Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14979 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. II, 28/05/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 28/05/2021), n.14979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14840/2017 proposto da:

B.A.F., elettivamente domiciliato a Roma, via

Luigi Mancinelli 57, presso lo studio dell’Avvocato FRANCESCO

FAGNINI, che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D., rappresentata e difesa dall’Avvocato PATRIZIA

MARINO, presso il cui studio a Roma, via Flaminia Vecchia 670,

elettivamente domicilia, per procura speciale agli atti;

– resistente –

nonchè

B.F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3487/2016 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata il 31/5/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 2/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.D., con ricorso depositato il 19/3/2004, ha proposto domanda di reintegrazione nel possesso, dalla stessa vantato, della stanza da letto ubicata al primo piano di un villino in (OMISSIS) (del quale, nel (OMISSIS), a seguito della morte della madre, era diventata comproprietaria insieme ai fratelli), a fronte dello spoglio perpetrato dal fratello B.A.F., che, come constatato dalla ricorrente il (OMISSIS), aveva sostituito la serratura della porta d’ingresso sia della sua stanza che dell’appartamento.

Il tribunale di Roma, con sentenza del 13/11/2007, ha confermato l’ordinanza che, in data 20/11/2004, aveva accolto, in via interdittale, la domanda della ricorrente.

B.A.F. ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale ribadendo, tra l’altro, le eccezioni, già svolte in primo grado, di difetto della legittimazione attiva della ricorrente in quanto priva, a fronte dell’usufrutto del padre, di un potere di fatto sulla cosa qualificabile come possesso o detenzione qualificata tutelabile con l’azione di spoglio, e di tardività dell’azione in quanto introdotta dalla ricorrente oltre il termine annuale previsto dall’art. 1168 c.c., per avere la stessa ricorrente dichiarato, nel ricorso per sequestro giudiziario notificato il (OMISSIS), che dopo la scomparsa della madre non le era stato consentito l’accesso nella casa dei suoi genitori.

B.D. ha resistito al gravame, del quale ha chiesto il rigetto.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

B.A.F., con ricorso notificato il 6/6/2017, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione di tale sentenza, dichiaratamente non notificata.

B.D. ha depositato atto di costituzione e memoria.

E’ rimasto, invece, intimato B.F.G., padre dell’una e dell’altra parte, già interventore volontario nel giudizio di primo grado, dove aveva sostenuto di essere l’unico possessore dell’immobile ed aveva chiesto il rigetto della domanda proposta dalla figlia, e poi appellante incidentale nel giudizio d’appello, dove aveva ribadito di essere l’unico ed esclusivo possessore dell’immobile nonchè proprietario di metà dello stesso ed usufruttuario della restante metà.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pronunciando sul motivo con il quale l’appellante aveva denunciato l’insufficienza dell’attività istruttoria svolta dal giudice di primo grado, ha ritenuto che la censura fosse generica, al pari delle censure rivolte alla deposizione resa dall’informatore ascoltato dal tribunale, e che, in ogni caso, la prova testimoniale richiesta dall’appellante doveva ritenersi inammissibile perchè riferita, rispettivamente, a circostanza negativa ovvero a circostanza non contestata e comunque inidonea ad escludere il possesso della stanza da parte della ricorrente, ovvero a circostanza non sufficientemente circostanziata sotto il profilo temporale ed in ogni caso inidonea allo scopo di consentire all’appellante la dimostrazione del fatto estintivo costituito dal decorso del termine per la proposizione dell’azione prevista dall’art. 1168 c.c., rispetto al momento della conoscenza o della conoscibilità dello spoglio.

1.2. In realtà, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello, così facendo, non ha considerato che l’assunzione della prova che l’appellante aveva articolato avrebbe consentito di fare chiarezza in una vicenda nella quale l’accertamento delle verità è stato rimesso esclusivamente alle dichiarazioni rese dall’informatore e che la sua mancata ammissione, avendo determinato una vera e propria mancanza della motivazione, ha determinato la nullità della sentenza.

