Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14978 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 15/07/2020), n.14978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA PARZIALE

sul ricorso iscritto al n. 29534 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

C.R.D., C.G., Tecno.geo s.r.l., CR Trust, in

persona del legale rappresentante pro tempore, INV 1 Trust, in

persona del legale rappresentante pro tempore, VIC 1 Trust, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e

difesi dagli Avv.ti Carlo Amato e Giuseppe Marini per procura a

margine del ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa

Sacchetti, n. 9, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia Giulia, n. 278/1/2016, depositata in

data 20 settembre 2016;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 ottobre 2019

dal Consigliere Giancarlo Triscari e, a seguito di riconvocazione,

nella camera di consiglio del 23 giugno 2020;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo

il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avv. Nicolle Purificati e per l’Agenzia

delle entrate l’Avvocato dello Stato Giovanni Palatiello.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento nei confronti di Tecnogeo s.r.l. con il quale, relativamente all’anno di imposta 2009, aveva contestato l’omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi, l’omessa dichiarazione di operazioni effettuate in annualità precedenti con Iva a esigibilità differita e l’omessa dichiarazione di operazioni con Iva esigibile nell’anno, richiedendo, quindi, una maggiore Ires e Iva; in particolare, la pretesa impositiva traeva origine dalla risultanze di un processo verbale di constatazione da cui era risultato che il socio e amministratore unico della Tecnogeo s.r.l., C.G., ed il figlio C.R.D., avevano posto in essere una serie di atti di straordinaria amministrazione privi di logica economica e finalizzati unicamente al depauperamento del patrimonio della Tecnogeo s.r.l., mediante la costituzione di nuove società e di trust, riconducibili alla medesima compagine societaria nelle quali erano confluite tutte le attività mobiliari e immobiliari della Tecnogeo s.r.l.; successivamente, l’avviso di accertamento era stato, altresì, notificato, a titolo di responsabilità solidale, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, ai trust, in persona dei relativi trustee, nonchè a C.G., C.R.D. e alla società Tecno.geo s.r.l.; avverso l’avviso di accertamento tutti i responsabili in solido avevano proposto distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Udine che, previa riunione, li aveva rigettati; avverso la sentenza del giudice di primo grado i contribuenti avevano proposto appello congiuntamente.

La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia ha rigettato l’appello, in particolare: ha ritenuto infondati i motivi di appello relativi alla incompetenza territoriale dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate che aveva emesso l’avviso di accertamento impugnato, alla non corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti dei trustee, alla carenza di potere dirigenziale ovvero della qualificazione funzionale del soggetto che aveva sottoscritto gli avvisi di accertamento; ha, inoltre, ritenuto che nell’avviso di accertamento erano stati correttamente calcolati e indicati gli interessi addebitati, le sanzioni irrogate erano legittime sotto il profilo motivazionale e che sussisteva il requisito della colpevolezza, atteso che tutti i trust erano riconducibili ai medesimi soggetti, cioè a C.G., C.R.D. ed alle società dagli stessi amministrate, ed erano stati costituiti per subentrare a Tecnogeo s.r.l. nel ramo di azienda edile e di investimenti immobiliari, mettendo consapevolmente al riparo i beni da eventuali azioni creditorie erariali; ha, quindi, ritenuto che erano da considerarsi legittimi i titoli sulla cui base era stata attribuita la responsabilità dei contribuenti e sussistente il vincolo di solidarietà passiva dipendente con la Tecnogeo s.r.l.; in particolare, sotto quest’ultimo profilo, ha ritenuto che la finalità dei diversi atti negoziali posti in essere, consistenti nella costituzione e proliferazione di società e di trust in strettissima successione temporale, riconducibili a soggetti ricompresi nel medesimo nucleo familiare nonchè parti dell’originaria compagine della Tecnogeo s.r.l., poi fallita, era stata unicamente quella di consentire la prosecuzione dell’attività produttiva da parte di altra società avente la stessa sede, medesimi cantieri e identico personale, realizzando, in tal modo, un’unitaria operazione elusiva, finalizzata a omettere il versamento dell’Iva e di dichiarare i redditi prodotti nell’anno 2009, distraendo il patrimonio al fine di rendere inesigibile qualsiasi atto di recupero; ha dichiarato, infine, assorbiti gli ulteriori motivi di appello proposti.

