Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14975 del 16/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14975 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 847-2014 proposto da:
NATALINO ANTONELLO NTLNNL68A66H971L, NATALINO
MARIA LUISA NTLMLS72L47H971A, NATALINO TERESA
BIAGIA

NTLTRS62B43H971V,

LUPO

ANNA

LPUNNA45M52H971P, NATALINO VINCENZO
NTLVCN65M20H971C tutti in proprio e nella qualità di unici eredi di
Natalino Francesco, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CATONE 3, presso lo studio dell’avvocato AGNESE
IACOANGELI, rappresentati e difesi dall’avvocato DOMENICO
BRUNO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

Data pubblicazione: 16/07/2015

Contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;

intimato

avverso il decreto nel procedimento R.G. 961/2012 della CORTE

udita la relazione della causi, svolta nella pubblica udienza del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 00847 sez. M2 – ud. 09-04-2015
-2-

D’APPELLO di SALERNO del 14.3.2013, depositato il 15/05/2013;

IN FATTO
Con ricorso del 31.7.2012 Vincenzo, Teresa Biagia, Antonello e Maria
Luisa Natalino e Anna Lupo, in proprio e nella qualità di eredi di Francesco
Natalino, adivano la Corte d’appello di Salerno per ottenere la condanna del

dell’art. 2 della legge n. 89/01, per la durata irragionevole di una procedura
esecutiva immobiliare instaurata innanzi al Tribunale di Paola nei confronti
del de cuius e ancora pendente alla data di proposizione del ricorso.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 15.5.2013 la Corte salernitana rigettava la domanda e
compensava le spese. Riteneva, in merito, che i ricorrenti non avevano
dimostrato né il decesso del de cuius, né che questi avesse assunto
formalmente la qualità di parte del processo esecutivo, effettuando in esso
un’apposita costituzione (salvo una causa di opposizione ex art. 615 c.p.c.,
che tuttavia aveva avuto una durata del tutto ragionevole); né, ancora, che essi
stessi avessero assunto la qualità di parte del processo di esecuzione. Infine, la
Corte distrettuale osservava che il danno non patrimoniale per la durata
irragionevole di un processo è conseguenza normale, secondo l’ id quod
plerumque accidit, che può tuttavia essere esclusa in presenza di circostanze
particolari, come tipicamente avviene nel caso in cui il protrarsi del giudizio
risponda ad un interesse specifico della parte o sia comunque destinato a
produrre conseguenze che la parte stessa percepisce come a sé favorevoli. Tra
queste situazioni, la pendenza di un processo esecutivo immobiliare, essendo
a dir poco implubabile che l’esecutato potesse avere interesse alla pronta

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Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi

espropriazione dei propri beni, essendo, invece, di comune esperienza che
questi avesse normalmente un interesse opposto.
Per la cassazione di tale decreto Vincenzo, Teresa Biagia, Antonello e
Maria Luisa Natalino e Anna Lupo propongono ricorso, affidato a cinque

Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione
degli artt. 34, 187, 100, 112, 115 e 167 c.p.c., 727, 752 e 757 c.c., 3 (testo
previgente) legge n. 89/01, e 6 CEDU, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360
c.p.c., per aver la Corte territoriale rilevato d’ufficio la mancata prova della
legittimazione attiva dei ricorrenti e non fatto uso dei poteri istruttori ad essa
concessi dagli artt. 3 e 5 della legge n. 89/01 per sopperire alla carenza
probatoria.
2. – Il secondo mezzo espone la violazione o falsa applicazione degli artt.
2, commi 1 e 2 (testo previgente) legge n. 89/01, 6 CEDU, 1 protocollo
addizionale 1 CEDU, e 111 Cost., in quanto la Corte territoriale, affermando
la necessità della costituzione nel processo esecutivo del debitore esecutato,
prima, e degli eredi di lui, poi, ai fini del diritto all’equa riparazione, ha
violato lo spirito e la lettera della legge n. 89/01, che estende il concetto di
parte anche ai soggetti che siano parti in senso sostanziale, ricomprendendo
per conforme giurisprudenza nazionale e convenzionale, una casistica più
ampia, in essa inclusi, ad esempio, il fallito, il contumace e, appunto, il
debitore esecutato. Inoltre, la Corte territoriale non ha considerato che nel

