Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14965 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/06/2017, (ud. 06/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23261-2015 proposto da:

I.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI,

49, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RICCIONI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616/40/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dei LAZIO SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il

13/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/04/2017 dal Consigliere Dott, GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.C. propone ricorso per cassazione, notificato nel settembre 2015, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 616/40/2012, depositata in data 13/11/2012, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento “(OMISSIS)” emesso, a carico del contribuente, in qualità di legale rappresentante e socio della società di fatto ” C.M. ed I.C.”, esercente attività di impresa edile, per maggiore IRPEF dovuta in relazione all’anno d’imposta 2000,, a titolo di reddito di partecipazione, a fronte della contestazione di ricavi non dichiarati della società di fatto, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per assenza di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 34.

2. Preliminarmente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Questa Corte ha, di recente, ribadito che “il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, nè requisito di efficacia” (v. Cass.7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003).

E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. art. 153 c.p.c., comma 2, a seguito della L. n. 69 del 2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo, Cass.12544/2015; Cass.8715/2014; Cass. 3277/2012).

Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria ai appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr. Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013, che, subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto da D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione dell'”ignoranza del processo” dovendo la parte fornire prova di “non averne avito alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza”), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, nè tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”.

Nella specie, il ricorrente, nel corpo del ricorso per cassazione, deduce che il difensore-domiciliatario in appello, Dr. M.C., era stato, nelle more di quel giudizio, sospeso dall’esercizio della professione dall’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di appartenenza e chiede, non essendo venuto a conoscenza della sentenza, di essere rimesso in termini.

Oltre a quanto sopra detto, va ribadito (Cass 20474/2011) che, nel giudizio tributario, l’elezione di domicilio è solo eventuale e può essere effettuata presso qualunque soggetto, non necessariamente presso il difensore, con la conseguenza che, anche ove effettuata presso quest’ultimo, essa non viene meno con l’estinzione del rapporto professionale o con la cancellazione dall’albo del domiciliatario, il quale conserva i poteri-doveri connessi alla funzione, salvo diverse determinazioni desumibili dall’atto di elezione. La notifica dell’avviso di trattazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 31 e la comunicazione del dispositivo della sentenza, ex art. 37, comma 2 del decreto citato, effettuate dalla Segreteria della C.T.R. (come dedotto dalla controricorrente), nel domicilio eletto, conservavano pertanto validità ed efficacia (ma, in ogni caso, trattasi di circostanze non rilevanti ai fini della tempestività dell’impugnazione).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso, per sua tardiva proposizione.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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