1.3. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, i fatti dedotti nei capitoli di prova articolati dall’appellante non riguardavano affatto una circostanza negativa, avendo, piuttosto, ad oggetto la dimostrazione di fatti dai quali si può desumere che, a seguito del trasferimento nella sua nuova abitazione in data (OMISSIS) e dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento effettuati subito dopo la morte della madre, avvenuta il (OMISSIS), la ricorrente si era recata a (OMISSIS) in pochissime occasioni con la conseguente inesistenza del continuo contatto con la cosa che costituisce il requisito essenziale del possesso.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che B.D. avesse la legittimazione a proporre l’azione di reintegrazione escludendo che la stessa fosse detentrice della stanza in questione per mera ospitalità e tolleranza del proprio genitore (titolare del diritto di abitazione sull’immobile, oltre che del diritto di comproprietà per la quota del 50% e di usufrutto esclusivo per il rimanente 50%). Secondo la corte, infatti, ha evidenziato il ricorrente, l’appellata aveva continuato ad occupare la stanza con proprie cose personali ed in via esclusiva, detenendone le chiavi, unitamente a quella della porta di ingresso dell’appartamento, e potendo, quindi, accedervi a proprio piacimento non solo dopo essersi trasferita in altro alloggio quando ancora erano viventi i suoi genitori ed aveva, quindi, la detenzione della stanza per mera ospitalità di questi ultimi, ma anche dopo il decesso di sua madre nel (OMISSIS), a seguito del quale era divenuta nuda proprietaria pro quota della metà indivisa dell’immobile in questione e, come tale, avendo la disponibilità delle chiavi dell’immobile, legittimata alla relativa azione di spoglio; a nulla, peraltro, rilevando che il possesso esercitato dall’appellata fosse in contrasto con il diritto di abitazione vantato dal padre posto che il possesso, quale relazione di fatto con la cosa corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, è tutelabile con l’azione di reintegrazione anche se illegittimo ed abusivo.

2.2. Tuttavia, ha osservato il ricorrente, se B.D., prima della morte della madre, occupava la stanza in questione per ragioni di mera ospitalità, non si comprende per quali ragioni tale situazione, nel periodo successivo, sia venuta meno visto che il genitore superstite aveva diritto, per effetto di una serie di titoli (usufrutto della metà, comproprietà dell’altra metà, diritto di abitazione), alla piena disponibilità dell’immobile. Non sussiste, dunque, alcuna ragione per ritenere che l’ospitalità concessa alla figlia si sia tramutata in possesso e/o in detenzione qualificata, non avendo rilevanza, a tal fine, che l’interessata sia divenuta, nel frattempo, nuda proprietaria pro quota di metà dell’immobile.

2.3. In definitiva, ha concluso il ricorrente, in mancanza di eventi che abbiano generato una diversa relazione di fatto con la cosa, B.D., in qualità di mera occupante della cosa medesima per mere ragioni di ospitalità, non era e non è legittimata ad avvalersi dell’azione di reintegrazione a norma dell’art. 1168 c.c., comma 2.

3.1. Il secondo motivo è fondato.

3.2. La corte d’appello, in effetti, dopo aver accertato che B.D. – già detentore della stanza per ragioni di ospitalità e tolleranza da parte dei propri genitori (posto che il solo fatto della convivenza del figlio con il padre non attribuisce alle persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso sullo medesima) anche dopo che nell’anno (OMISSIS) si era trasferita in altro alloggio – aveva “… continuato ad occupare con proprie cose personali ed in via esclusiva la stanza in questione detenendone la chiave… unitamente a quella della porta di ingresso dell’appartamento e, quindi, potendo accedervi a proprio piacimento… anche dopo il decesso della propria genitrice ((OMISSIS))…”, ha ritenuto che la stessa, essendo incontestatamente divenuta, dopo la morte della madre, nuda proprietaria dell’immobile in questione per la metà indivisa, avesse la legittimazione a proporre l’azione di reintegrazione sul rilievo che tale azione può essere proposta anche da chi abbia soltanto la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità, e che, pertanto, anche il nudo proprietario di un immobile, il quale disponga delle relative chiavi, è legittimato alla relativa azione di spoglio.