Avverso la suddetta pronuncia hanno proposto ricorso C.R.D., C.G., Tecno.geo s.r.l., CR Trust, INV 1 Trust e VIC 1 Trust, affidato a dieci motivi di censura, illustrato con successiva memoria.

l’Agenzia delle entrate non si è costituta ma ha partecipato alla discussione in pubblica udienza.

Con atto del 5 giugno 2019 C.R.D. ha comunicato di avere presentato domanda di definizione agevolata della presente controversia, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, ed ha chiesto pronunciarsi la sospensione del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dato atto del fatto che C.R.D. ha depositato una comunicazione con la quale ha attestato di avere presentato domanda di definizione agevolata della presente controversia, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, ed ha chiesto che sia pronunciata la sospensione del giudizio.

Ne consegue che, non sussistendo ragioni ostative, deve disporsi il rinvio a nuovo ruolo relativamente alla controversia concernente la pretesa nei confronti di C.R.D. .

Vanno quindi esaminati i motivi di ricorso proposti dagli altri ricorrenti che non hanno proposto la domanda di definizione agevolata, nei cui confronti soltanto, quindi, è resa la presente pronuncia.

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, per avere il giudice del gravame erroneamente ritenuto che l’ufficio dell’Agenzia delle entrate di Udine fosse legittimato ad emettere l’avviso di accertamento nei confronti di C.G. e dei trust, avendo, il primo, la residenza a Venezia, ed i secondi, il domicilio a Treviso.

Il motivo è infondato.

1.1. Il D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, attribuisce la competenza ad emettere l’avviso di accertamento all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata.

Nella fattispecie, l’omessa dichiarazione (sia ai fini Iva e Ires) è stata accertata per fatti e violazioni ascrivibili alla società Tecnogeo s.r.l., sicchè correttamente l’avviso di accertamento, prima notificato alla suddetta società e, successivamente, ai responsabili in solido, attuali parti ricorrenti, è stato emesso in relazione al luogo in cui la Tecnogeo s.r.l. aveva la propria sede.

Tale profilo è stato correttamente considerato dal giudice del gravame laddove ha evidenziato che la individuazione dell’ufficio competente andava compiuta in correlazione con la funzione primaria dell’atto impugnato e secondo l’unitarietà del globale progetto elusivo, estendendo, in tal modo, la competenza dell’ufficio di Udine anche per la notifica del medesimo atto nei confronti dei responsabili in solido.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 2, Convenzione dell’Aja 1 luglio 1985 in materia di trust e della L. 16 ottobre 1989, n. 364 di ratifica, nonchè del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, per avere erroneamente ritenuto che il trust può essere considerato soggetto solidalmente responsabile a titolo di pagamento dell’imposta e della sanzione e, inoltre, per avere ritenuto legittima la notifica dell’avviso di accertamento a un trust in persona del legale rappresentante piuttosto che al trustee.

2.1. Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata, dopo avere precisato che, in caso di riconoscimento di un trust, la legittimazione (sostanziale e processuale) spetta a chi ne ha il potere di gestione e di amministrazione dei beni (trustee) ha, quindi, accertato che gli avvisi di accertamento erano stati notificati agli attuali amministratori dei beni, figurando sia quali intestatari degli atti che quali destinatari dello notificazione, in particolare: P.L. (legale rappresentante del trustee Società italiana Trust s.r.l.) e C.R.D. (legale rappresentante dei trustee società C.R. & c. sas e Tecno.geo s.r.l.), identificati quali proprietari formali e titolari del potere di disporre dei diritti sull’insieme dei beni e dei rapporti costituenti il patrimonio segregato e, in quanto tali, legittimi destinatari degli avvisi di accertamento.