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motivi, successivamente illustrati da memoria.

processo esecutivo non è riconosciuta al debitore una formale costituzione in
giudizio, al di fuori dei procedimenti di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c.
3. – Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione
degli artt. 111 e 117 Cost., 2, commi 1 e 2 legge n. 89/01,6, 19 e 32 CEDU,

congruità in concreto della durata della procedura sottoposta al suo esame, in
tutte le sue fasi; né ha considerato che l’esecuzione in oggetto non è stata mai
sospesa per attività poste in essere dai ricorrenti e che dalla relativa durata
possono essere sottratte solo le attività dilatorie, non anche quelle connesse
allo svolgimento delle condotte prettamente defensionali.
4. – Il quarto motivo lamenta l’omessa pronuncia sul fatto che Anna Lupo,
in qualità di fideiussore per i debiti di Francesco Natalino, è stata parte in
proprio, sin dal 4.4.2003, della procedura esecutiva contro quest’ultimo,
sicché la Corte salernitana avrebbe dovuto pronunciarsi sulla posizione di lei e
motivare il rigetto della sua domanda.
5. – Il quinto mezzo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e
3 legge n. 89/01, perché la Corte distrettuale ha presunto l’esistenza di un
interesse dei ricorrenti alla protrazione della procedura, senza attivare i propri
poteri istruttori in merito all’accertamento della violazione, né invitare i
ricorrenti a produrre documentazione relativa al danno non patrimoniale
subito. Inoltre, non risponde al vero che secondo l’id quod plerumque accidit
il debitore abbia interesse a protrarre la durata della procedura. Infatti la
lungaggine procedurale comporta un aumento delle spese e degli interessi, che
gravano pur sempre sul debitore esecutato, il quale semmai ha interesse ad

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137 e 737 c.p.c. La Corte territoriale, si sostiene, non ha motivato sulla

una giusta durata del processo per liberarsi dei suoi debiti ed entrare in
possesso delle somme residuate dalla distribuzione del ricavato.
6. – Quest’ultimo motivo, da esaminare con priorità per il suo carattere
assorbente, è infondato.

riparazione prevista dalla legge n. 89/01 per la durata irragionevole del
processo di espropriazione a suo carico, la giurisprudenza di questa Corte non
è ancora univoca.
A sostegno della soluzione affermativa, Cass. n. 6459/12 osserva che nel
processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo (come
delineato dalla nuova formulazione dell’art.111 Cost.) deve essere soddisfatto
attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si
discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque
giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle
parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il
proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; pertanto, anche il debitore
esecutato, in quanto parte, è legittimato a richiedere l’indennizzo ex art.2
legge 24 marzo 2001 n.89 per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo.
Per la negativa, Cass. nn. 26267/13 e 17153/13 rilevano che non ha diritto
all’equa riparazione per irragionevole durata del procedimento esecutivo il
debitore esecutato che, essendo comproprietario dell’immobile pignorato, non
abbia alcun interesse al rapido svolgimento della procedura e, anzi, si sia
avvantaggiato del suo protrarsi, avendo mantenuto, medio tempore, il
compossesso giuridico del bene.

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Sul diritto del debitore esecutato ad ottenere, in linea di principio, l’equa

Verso una soluzione intermedia (ma che tuttavia appare riferita ad
un’ipotesi affatto peculiare) inclina Cass. n. 23630/13, che valorizza
l’atteggiamento tenuto in concreto dal debitore per favorire o meno l’esito
della procedura.