3.3. La soluzione assunta dalla corte d’appello, tuttavia, a fronte dei fatti che la stessa ha accertato, non è giuridicamente corretta. E’ ben vero, come ha ritenuto la sentenza impugnata, che, ai sensi dell’art. 1168 c.c., commi 1 e 2, l’azione di reintegrazione del possesso può essere proposta anche da chi abbia la detenzione qualificata della cosa e che il nudo (com)proprietario di un immobile (gravato, cioè, da un altrui usufrutto), il quale disponga delle relative chiavi, è legittimato alla proposizione, nei confronti di altro nudo (com)proprietario ovvero di un terzo e (presunto) autore dello spoglio, dell’azione di reintegrazione (cfr. Cass. n. 4448 del 2012). D’altra parte, la detenzione di un bene da parte di un coerede non priva gli altri coeredi (non detentori) del compossesso del bene ereditario, perchè costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al de cuius, senza necessità di alcun atto materiale di apprensione (cfr. Cass. n. 17988 del 2004).

3.4. Nel caso in esame, tuttavia, è risultato che B.F.G., divenuto usufruttuario dell’immobile per la quota (pari al 50%) della moglie e già comproprietario della restante metà, aveva conservato la disponibilità materiale dell’intero bene.

La nuda proprietaria, d’altra parte, già detentrice di una stanza dell’appartamento per ragioni di mera ospitalità (come accertato dal giudice di merito), non risulta che ne abbia, in seguito, conseguito il possesso con il compimento di atti o di fatti da cui possa desumersi che la disponibilità materiale di tale bene sia non già la conseguenza della mera tolleranza da parte dell’altro compossessore ma la manifestazione del dominio esclusivo sullo stesso attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui (a tal fine, quindi, non essendo di certo sufficiente la mera conservazione delle chiavi di accesso).

L’istante, del resto, come emerge dal ricorso introduttivo del giudizio, non ha espressamente invocato la legittimazione all’azione possessoria conseguente alla chiamata all’eredità della madre ovvero al suo acquisto (per la tutela, cioè, del possesso dell’intero immobile già facente capo a quest’ultima, nel quale è automaticamente subentrata, ai sensi dell’art. 1146 c.c., comma 1 e art. 460 c.c., comma 1, senza bisogno di materiale apprensione), avendo, piuttosto, agito per la tutela del possesso della sola porzione corrispondente alla stanza nella quale era ospitata.

Pertanto, in mancanza di prova (della quale la stessa è onerata) di un potere di fatto sulla cosa qualificabile come possesso, l’istante non può, evidentemente, vantare, alla luce degli accertamenti in fatto allo stato svolti dal giudice di merito, alcuna legittimazione all’esercizio dell’azione per la reintegrazione, in caso di spoglio, di tale (mera) disponibilità materiale: non solo nei confronti dell’usufruttuario ma anche nei confronti del comproprietario e presunto autore del fatto.