In sostanza, il giudice del gravame ha espresso la sua valutazione di merito, non sindacabile in questa sede, in ordine agli effettivi destinatari dell’avviso di accertamento, ritenendo che gli stessi erano stati correttamente inviati ai trustee, quali soggetti legittimati dal punto di vista sostanziale, per il tramite del loro rappresentante legale.

Sicchè, non sussiste la ritenuta violazione di legge, avendo il giudice del gravame, a seguito di una valutazione di merito, escluso che l’avviso di accertamento fosse stato notificato ai trust, avendo individuato nei legali rappresentanti dei trustee gli effettivi intestatari e destinatari dell’atto.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, per avere ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento nonostante il fatto che erano stati emessi e sottoscritti da un funzionario con incarico dirigenziale la cui nomina era stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 37/2015.

3.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte (Cass. civ., 9 novembre 2015, n. 22810), in ordine alla questione della esatta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, ha affermato il seguente principio di diritto: “In ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorchè una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma appena evocata, i “funzionari di area terza” di cui al contratto del comparto agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma sopra citata individua l’agente capace di manifestare la volontà della amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24″.

Il presente motivo di ricorso, a ben vedere, è incentrato sulla questione degli effetti della pronuncia di incostituzionalità del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, e, in particolare, sulla conseguente assenza della qualifica dirigenziale del funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento.

Tuttavia, nello stesso motivo si evidenzia che, nella fattispecie, l’atto impugnato era stato sottoscritto, previa delega, da soggetto che rivestiva funzioni di direttore dell’ufficio, circostanza che, secondo l’orientamento di questa Corte, sopra citato, esclude che possa comportare l’invalidità dell’atto.

4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132, c.p.c., per avere reso una motivazione apparente nella parte relativa alla mancanza dei presupposti, per ciascuno dei ricorrenti, per la attribuzione ad essi della responsabilità solidale.

In particolare, i ricorrenti evidenziano che già con il ricorso introduttivo ciascuno di essi aveva prospettato le ragioni giuridiche in base alle quali doveva essere esclusa la propria responsabilità solidale, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14.

Con riferimento alla insussistenza della responsabilità di C.G., si era evidenziata l’incerta attribuzione del titolo di responsabilità e, inoltre, che lo stesso era stato illegittimamente destinatario dell’avviso di accertamento sia quale amministratore pro tempore della Tecnogeo s.r.l. (in quanto l’atto era stato emesso nei confronti di una società estinta poichè cancellata e, comunque, per mancanza di una propria responsabilità) sia quale disponente/beneficiario e trustee della Teconogeo Trust (in quanto, oltre che evidenziare la non chiarezza della individuazione della responsabilità, lo stesso non era disponente, era beneficiario ma solo contingecy, ed aveva cessato di essere trustee; peraltro, fra l’altro, aveva evidenziato che non avrebbe potuto avere responsabilità tributaria per debiti relativi ai beni del trust), sia quale responsabile in solido della Tecnogeo s.r.l. (non essendo stato cessionario, non potendo rispondere dell’atto di cessione della Tecnogeo s.r.l., e potendosi applicare il citato art. 14, solo per la cessione di azienda e non anche per i conferimenti).

Con riferimento alla insussistenza della responsabilità del trustee di CR Trust, si era evidenziata l’incerta attribuzione della responsabilità nonchè il fatto che, se l’avviso riguardava la Tecnogeo s.r.l., la suddetta parte aveva ricevuto il ramo d’azienda dalla C. Rudi & c. s.a.s. ed era, quindi, estranea al rapporto prodromico, anche tenuto conto del fatto che nessun atto di contestazione, relativo alla cessione del ramo d’azienda, era pervenuto alla suddetta società nonchè del fatto che era cessionaria del ramo d’azienda, dato dalla C. Rudi & C. s.a.s. Tecno Geo Trust, che aveva ricevuto alcun accertamento, sicchè non poteva essere configurata alcuna responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 14.

