Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14968 del 20/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 20/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 20/07/2016), n.14968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26667/2015 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO

68, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LETIZIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO BARONI, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASSA RURALE DI ISERA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 122/2015 del TRIBUNALE di ROVERETO, depositata

il 07/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., datata 18.3.16 e regolarmente notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza n. 122 del 7.5.15 del tribunale di Rovereto, del seguente letterale tenore:

“1. – F.S. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata e letta integralmente alla pubblica udienza del 7.5.15, con la quale è stata rigettata la sua opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza 11.4.14 di rideterminazione in minus del prezzo base di vendita dell’immobile in suo danno staggito presso il tribunale di Rovereto ad istanza della Cassa Rurale di Isera. Quest’ultima, intimata, non svolge attività difensiva in questa sede.

2. – Il ricorso va trattato in Camera di consiglio – ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. – parendo dovervisi rigettare.

3. – Il ricorrente si duole:

– col primo motivo, di violazione o falsa applicazione degli artt. 568, 539, 529, 530, 576 e 112 c.p.c., prospettando: l’illegittimità del ricalcolo, affidato ad uno stimatore, del prezzo di stima (in origine fissato in Euro 785.000,00) in ragione dell’andamento delle vendite all’esecuzione forzata immobiliare presso quel tribunale, anzichè con riferimento al valore di mercato; l’atipicità della nuova ordinanza di vendita per la modifica, non chiesta da alcuno, del prezzo di vendita con un suo abbattimento in ragione di un eventuale numero di futuri esperimenti deserti; l’illegittimità di una ufficiosa diminuzione del prezzo base di vendita senza alcun previo deserto esperimento;

– col secondo motivo, di violazione o falsa applicazione “degli artt. 529 e 530 c.p.c. e in generale dei principi costitutivi del processo di esecuzione di cui agli artt. essi seguenti”, contestando la negazione del diritto alla celebrazione delle aste operata dalla gravata sentenza;

– col terzo motivo, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – omessa motivazione e/o motivazione apparente, ovvero illogicità o contraddittorietà sub specie di incomprensibilità dell’argomentare e della sua rilevanza (Cass. SS.UU. 10.07.15 n. 14477)”, contestando le ragioni poste a base della ritenuta legittimità del prezzo base, consistenti nella modificabilità delle ordinanze del g.e., nel lungo tempo decorso dal pignoramento e nella “notoria ingravescenza della crisi del mercato immobiliare”.

4. – Il primo motivo è infondato: la determinazione del prezzo al quale porre in vendita il bene staggito, che fa riferimento a quello di mercato, può legittimamente aver luogo in riferimento a qualunque elemento, purchè non palesemente incongruo o avulso dal contesto economico o dagli elementi fondamentali della scienza dell’estimo, che colleghi la valutazione operata del prezzo base a cui porre in vendita il bene a quello che potrebbe essere il valore risultante in esito ad una contrattazione sul mercato, ovviamente tenendo conto delle peculiarità dello specifico settore delle espropriazioni immobiliari in cui comunque la vendita giudiziaria viene a collocarsi, come reso evidente anche dalle recenti modifiche legislative sul contenuto della relazione di stima. E solo le perturbazioni di tali procedimenti possono rilevare ai fini della determinazione del giusto prezzo (secondo l’ampia ed esaustiva elaborazione di Cass. 21 settembre 2105, n. 18451), per il resto corrispondendo alla funzione direttiva del processo esecutivo che il giudice dell’esecuzione, anche di ufficio e comunque sulla base dell’impulso originario dell’istanza di vendita (di per sè solo sufficiente a fondare tutte le operazioni di liquidazione del bene: Cass. 19 luglio 2004, n. 13354; Cass. Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18185), lo determini adottando le iniziative più opportune: le quali restano impugnabili certo ed ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ma non per il solo fatto di essere state adottate, ma esclusivamente per eventuali altri profili specifici di illegittimità o per la manifesta incongruità del risultato prefissato o conseguito.

In questo contesto, non rileva che nessun esperimento fosse stato previamente e vanamente tentato, visto che gli elementi addotti, quali il tempo trascorso dal pignoramento – e, per implicito, dalla precedente stima – e la notoria maggiore crisi del settore immobiliare, hanno potuto fondare il timore dell’inanità dei primi tentativi di vendita a prezzi base francamente irrealistici, con detrimento del diritto di tutti i soggetti del processo esecutivo alla sua definizione in tempi ragionevoli.

Pertanto, correttamente è stato rideterminato il prezzo a base della vendita giudiziaria del bene staggito in danno dell’odierno ricorrente, nelle circostanze da lui rappresentate.

5. – Il secondo motivo è manifestamente infondato: non ha il debitore un diritto soggettivo all’incanto, ma, appunto e come correttamente nota il giudice del merito, un diritto al rispetto delle norme procedurali sulle vendite giudiziarie – di cui l’incanto è solo una e per di più ormai recessiva delle forme di estrinsecazione, ai sensi dell’art. 503 c.p.c. – e per di più solo se la violazione di queste comporti un detrimento delle sue ragioni, in applicazione del generale principio dell’inesistenza di un diritto al rispetto delle norme processuali in sè considerate (per tutte: Cass. 22 febbraio 2016, n. 3432; Cass., ord. 16 dicembre 2014, n. 26450; Cass. 22 aprile 2013, n. 9722; Cass. 19 febbraio 2013, n. 4020; Cass. 14 novembre 2012, n. 19992; Cass. 23 luglio 2012, n. 12804; Cass. 9 marzo 2012, n. 3712; Cass. Sez. Un., 19 luglio 2011, n. 15763).

6. – Il terzo motivo è infondato: la motivazione è chiaramente espressa in almeno tre ragioni del decidere, chiare ed univoche, perfettamente congruenti: in linea quindi con i requisiti imposti dalla prima interpretazione delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di controllo motivazionale possibile dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalla formulazione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (e tanto in forza della disciplina transitoria, di cui del medesimo art. 54 cit., comma 3 (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881, seguita da altre e dalla stessa citata dal ricorrente).

7. – Non si vede alternativa, quindi, alla proposta di rigetto del ricorso”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Non sono state presentate conclusioni scritte, nè le parti hanno depositato memoria o sono comparse in Camera di consiglio per essere ascoltate.

3. – A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, avverso le quali del resto nessuna delle parti ha ritualmente mosso alcuna critica osservazione.

4. – Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, per non avervi svolto attività difensiva l’intimata.

5. – Deve, infine, trovare applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante integralmente soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016

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