3.5. Rimane, in effetti, di per sè privo di rilievo, trattandosi di questione petitoria, il mero acquisto, per effetto della successione mortis causa della madre, della nuda (com)proprietà dell’immobile in capo alla originaria istante, che pure l’ha azionata (v. il ricorso di B.D., p. 2), non essendo stato accompagnato, in sede di ricognizione della fattispecie finora svolta, nè dall’accertamento del materiale conseguimento del relativo possesso (a fronte della previa disponibilità dell’appartamento in capo al padre comproprietario e della sua prosecuzione dopo la morte della moglie quale comproprietario ed usufruttuario), nè (a fronte della precedente detenzione della sua stanza a titolo di mera ospitalità da parte dei genitori comproprietari) da un atto di impossessamento della stessa (o dell’appartamento che la comprende) con il compimento di un atto o di un fatto che, escludendo il godimento degli altri compossessori, sia manifestazione di dominio esclusivo sulla res da parte della stessa. Nella vendita di un bene con riserva dell’usufrutto in favore del venditore (o di un terzo), del resto, come al trasferimento della proprietà non corrisponde anche il trasferimento del possesso del bene medesimo “… ove risulti dimostrato… che il venditore non abbia trasferito il possesso del bene ceduto, mantenendo il diritto ad esercitare il diritto di jus possessionis” (Cass. n. 1219 del 2012, in motiv., con riguardo ad un caso di vendita di un immobile con riserva di usufrutto in favore del venditore che già lo abitava e, dunque, senza alcuna immissione dell’acquirente nella materiale disponibilità del bene ed “esercitato il diritto di ius possessonis dal venditore”), così l’effettivo esercizio del potere di fatto sulle cose, che costituisce materia di onere probatorio per chi propone l’azione di manutenzione recuperatoria, non può desumersi dalla sola produzione del titolo da cui deriva il diritto di proprietà o altro diritto reale, potendo tale produzione servire soltanto a deliberare la qualità del possesso già accertato. E nello stesso modo in cui l’acquirente di un immobile – il quale può sempre agire in via petitoria a tutela del suo diritto che assume violato – qualora voglia avvalersi delle azioni possessorie, è tenuto, in caso di contestazione da parte del convenuto, a fornire la prova di un concreto esercizio del possesso, posto che la sola esibizione del titolo di acquisto è idonea soltanto a rafforzare detta prova ad colorandam possessionem (Cass. n. 1219 del 2012, in motiv.), così l’originaria istante, che ha acquistato mortis causa la nuda proprietà dell’appartamento, avendo agito in giudizio per far valere il possesso della stanza in precedenza detenuta a titolo di ospitalità, avrebbe dovuto dimostrare, a fronte del possesso (dell’intero appartamento) da parte del padre (che, dal suo canto, si è opposto all’azione proposta dalla figlia), di aver acquisito il possesso, nei termini in precedenza esposti, dell’immobile o, quanto meno, della stanza che in esso si trova.

4.1. Le conclusioni esposte inducono a ritenere fondato anche il primo motivo.

4.2. La corte d’appello, invero, ha ritenuto che la prova testimoniale richiesta dall’appellante doveva ritenersi inammissibile sul rilievo che: – il primo capo riguardava una circostanza negativa; – il secondo aveva ad oggetto una circostanza non contestata e comunque astrattamente inidonea ad escludere il possesso della stanza da parte della ricorrente; il terzo era insufficientemente circostanziato sotto il profilo temporale ed in ogni caso inidoneo allo scopo di consentire all’appellante la dimostrazione, di cui è onerata trattandosi di spoglio clandestino, del fatto estintivo costituito dal decorso del termine per la proposizione dell’azione prevista dall’art. 1168 c.c., rispetto al momento della conoscenza dello spoglio che la ricorrente aveva provato, e cioè il 22/3/2003, o della sua conoscibilità.

4.3. La prova testimoniale invocata dal ricorrente era, al contrario, senz’altro ammissibile, quanto meno sul primo ed il secondo capo.

L’appellante, invero, alla luce della testuale riproduzione in ricorso (p. 6 e 7) dell’istanza istruttoria formulata in primo grado e ribadita con l’atto di gravame, aveva chiesto di dimostrare, a mezzo di testimoni, (tra l’altro) il fatto che “… dal momento in cui si è trasferita dal (OMISSIS), nell’abitazione sita in (OMISSIS), la Dott.ssa B.D. non si è più recata nell’immobile di (OMISSIS)… che in pochissime occasioni, ponendo fine alla sporadiche visite dopo la morte della madre”, e che “… nell’abitazione di (OMISSIS)… abitavano stabilmente i coniugi B.F.G. e E.B.L., deceduta nel (OMISSIS), ed il loro figlio sig. B.A.F.”.