Con riferimento alla insussistenza della responsabilità per il trustee di INV 1 Trust, anche in questo caso si era evidenziata l’incertezza del titolo di responsabilità, anche tenuto conto del fatto che, fra l’altro, se l’avviso riguardava la Tecnogeo s.r.l., la suddetta parte aveva ricevuto l’usufrutto del ramo d’azienda dalla Tecno Geo Trust, ed era quindi estranea al rapporto prodromico, considerato, peraltro, che nessun atto di contestazione era pervenuto a quest’ultimo soggetto e che la stessa era estranea alla cessione del ramo di azienda che era intervenuta tra la Tecnogeo s.r.l. e la Tecno Geo Trust ed era cessionaria della nuda proprietà del ramo d’azienda, dato dalla Tecno Geo Trust, che non aveva ricevuto alcun accertamento, sicchè non poteva essere configurato alcuna responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 14.

Con riferimento al trustee Vic 1 Trust, anche in questo caso si era evidenziata l’incertezza del titolo di responsabilità, anche tenuto conto del fatto che, se l’avviso riguardava la Tecnogeo s.r.l., la suddetta parte aveva ricevuto la nuda proprietà del ramo d’azienda dalla Tecno Geo Trust, ed era quindi estranea al rapporto prodromico, considerato, fra l’altro, che nessun atto di contestazione era pervenuto a quest’ultimo soggetto e che la stessa era estranea alla cessione del ramo di azienda che era intervenuta tra la Tecnogeo s.r.l. e la Tecno Geo Trust ed era cessionaria della nuda proprietà del ramo d’azienda, dato dalla Tecno Geo Trust, che non aveva ricevuto alcun accertamento, sicchè non poteva essere configurato alcuna responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 14.

Con riferimento, infine, alla Tecno.geo s.r.l., oltre che prospettarsi l’incertezza del titolo di responsabilità, si evidenzia, fra l’altro, che la stessa era estranea alla cessione di ramo d’azienda che era intervenuta tra la Tecnogeo s.r.l. e la C. Rudi & C. s.a.s. e la Tecno Geo Trust, anche tenuto conto del fatto che la stessa aveva stipulato un contratto d’affitto di ramo d’azienda, sicchè non poteva applicarsi la responsabilità solidale di cui all’art. 14, non esistendo il debito tributario al momento sia della cessione che della stipula del contratto di affitto, nè sussistendo una cessione d’azienda, ma un mero contratto di affitto d’azienda.

4.1. Il motivo è infondato.

La pronuncia censurata ha specificamente preso in considerazione il motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti in ordine alla ritenuta illegittimità dei diversi titoli sulla cui base era stata individuata la responsabilità solidale passiva dei medesimi con la cedente Teconogeo s.r.l. ed ha tenuto conto del complesso delle diverse operazioni negoziali realizzate.

In particolare, ha precisato che “Gli appellanti censurano le conclusioni cui è giunto il collegio di primo grado nella parte in cui ha ritenuto legittimi tutti i titoli di chiamata in causa dei diversi destinatari dell’avviso di accertamento ed il vincolo di solidarietà passiva dipendente che li lega alla cedente Tecnogeo s.r.l.”.

Ha quindi accertato che le cessioni e l’affitto di azienda a società e trust, appositamente costituiti e riconducibili alle medesime

persone fisiche, erano state realizzate per continuare di fatto l’attività di Tecnogeo s.r.l. senza assolvere all’obbligo di pagamento delle imposte ed al fine di spogliarsi di tutte le attività pregresse. Pertanto, ha concluso con la considerazione che tutti gli atti andavano ricondotti ad una unitaria operazione elusiva e, quindi, dovevano essere considerati nulli per illiceità della causa in quanto fondati su di un disegno frodatorio, finalizzato al raggiungimento di un risultato vietato mediante l’utilizzo di schemi contrattuali asserviti allo scopo elusivo.

La finalità frodatoria è stata individuata sulla base di un quadro complessivo, specificamente ricostruito e illustrato in motivazione, delle diverse attività negoziali poste in essere, non considerandole singolarmente, come invece postulato dai ricorrenti, ma nella loro valenza unitaria, pervenendo alla considerazione finale che, attraverso le diverse forme negoziali di trasferimento dei beni costituenti il complesso aziendale, veniva sottratta al Fisco l’originaria garanzia patrimoniale del credito tributario nei confronti del cedente.

