
contingentamento, va premesso che, nel regime della legge 28.02.87 n.
56 – in base alle regole di cui all’art. 3 della legge 18.04.62 n. 230, per cui
incombe al datore dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che
giustificano l’apposizione del termine – è onere del datore di lavoro
indicare il numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, in
modo da consentire la verifica del rapporto percentuale esistente tra i
lavoratori stabili e quelli a termine (giurisprudenza costante, v. per tutte
Cass. 19.01.10 n. 839). La Corte territoriale non ha violato tali principi,
posto che la prova dell’osservanza del limite percentuale è stata ritenuta
alla luce del contenuto della documentazione prodotta in primo grado
da Poste Italiane.
Ritiene tuttavia la ricorrente che la documentazione, seppure recante
l’indicazione del numero dei contratti a tempo indeterminato stipulati da
Poste Italiane nella regione Basilicata nell’anno 2000 e l’indicazione del
numero dei lavoratori assunti a tempo determinato nel corso dell’anno
2001, non consentirebbe di dimostrare il rispetto della percentuale del
5% al tempo dell’assunzione.

Ric. 2011 n. 15169 sez. ML – ud. 13-05-2014
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stipulazione dei contratti di lavoro a termine pur in mancanza di

Il motivo difetta del requisito di autosufficienza per essere carente la
descrizione della vicenda processuale, da cui potere evincere in quali
termini la questione venne trattata in primo grado e quali furono le
doglianze riproposte in sede di gravame avverso la sentenza del
Tribunale. Dall’unico breve passo del ricorso in appello trascritto nel

l’omessa pronuncia da parte del primo giudice; né è dato conoscere
quale altra specifica doglianza fosse stata mossa dall’appellante, onde
potere valutare il grado di pertinenza e congruenza, rispetto ad essa,
della motivazione svolta dal giudice di appello, presupposto
imprescindibile per potere procedere alla valutazione delle censure
mosse a tale sentenza dall’odierna ricorrente. Tale omissione integra
violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il
quale trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al
giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover
procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr, Cass. n. 86 del
2012) e altresì di permettere alla Corte di Cassazione di verificare se
una determinata questione possa ancora ritenersi sub iudice (cfr., Cass.
n. 5970 del 2011).
Dal tenore del ricorso non può quindi affermarsi che la parte abbia
assolto compiutamente l’onere di descrivere la vicenda processuale,
onde consentire di far comprendere quali fossero le questioni devolute
al giudice di appello in relazione alla pronuncia emessa dal giudice di
primo grado. Non potendosi quindi stabilire il thema decidendum nel
giudizio di secondo grado e se questo involgesse – e in quali termini anche la questione della inidoneità probatoria della documentazione
offerta in primo grado dalla soc. Poste, non vi sono i presupposti per
valutare se tale questione, nei termini in cui è stata affrontata ed

Ric. 2011 n. 15169 sez. ML – ud. 13-05-2014
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ricorso per cassazione (v. pag. 8) non risulta che fosse stata denunciata

esaminata dal giudice di appello, fosse affetta dai vizi denunciati,
peraltro promiscuamente, dall’attuale ricorrente.
A tale riguardo, deve pure rilevarsi che la questione è stata proposta in
sede di legittimità con motivo promiscuo del seguente tenore: “Art. 360
n. 3, n. 4 e n. 5 – violazione di legge e dell’art. 25, comma 3, del CCNL

fatto controverso e decisivo per il giudizio – violazione degli artt. 112 e
277 c.p.c. – (contratto dal 1.12.2001 al 31.12.2002 – omessa pronuncia
sul capo della domanda relativo alla violazione della clausola di
contingentamento)”. Tale promiscuità depone anch’essa, accanto al
vizio di insufficiente illustrazione della vicenda processuale (art. 366. n. 3
c.p.c.), per l’inammissibilità del motivo (art. 366 n. 4 c.p.c.) poiché
inclusivo di vizi tra loro incompatibili (exp/urimis, tra le più recenti, Cass.
n. 4704 del 2014).
La cumulativa censura di risolve in una sovrapposizione di mezzi
d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi
contemplate dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., tra loro
incompatibili, quali quella della omessa pronuncia, che suppone non
esaminata la domanda, e quella del vizio di motivazione, che suppone
che tale esame sia avvenuto, censurandone invece il relativo
accertamento per avere il giudice di merito insufficientemente o
erroneamente motivato l’apprezzamento dei fatti rilevanti.
L’esposizione cumulativa delle questioni, oltre ad essere logicamente
incompatibile, finisce per rimettere al giudice di legittimità il compito di
ricercare la censura utilizzabile allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e
contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere
successivamente su di esse.

Ric. 2011 n. 15169 sez. ML – ud. 13-05-2014
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Poste 2001 – omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un

In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna di parte ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella
misura indicata in dispositivo per esborsi e onorari, oltre spese
forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la
prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in euro 100,00 per esborsi e in
euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, e rimborso spese
forfettarie pari al 15 per cento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 maggio 2014
I residente

P.Q.M.

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