4.4. In effetti, premesso che ai fini dell’ammissione della prova testimoniale, l’indagine del giudice di merito sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante, va condotta non soltanto alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi ma anche ponendo il loro contenuto in correlazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonchè tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi ai sensi dell’art. 253 c.p.c. (Cass. n. 11765 del 2019), rileva la Corte che i capitoli di prova articolati dal ricorrente, per come in precedenza esposti, ove esaminati senza dare esclusivo rilievo alla loro formulazione letterale ma avendo riguardo alle eccezioni che il ricorrente aveva a suo tempo sollevato in giudizio (e cioè, per quanto rileva, la mancanza in capo alla sorella di un potere di fatto sull’immobile qualificabile come possesso o detenzione qualificata e la dichiarazione della stessa secondo cui, dopo la scomparsa della madre, avvenuta nel mese di (OMISSIS), non le era stato consentito l’accesso nella casa dei suoi genitori), non solo rispettano i requisiti di specificità, anche sotto il profilo cronologico, che la legge richiede e che la corte d’appello ha in sostanza negato, ma sono anche rilevanti ai fini del giudizio in quanto volti, in definitiva, a provare: a) per un verso, che B.D., già detentrice del bene per ragioni di ospitalità, non aveva tenuto, dopo la morte della madre, avvenuta nel mese di (OMISSIS), pur conservando la disponibilità della chiavi di accesso, alcun comportamento nei confronti del possessore dell’immobile (e cioè il padre), tale da mutare, nei termini esposti, la propria originaria detenzione per ragioni di ospitalità in vero e proprio possesso dello stesso (o quanto meno della stanza); b) per altro verso, che in tale appartamento, pur dopo la morte della moglie e l’attribuzione mortis causa della relativa comproprietà alla figlia, aveva continuato ad abitare, oltre al fratello B.A.F., il padre B.F.G., già comproprietario e poi anche usufruttuario, che ne ha, quindi, avuto la piena ed esclusiva disponibilità materiale in qualità di possessore.

4.5. La corte d’appello, dunque, ha erroneamente omesso di considerare ammissibile, nei limiti esposti, la prova invocata dal ricorrente, precludendo a quest’ultimo, anche alla luce di quanto esposto in ordine al secondo motivo, l’esercizio del diritto alla conseguente ricognizione fattuale, indispensabile per stabilire quale fosse la reale situazione possessoria sul bene, che era compito del giudice di merito verificare adeguatamente per dare corso all’azione proposta.

5.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata lì dove la corte d’appello ha ritenuto l’appellante fosse passivamente legittimato rispetto all’azione possessoria proposta da B.D. sul rilievo che, pur non essendovi la prova che lo stesso aveva commissionato l’accorpamento delle stanze che aveva determinato lo spoglio denunciato, B.A.F. doveva essere considerato quanto meno l’autore morale dello spoglio per avere consapevolmente tratto vantaggio dalla situazione posta in essere dall’autore materiale del medesimo.

5.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha violato l’art. 112 c.p.c., avendo pronunciato, d’ufficio, su eccezione che B.D. non aveva proposto, avendo la stessa, come si evince dagli atti difensivi depositati nel corso del giudizio di merito, sempre sostenuto che il ricorrente era stato l’autore materiale e non morale dello spoglio.

5.3. D’altra parte, ha concluso il ricorrente, non è dato comprendere in che modo possa parlarsi di autore morale dello spoglio in un caso nel quale non si è riusciti ad identificare, con certezza, l’autore materiale dello stesso.

6. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, innanzitutto, ha ritenuto la sussistenza dell’animus sploliandi, la cui inesistenza, al contrario, discende dalla carenza della sua legittimazione passiva non essendo concepibile che la spoliazione avvenga ad opera di chi non sia stato l’artefice delle modifiche apportate nell’appartamento di (OMISSIS), ed, inoltre, ha respinto l’eccezione di tardività dell’azione possessoria promossa da B.D. sul rilievo che le doglianze mosse da quest’ultima nel ricorso per sequestro giudiziario risultavano contrastate dalle affermazioni di tenore contrario contenute negli scritti difensivi depositati dall’appellante, senza, però, considerare che B.D., nel ricorso di sequestro giudiziario depositato il 6/12/2001, aveva confessato che dopo la morte della madre le era stato negato l’accesso nella casa dei suoi genitori, risultando, quindi, evidente che il rapporto tra la stessa e l’immobile non era più in essere da diversi anni, e cioè da quando era andata a vivere altrove, con la conseguenza che la corte d’appello, lì dove ha escluso la tardività dell’azione proposta, ha violato la norma prevista dall’art. 1168 c.c., comma 2.

7. Il terzo ed il quarto motivo sono assorbiti.

8. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, previa ricostruzione fattuale della vicenda anche alla luce delle istanze di prova proposte, si atterrà ai principi di diritto enunciati con riferimento al secondo motivo e provvederà a liquidare le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte così provvede: accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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