Il giudice del gravame ha, quindi, evidenziato, statuendo sulla specifica questione della mancanza, nella fattispecie, di atti di cessione di azienda, profilo espressamente prospettato come motivo di doglianza, che questa sussiste anche nel caso, come di specie, in cui la stessa avviene in via di fatto, in cui il cessionario di fatto continua un’attività commerciale altrui, negli stessi locali del “cedente di fatto”, dopo avervi cambiato la ditta o l’insegna.

E’ in questo quadro fattuale, nel quale si è ritenuto sussistente un comportamento negoziale complessivamente rivolto al raggiungimento di una finalità elusiva, ed in ordine al quale gli attuali ricorrenti non avevano addotto alcuna prova contraria idonea a confutare la ricostruzione operata, in particolare circa la sussistenza di convincenti ed apprezzabili ragioni economico gestionali sottese alle diverse operazioni negoziali realizzate, che il giudice del gravame ha individuato la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione nei confronti dei ricorrenti della responsabile solidale di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 4. In particolare, il giudice del gravame ha precisato che dalla complessa architettura fattuale delle diverse operazioni negoziali realizzate, doveva farsi discendere la responsabilità di tutti i cessionari ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 4.

Ne deriva che, rispetto alla ricostruzione fattuale operata dal giudice del gravame e alla precisa indicazione del titolo di responsabilità sulla cui base doveva farsi discendere la legittimità della pretesa, non può ragionarsi in termini di motivazione apparente, come invece sostenuto dai ricorrenti.

Dinanzi alla prospettata diversità di titoli di responsabilità e della ritenuta mancanza dei presupposti per potere essere individuati nei confronti di ciascuno dei ricorrenti, il giudice del gravame ha offerta la sua ricostruzione della vicenda ed ha ritenuto di dovere individuare nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 4, il titolo fondante la responsabilità solidale di ciascuno delle parti ricorrenti, senza, peraltro, limitarla entro il limite del valore dell’azienda ma illimitatamente, e, inoltre, per tutte le violazioni commesse fino alla data del trasferimento, in osservanza a quanto previsto dalla suddetta previsione normativa in caso di cessione attuata in frode dei creditori tributari.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per avere omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale era stata dedotta la nullità dell’avviso di accertamento in quanto emesso nei confronti di una società estinta. 5.1. Il motivo è infondato.

Va osservato, a tal proposito, che il giudice del gravame, dopo avere rigettato i diversi motivi di appello proposto dalle parti, ha pronunciato sugli ulteriori motivi dichiarando espressamente che “Le motivazioni sopra sviluppate assorbono gli ulteriori motivi di appello introdotti”, sicchè lo stesso si è pronunciato anche sulla questione in esame, dichiarandola assorbita.

Sul punto, i ricorrenti sostengono che la pronuncia di assorbimento non sia corretta in relazione al motivo di appello proposto, relativo alla notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della Teconogeo s.r.l., essendo questa estinta per avvenuta cancellazione dal registro delle imprese.

La suddetta linea difensiva non è corretta.

Va precisato che la figura dell’assorbimento, che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, in senso proprio, quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, quando la decisione cd. assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande” (cfr., fra quelle recenti, Sez. 2, 9 ottobre 2012, n. 17219; sez. 5, 16 maggio 2012, n. 7663).

Dunque, l’ipotesi di assorbimento cd. improprio – che la CTR ha reputato sussistere nell’ipotesi in esame per i motivi di appello non espressamente affrontate nella sua motivazione – ricorre allorchè una domanda venga decisa sulla base della soluzione di una questione di carattere esaustivo, che renda vano esaminare le altre: in sostanza, ove sussista il presupposto logico predetto, la motivazione sufficiente e pertinente è proprio quella dell’assorbimento.

Pertanto, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso solo formale), in quanto, in realtà, la decisione cd. assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni cd. assorbite.

Va, inoltre, osservato che, con riguardo alla motivazione della sentenza, giova ricordare che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici necessari configura un vulnus al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 6, vizio che può spaziare, secondo la gravità, dall’insufficienza logica ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 (cfr. Cass., sez. 5, 20 luglio 2012, n. 12664).

