Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14978 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. II, 28/05/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 28/05/2021), n.14978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7884/2016 proposto da:

SI CRI SRL, IN LIQUIDAZIONE IN PERSONA DEL LIQUIDATORE, rappresentata

e difesa dagli avv.ti FERDINANDO MANETTI, JENNIFER MANCA;

– ricorrente –

e contro

C.R., C.S.M., CH.RO.,

S.T. IN QUALITA’ DI EREDI DI C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 11/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 12/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Cagliari la società SI.CRI s.r.l. ed esponeva che quest’ultima, nel realizzare un complesso residenziale, aveva occupato parte del terreno di esso attore, acquistato con rogito del 30 luglio 1971 (e facente parte di lotto di maggior consistenza in località (OMISSIS), interessato alla detta realizzazione a scopo turistico).

L’attore deduceva, inoltre, che – per effetto della detta occupazione – gli era stato impedito l’accesso al proprio lotto ed era stato aumentato di molto il dislivello tra il confine del proprio fondo e la realizzata viabilità del suddetto complesso turistico.

Chiedeva, quindi, la condanna della convenuta società al ripristino dello stato dei luoghi ed la risarcimento danni.

Il giudizio innanzi al Tribunale di prima istanza, contrassegnato dal decesso dell’attore e dalla costituzione, in prosecuzione dei di lui eredi, era definito con sentenza n. 3683/2009.

Con tale decisione, rigettata l’eccezione di estinzione del processo sollevata della società convenuta, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, condannando la società convenuta (nelle more posta in liquidazione) alla esecuzione, secondo apposita previsione del C.T.U., di una rampa di accesso alla proprietà attorea, con realizzazione di una serie di opere di cui in atti, nonchè al pagamento della somma di Euro 17.295,48, oltre interessi ed alla refusione delle spese di lite.

Avverso la succitata decisione del Tribunale di prima istanza, della quale richiedeva la riforma, la società SI.CRI. interponeva appello, resistito dagli appellati eredi dell’originario attore.

L’adita Corte di Appello di Cagliari, con sentenza n. 11/2016, respinte le eccezione processuali proposte dalle parti, rigettava il proposto appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore delle parti appellate.

Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorre la SI.CRI. s.r.l. in liquidazione con atto affidato a tre ordini di motivi e non resistito dalle parti intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In via preliminare, deve ritenersi la validità della notifica del ricorso, poichè lo stesso risulta notificato con consegna a persona addetta allo studio del difensore degli eredi, ancorchè quest’ultimo risulti nelle more trasferito.

2.- Con il primo motivo del ricorso (dopo aver comunque espressamente specificato di non voler impugnare i capi della sentenza di appello relativi al rigetto delle eccezioni processuali ed al risarcimento danni) si deduce il vizio di errata valutazione delle prove e/o omessa considerazione di prove rilevanti.

La doglianza è svolta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e con riferimento, in particolare, agli artt. 115 e 116 c.p.c..

La parte si duole, infine, anche di motivazione “incoerente ed illogica”, lamentando pure (in assenza di ogni pur dovuto riferimento alla norma processuale alla cui stregua si propone ricorso innanzi a questa Corte) una pretesa ” totale assenza di motivazione”.

Orbene quanto affermato col motivo e contraddistinto dalla intrinseca illogicità e contraddittorietà della prospettazione in ordine alla motivazione.

Quest’ultima, infatti, non può essere – al tempo stesso – inesistente e carente.

La motivazione o c’è (ed allora è, eventualmente, carente) o non c’è e allora mancare del tutto (e non può essere carente).

Ciò, va osservato, depone in modo rilevante al fine di evidenziare l’insanabile contrasto logico della doglianza e la conseguente inammissibilità, in punto, di siffatta censura.

In proposito va rammentato come “in tema di ricorso per cassazione, la denunzia di omessa motivazione, formulata congiuntamente con la denunzia di motivazione insufficiente o contraddittoria, è affetta da insanabile contrasto logico, non potendo il primo di tali vizi coesistere con gli altri, in quanto, come desumibile dalla formulazione alternativa e non congiuntiva delle ipotesi in questione contemplate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una motivazione mancante non può essere insufficiente o contraddittoria, mentre l’insufficienza e la contraddittorietà presuppongono che una motivazione, della quale appunto ci si duole, risulti comunque formulata” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 26 gennaio 2004, n. 1317).

Inoltre “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione…altrimenti risolvendosi il relativo motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazione e del convincimento del Giudice del merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. civ., S.U. 25 ottobre 2013, n. 24148). In ordine, poi, alla prospettata pretesa violazione dell’art. 115 c.p.c., deve osservarsi quanto segue.

“Le violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., sono apprezzabili nei limiti del vizio di motivazione descritto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e devono pertanto emergere direttamente dalla lettura della sentenza e non già del riesame degli atti” (Cass. n.ri 2707/2004 e 14267/2006).

Sotto altro profilo, poi, va evidenziato che, quanto al preteso cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice del merito, ove non si verta nella rilevante e censurabile ipotesi di una “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 10 giugno 2016, n. 11892), l’apprezzamento di merito deve valutarsi simmetricamente al noto principio del libero convincimento.

Infatti “in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 12 ottobre 2017 n. 23940).

In conclusione il motivo non può essere accolto e deve essere, nel suo complesso, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c., per pretesa “omessa considerazione delle risultanze istruttorie”.

Si ripete, anche col motivo qui in esame, doglianza analoga a quella in precedenza per asserita “assenza totale di motivazione ovvero motivazione incoerente ed illogica”.

Senonchè, a differenza di quanto considerato dalla parte ricorrente, non si verte – nella fattispecie – in ipotesi di istanze istruttorie “travisate” e disattese.

Al riguardo non può che richiamarsi, anche per tale motivo, i già esposti principi giurisprudenziali in tema di apprezzamento e valutazione.

Neppure si verte, come vorrebbe parte ricorrente, in ipotesi di motivazione illogica o incoerente, giacchè l’eventuale mera carenza motivazionale (in ogni caso non ricorrente nell’ipotesi) non è censurabile ex art. 360 c.p.c., n.ri 4 e 5, quando, come nella fattispecie, non si verte in tema di omessa valutazione di specifico e decisivo fatto, atto o documento ovvero quando, in violazione di una tutela ancorata al “minimo costituzionale” non si riscontri un insanabile contratto motivazionale (ex plurimis: Cass. civ., S.U., Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

Il motivo è, pertanto e nel suo complesso, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c..

Il motivo ripropone, sostanzialmente, censure del tutto analoghe a quelle innanzi già esaminate sub 2. e che vanno, per conseguenza, dichiarate parimenti inammissibili.

4.- Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.

5.- Nulla deve stabilirsi in ordine alle spese non avendo parti intimate svolto difesa alcuna.

6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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