Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14964 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/06/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 22/06/2010), n.14964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 631/2006 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO 20,

presso lo studio dell’avvocato DELFINI Francesca, che lo rappresenta

e difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1268/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. SIMONETTA SOTGIU;

udito per il resistente l’Avvocato DE STEFANO, che si riporta agli

scritti;

udito il P.M., in persona dl Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.G. ha proposto opposizione avverso l’ingiunzione 25 ottobre 1996 con cui l’Ufficio della Dogana di Verona richiedeva il pagamento di complessive L. 4.654.310.620 per IVA evasa in una serie di illecite importazioni di materiali ferrosi effettuate dalle società Syrton s.r.l. ed Euromec sas in concorso col F., che aveva patteggiato la pena, come da sentenza penale del GIP di Milano 14/12/95.

Il F. sosteneva di aver corrisposto regolarmente l’IVA alle due società, che non l’avevano invece versata, ma che tale omissione non poteva essere addebitata al cessionario.

La Corte d’Appello di Venezia ha rigettato con sentenza 2 agosto 2005 l’appello del F. avverso la sentenza di primo grado, affermando che la responsabilità dell’appellante emergeva dalla sua partecipazione alle operazioni di omessa fatturazione delle società suindicate (che avevano usufruito del regime di sospensione d’imposta, creato con false esportazioni), così come ammesso dallo stesso F., in sede di interrogatorio, nel procedimento penale in cui aveva patteggiato la pena. Ed anche se la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. non è assistita dall’efficacia di giudicato,la stessa può essere utilizzata, secondo la Corte veneta, dal giudice tributario come valido elemento di prova nel giudizio di legittimità dell’accertamento; nella specie, nel corso del giudizio di primo grado – alcuni testi già sentiti in sede penale – avevano confermato il contenuto delle deposizioni rese, al fine della ricostruzione dei fatti contestati nel giudizio tributario,introdotto correttamente da un’ingiunzione la quale, pur non costituendo attualmente atto destinato alla riscossione coattiva, conserva la natura di accertamento del merito della pretesa dell’Amministrazione.

F.G. ha chiesto la cassazione di tale sentenza sulla base di quattro motivi.

L’Agenzia delle Dogane resiste con controricorso e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, oltrechè per omessa motivazione, e si sostiene la carenza di legittimazione del ricorrente in ordine alla richiesta del pagamento di un tributo che poteva essere richiesto soltanto alle due società che non avevano versato l’IVA e non al F., che l’aveva correttamente corrisposta, non avendo la sentenza impugnata, chiarito la “ratio ” giuridica dell’obbligo imposto al F. di pagare un tributo evaso da soggetti diversi.

Col secondo motivo, si sostiene che la sentenza impugnata ha violato l’art. 445 c.p.p. perchè, con motivazione viziata, ha fondato la responsabilità del ricorrente su una sentenza di patteggiamento, che non implica di per sè nè la responsabilità nè l’ammissione di fatti controversi per cui non può dalla stessa trarsi la esclusiva prova della sussistenza dei fatti costituenti l’illecito. Il giudice tributario avrebbe dunque fondato su circostanze non univoche la prova della responsabilità del F., tratta da una sentenza che non ha accertato i fatti.

Col terzo motivo si adduce violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 82, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata che avrebbe ritenuto legittima un’ingiunzione abrogata dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130 e quindi inammissibile ed illegittima per carenza di potere.

Col quarto motivo si censura infine la sentenza impugnata perchè con motivazione viziata, avrebbe escluso la violazione del principio di doppia imposizione rispetto alla richiesta di pagamento, da parte del ricorrente, di un tributo che egli aveva già corrisposto.

Il primo motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha infatti individuato la responsabilità del F. nelle sue ammissioni, rese in sede penale, di concorso alla attuazione di un disegno criminoso volto alla creazione di false importazioni per poi beneficiare del regime di sospensione d’imposta (sent. imp. pg. 6) da parte delle due Società, che avevano fatturato la merce al F.. Non è quindi nell’art. 17 della normativa IVA che va ricercata la soggettività passiva del ricorrente nei confronti dell’imposta (riferita da tale norma ai soggetti che cedono beni o servizi), ma nell’art. 38 della legge doganale (D.P.R. n. 43 del 1973) che obbliga al pagamento dell’imposta tutti coloro per i quali la merce è stata importata o esportata, nonchè nell’art. 222 del codice doganale comunitario che considera partecipi alla illecita introduzione della merce nel territorio doganale comunitario tutti coloro che sapevano o dovevano sapere che la importazione era irregolare, fattispecie riscontrabile allorchè venga creato à fini IVA un falso “plafond” idoneo a consentire all’importatore di agire in sospensione dell’imposta.

Il secondo motivo è anch’esso infondato.

La sentenza penale di patteggiamento non ha invero efficacia di giudicato, ma contiene pur sempre un’ipotesi di responsabilità (Cass. 23906/2007) in relazione ai fatti che hanno dato luogo a quel giudizio; e di tali fatti ha tenuto conto, nella formazione del proprio convincimento la sentenza impugnata, la quale fa riferimento sia ad atti del procedimento penale prodotti dall’Amministrazione, sia a deposizioni di testimoni ascoltati in sede penale, che hanno confermato le loro dichiarazioni nel giudizio tributario di primo grado. Trattasi di accertamento di merito,ampiamente giustificato sul piano motivazionale, e quindi non censurabile in questa sede.

E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso.

Infatti l’ingiunzione fiscale , che, prima della riforma del sistema di riscossione di cui al D.P.R. n. 43 del 1988, cumulava in sè la duplice funzione e natura di titolo esecutivo, unilateralmente formato dalla P.A. nell’esercizio del suo potere di autoaccertamento, e di atto prodromica all’inizio dell’esecuzione, ha perduto, a seguito di tale riforma, tale funzione, della quale permane tuttavia la natura accertativa nel titolo in cui è consacrato il credito dell’Amministrazione (Cass. 10496/02).

Anche il quarto motivo è infondato, perchè non viene richiesto al F. il pagamento dell’IVA già assolta, ma la corresponsione, in solido con le due società importatrici del tributo da queste ultime non corrisposto, avendo le stesse fruito, con il concorso del F., del regime di sospensione d’imposta.

Il concorso va pertanto integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente nelle spese, che liquida in complessivi Euro 18.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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