Una motivazione inesistente o radicalmente inidonea a lasciar comprendere il procedimento logico-giuridico della decisione integra la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: la sentenza è nulla, se risulta mancante dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda, ovvero la motivazione sia solo apparente, perchè non idonea a rivelare la ratio decidendi, onde ne resta impedito ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. lav., 8 gennaio 2009, n. 161; nonchè sez. 1, 4 agosto 2010, n. 18108; sez. 5, 16 luglio 2009, n. 16581; sin da Cass., sez. un., 12 giugno 1999, n. 319).

Nel caso in esame, come visto, il giudice del gravame ha rigettato il motivo di appello con il quale si era ritenuta illegittima la pretesa fatta valere nei confronti degli attuali ricorrenti a titolo solidale ed ha, quindi, reputato assorbiti gli ulteriori motivi di appello.

Dall’esame delle questioni espressamente affrontate dal giudice del gravame si coglie agevolmente come la statuizione di assorbimento sia corretta.

La pronuncia in esame, invero, ha tenuto conto del fatto che la questione dallo stesso esaminata atteneva alla legittimità della pretesa fatta valere nei confronti degli attuali ricorrenti quali responsabili in solido della Tecnogeo s.r.l. ed ha ritenuto, secondo quanto illustrato in sede di esame del quarto motivo di ricorso, come ciascuno di essi era stato correttamente destinatario di un avviso di accertamento, autonomamente ad essi notificato rispetto alla Tecnogeo s.r.l..

Avendo, quindi, pronunciato esclusivamente in ordine alla sussistenza della responsabilità dei ricorrenti, ritenuti quali cessionari chiamati a rispondere ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 4, ha, correttamente, ritenuto assorbito l’esame della questione prospettata con il motivo di appello relativo alla nullità della notifica a soggetto estinto, in quanto trattavasi di questione che fuoriusciva dall’ambito del thema decidendum posto alla sua attenzione, non essendo la Tecnogeo s.r.l. parte del giudizio.

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 2697, c.c., in tema di distribuzione dell’onere di prova, per essersi limita, con riferimento alla questione della esistenza del fatto dell’omessa dichiarazione dei redditi e del versamento dell’Iva, sul cui presupposto erano stati emessi gli avvisi di accertamento, ad assumere per veri i fatti addotti dall’Agenzia delle entrate, senza verificare se gli stessi fossero fondati su elementi di prova.

6.1 il motivo è infondato.

Questa Corte ha, più volte, affermato che la violazione del precetto di cui all’art. 2697, c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i limiti di cui art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ratione temporis applicabile; in merito si veda anche Cass. civ., 23 ottobre 2018, n. 26769, per i diversi profili di censurabilità in cassazione della violazione dell’art. 2697 c.c., oltre che dei parametri previsti dagli artt. 115 e 116 c.p.c.).

Nella fattispecie, non è dato ravvisare una alterazione dei principi in ordine alla ripartizione dell’onere della prova, non avendo il giudice posto a carico dei ricorrenti l’onere di provare i fatti fondanti la pretesa tributaria.

In realtà, la sentenza censurata ha precisato che: Al 31 dicembre 2009, ad esito di tutte le operazioni anzidette, la situazione era la seguente: la Tecnogeo s.r.l. indicava nelle dichiarazioni Iva riferite agli anni di imposta 2007, 2008 e 2009 “Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in esercizi successivi” per un imponibile complessivo di Euro 7.588.908,00. Tale imponibile non verrà mai fatto confluire tra le operazioni ad aliquota del 20% (imposta pari ad Euro 1.517.781,00). Nè è mai stato indicato tra le prestazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nell’anno corrente. (Dalla documentazione esaminata si evince che i corrispettivi anzidetti sono stati incassati dalla Tecnogeo s.r.l. parte già prima già prima del conferimento dell’attività nella C. Rudi & C. sas e Tecnogeo Trust, parte successivamente). In sostanza, il giudice del gravame ha espresso la propria valutazione in ordine alla esistenza del fatto dell’omessa dichiarazione dei redditi e del versamento dell’Iva, specificamente richiamando la documentazione esaminata da cui aveva tratto il proprio convincimento.

