Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14966 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/06/2017, (ud. 26/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15371-2016 proposto da:

F.T.A. 20000 SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SEBINO 11, presso lo studio dell’avvocato

SALVATORE CAIANIELLO, rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO

CORVINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2418/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata l’11/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/04/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La F.T.A. 20000 srl propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 2418/17/2016, depositata in data 11/03/2016, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2009, a seguito di rideterminazione del reddito d’impresa, previo controllo delle movimentazioni del conto “versamento soci infruttifero” (avendo l’Ufficio ritenuto che le somme erogate in contanti dai soci, essendo inidonei i redditi dagli stessi dichiarati, fossero riconducibili a ricavi non contabilizzati dalla società), – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame della contribuente, hanno sostenuto che, stante la complessiva inattendibilità della contabilità della società (non avendo i soci dimostrato la legittima disponibilità delle ingenti somme versate nel sotto-conto della società), l’Ufficio, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, era legittimato a procedere ad accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), offrendo presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, con spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente. Nella specie, la genericità dei motivi di appello non consentiva di confutare le argomentazioni già espresse dai giudici di primo grado.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., avendo i giudici della C.T.R., con affermazioni “apodittiche” e motivazione apparente, affermato la complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, pur non essendo emersa dal PVC alcuna irregolarità contabile.

2. La censura è infondata.

2.1 Anzitutto è infondata la denuncia di motivazione apparente. Questa Corte (Cass. 28113/2013) ha, da ultimo, ribadito che “in tema di processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame”. Con riferimento aila tecnica della motivazione delle sentenze “per relationem”, questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass.7347/12), che “la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, purchè il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio”. Il giudice di appello, richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, non si deve limitare solo a farli propri, ma deve confutare le censure contro di essi formulate con i motivi di gravame, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. In sostanza, la sentenza d’appello deve essere cassata allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione alla sentenza appellata, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 2268/06, 15483/08).

Alla stregua di tali premesse, la sentenza gravata risulta motivata in maniera comunque autonoma e non attraverso mero richiamo al decisum dei giudici di primo grado.

2.2. Neppure ricorrono le lamentate violazioni di legge.

Questa Corte (da ultimo, Cass. 26036/2016; Cass. 17952/2013) ha costantemente ribadito che l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.

Nella specie, conforme a tali principi è la decisione impugnata, laddove, con accertamento in fatto, non censurabile in questa sede, ha accertato che erano emerse incongruenze sulla base della circostanza che i soci, nel periodo interessato, non avevano dimostrato di possedere redditi significativi, congrui con i versamenti effettuati in favore della società.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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