in via di massima, negativa.
Deve rilevarsi, innanzi tutto, che il diritto ad un processo giusto, paritario e
diretto da un giudice terzo e imparziale (art. 111, 1° e 20 comma Cost. e 6
CEDU), non è coinvolto nella soluzione delle questioni inerenti alla durata
irragionevole del processo stesso. La quale ultima è fonte del diritto ad
un’equa riparazione per il paterna d’animo che ogni pendenza processuale
provoca ex se, vi siano state o non violazioni di altre garanzie. Pertanto, dalla
copertura costituzionale e convenzionale di queste ultime non si può né
dedurre né inferire il diritto ad un’equa riparazione, allorché il processo abbia
ecceduto il termine di durata ragionevole.
6.2. – Come osservato di recente da Cass. n. 8540/15, il debitore esecutato,
sebbene sia parte (non già nel senso del diritto processuale interno, ma ai soli
fini in questione) del processo esecutivo, non è necessariamente percosso
dagli effetti negativi di un’esecuzione forzata di durata irragionevole, atteso
che dall’esito finale di tale processo egli ritrae essenzialmente un (giusto)
danno. E dunque, deve aggiungersi, quella presunzione di danno non
patrimoniale derivante dalla pendenza del processo, affermata in linea
generale a partire dai noti arresti nn. 1338, 1339 e 1340/04 delle S.U. di
questa Corte, ma negata dagli stessi precedenti con riguardo a situazioni
specifiche (esemplificata, in particolare, quella del conduttore convenuto in
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6.1. – Per le considerazioni che seguono, il Collegio opta per la soluzione,

giudizio per il rilascio dell’immobile locato), non può operare di regola
quanto alla posizione del debitore esecutato.
Il quale, pertanto, nell’ambito del procedimento di equa riparazione ex lege
n. 89/01, ha l’onere di allegare non un generico ma uno specifico suo interesse

degli usuali oneri probatori gravanti sulla parte attrice.
6.2.1. – A tal fine non basta dedurre che il debitore abbia interesse ad una
sollecita definizione della procedura esecutiva, sia al fine di evitare spese
ulteriori ed aggravi di interessi legali o convenzionali sul debito capitale, sia
per entrare in possesso della somma residuata dalla distribuzione. Nell’un
caso come nell’altro, occorre allegare e dimostrare, altresì, che l’attivo
pignorato, o comunque pignorabile in altra sede esecutiva, fosse ab origine
tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i
creditori; e che a causa dell’irragionevole dilatazione dei tempi processuali
spese ed interessi siano lievitati in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile
residuo attivo ovvero la restante garanzia generica, altrimenti capiente.
Specioso argomento sarebbe osservare che un tale pregiudizio avrebbe
natura patrimoniale, non riferibile, dunque, alla problematica del patema
d’animo indotto dalla pendenza del processo di esecuzione. In un processo
dichiarativo lo stato d’ansia delle parti è alimentato dall’incertezza della
decisione, per le conseguenze che ne possono derivare. E ove queste siano
solo di natura economica, la sofferenza per l’attesa resta ciò non di meno di
indole squisitamente morale. Esclusa l’incertezza sull’esito del processo di
esecuzione, che nel suo svolgimento fisiologico non può avere altro esito se
non l’attuazione del comando contenuto nel titolo esecutivo, il debitore
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ad un’espropriazione celere, e di dimostrarne l’effettiva esistenza, nel rispetto

esecutato in tanto può lamentare un danno morale per la protrazione
irragionevole del processo — abbia conservato o non il possesso dei beni
pignorati — in quanto esistesse in partenza la concreta chance d;_ soddisfare
integralmente i creditori.

d’agire per il soggetto esecutato, questi non subisce di regola altre
conseguenze da un processo di durata irragionevole.
6.2.2. – Nulla di tutto ciò nel caso di specie, essendosi i ricorrenti limitati a
prospettare nei termini anzi detti una mera ipotesi di danno, priva di riscontri
oggettivi sottoposti all’esame del giudice di merito.
Del tutto correttamente, pertanto,

In

Corte distrettuale ha escluso che la

durata irragionevole della procedura avesse cagionato al debitore esecutato un
danno indennizzabile.
7. – La reiezione del suddetto motivo, eliminando in radice il diritto
all’equa riparazione, assorbe l’esame delle restanti censure, incentrate su
questioni (legittimazione degli eredi, non necessità della costituzione del
debitore esecutato, congruità dell’intera durata del processo espropriativo e
posizione specifica del fideiussore, anch’egli esecutato) che ne dipendono
logicamente.
8. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva in
questa sede.
9. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del
contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P. Q. M.
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Infine, mancando nell’esecuzione individuale situazioni d’incapacità

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 9.4.2015.

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