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Rispetto a tali elementi di prova, dedotti dall’amministrazione finanziaria e valorizzati in sentenza, era onere dei ricorrenti fornire la prova contraria.

Le considerazioni di merito, espresse dal giudice del gravame, e non sindacabili in questa sede, non sono, dunque, state rese in violazione del principio di cui all’art. 2697, c.c..

7. Con il settimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132, c.p.c., per non avere motivato o per avere reso una motivazione apparente in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto che le violazioni poste a base della pretesa impositiva fossero fondate.

7.1 Il motivo è infondato.

Come si è visto in sede di esame del sesto motivo di ricorso, il giudice del gravame ha specificamente motivato in ordine ai fatti di cui alla pretesa fatta valere con l’avviso di accertamento ed ha, in particolare, fatto richiamo alla documentazione in atti, pervenendo alla conclusione della legittimità della stessa.

Non è dato quindi ravvisare una motivazione apparente, che, invece, presuppone che la stessa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).

Il giudice del gravame ha, invero, accertato quale fosse la situazione al 31 dicembre 2009, ed ha specificamente fatto riferimento alla documentazione esaminata, chiaramente evidenziando che la valutazione di merito era conseguenza della verifica di fatto compiuta.

8. Con l’ottavo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per omessa pronuncia in ordine alla eccepita illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

8.1 il motivo è infondato, per quanto di ragione.

8.1.1. Con riferimento alla questione dell’omessa pronuncia sulla ritenuta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la stessa è prospettata in relazione alla non osservanza del termine dilatorio, posto che il processo verbale di constatazione era stato notificato il 20 giugno 2013 e l’avviso di accertamento era stato notificato alla Tecnogeo srl in data 28 giugno 2013, quindi solo otto giorno dopo la notifica del processo verbale di constatazione, deducendo ragioni di urgenza non fondate, quale il pericolo della perdita del credito erariale, posto che la società era fallita ed erano state poste in essere condotte finalizzate a pregiudicare le ragioni erariali.

Va osservato che la pronuncia di assorbimento resa dal giudice del gravame, con la quale ha definito gli ulteriori motivi di appello proposti dalle parti, non può essere ritenuta estensibile alla questione in esame, posto che alla stessa, in quanto relativa al rispetto della regola procedimentale del contraddittorio preventivo, deve attribuirsi valenza autonoma rispetto ai diversi profili espressamente esaminati nella sentenza.

Sebbene, quindi, deve convenirsi con la mancanza di una pronuncia sulla questione in esame da parte del giudice del gravame, va comunque osservato che, avendo la stessa natura esclusivamente giuridica, può comunque essere decisa in questa sede facendo applicazione della previsione di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2.

Ed invero, la violazione della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in tema di contraddittorio endoprocedimentale, risulta prospettata dai ricorrenti unicamente censurando le ragioni di urgenza, indicate nell’avviso di accertamento, che avevano indotto l’amministrazione finanziaria alla emissione del suddetto atto prima della decorrenza del termine dilatorio.

In particolare, sono gli stessi ricorrenti che riportano (vd. pag. 84, ricorso) le ragioni sulla cui base si era fondata l’emissione “anticipata” dell’avviso di accertamento, in particolare le stesse consistevano nella ritenuta necessità di “evitare i pericoli di perdita del credito erariale, posto che la società è fallita in data 04.02.2011 e che sono state poste in essere condotte finalizzate a pregiudicare le ragioni erariali”.

Le ricorrenti avevano censurato, quindi, le suddette ragioni giustificative, sia in quanto l’esistenza di una procedura fallimentare non potrebbe pregiudicare il presunto credito erariale, sia in quanto non sussisteva alcuna operazione finalizzata a pregiudicare le ragioni erariali.

Va quindi affermato, con riferimento al primo profilo, il costante orientamento di questa Corte (Cass. civ., 11 aprile 2018, n. 8892) secondo cui la dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Ciò, da un lato in ragione dell’urgenza correlata alla necessità dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un’insinuazione tempestiva al passivo, poichè detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori; d’altro lato perchè il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicchè il detto termine per la presentazione di osservazioni e richieste risulta incompatibile con l’attività del curatore, che è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, stante l’onere informativo nei confronti di tali soggetti.

Con riferimento al secondo profilo, va tenuto conto proprio dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame in ordine alla specifica finalità della complessiva operazione posta in essere, finalizzata al perseguimento di un intento frodatorio anche in danno delle ragioni dell’erario.

8.1.2. Con riferimento, poi, alla questione dell’omessa pronuncia in ordine alla eccepita illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, prospettata sulla base della considerazione che la omessa indicazione di componenti positivi nella dichiarazione dei redditi non era supportata da elementi aventi i requisiti di gravità precisione e concordanza, va osservato che la stessa è infondata, in quanto si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, sulla quale si è già avuto modo di esprimere le dovute considerazioni in sede di esame del sesto motivo di ricorso.

Proprio l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame ha costituito la ragione dell’ulteriore pronuncia di assorbimento della specifica questione in esame, poichè la valutazione compiuta esclude, implicitamente, che potesse sussistere la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis.

9. Con il nono motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132, c.p.c., non avendo il giudice del gravame motivato sul motivo di appello relativo alla illegittimità della pretesa impositiva concernente la determinazione degli interessi.

9.1. Il motivo è infondato.

Il giudice del gravame si è espressamente pronunciato sulla questione in esame, precisando che la parte ricorrente aveva appellato la pronuncia del giudice di primo grado, in ordine alla questione degli interessi richiesti con l’avviso di accertamento, lamentando la mancanza di una norma di riferimento non richiamata in atti e la sussistenza di un erroneo conteggio.

Sulla base di tali premesse, ha quindi ritenuto la legittimità del calcolo degli interessi, in quanto nelle pagg. 24-31 dell’avviso di accertamento erano illustrate in modo dettagliato le diverse modalità di definizione della pretesa ed il calcolo degli interessi, specificando le singole aliquote prese a base delle varie annualità. Le somme, per l’intero ovvero per un terzo del loro ammontare, devono essere versate entro il termine per la presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica dell’atto). Gli importi che il contribuente dovrà corrispondere sono maggiori ove il versamento avvenga decorso il termine ultimo indicato.

In sostanza, il giudice del gravame ha preso in esame la questione, motivando espressamente sulle ragioni per le quali ha ritenuto non fondato il motivo di appello proposto, sicchè non sussiste la ritenuta violazione dell’art. 132, c.p.c..

10. Con il decimo motivo si richiede l’applicazione in proprio favore della intervenuta disciplina di favore di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015 in ordine alla irrogazione delle sanzioni.

10.1 II motivo è infondato.

Va, infatti, osservato che, secondo questa Corte (17 luglio 2018, n. 18900) lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla condizione, fra l’altro, che la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti.

Nella fattispecie, il D.Lgs. n. 158 del 2015 è entrato in vigore il 22 ottobre 2015, quindi in costanza del giudizio di appello, dinanzi al quale, pertanto avrebbe dovuto essere prospettata la questione.

Va, peraltro, aggiunto che parte ricorrente si è limitata solo genericamente a richiedere l’applicazione del regime più favorevole e che questa Corte ha precisato che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015, applicabili ai processi in corso in virtù del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 e art. 25, comma 2, non operano in maniera generalizzata, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicchè deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, dello ius superveniens, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata (Cass. civ., 12 aprile 2017, n. 9505; Cass. civ., 7 ottobre 2016, n. 20141).

In conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, limitando la liquidazione alla sola fase della discussione in pubblica udienza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dispone il rinvio a nuovo ruolo relativamente alla controversia concernente la pretesa nei confronti di C.R.D..

Rigetta il ricorso proposto dagli altri ricorrenti e condanna gli stessi al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ad eccezione di C.R.D., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019 e, a seguito di riconvocazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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