Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14964 del 01/07/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 6 Num. 14964 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 16595-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE,
TRIOLO VINCENZO giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro

DE SANTO TOMMASO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 4490/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI dell’i /10/2010, depositata il 04/10/2010;

Data pubblicazione: 01/07/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Matano Giuseppe (delega avvocto Coretti) difensore
del ricorrente che si riporta al ricorso.

1. – Con ricorso al Tribunale di Lucera Tommaso De Santo,
operaio agricolo a tempo determinato, conveniva in giudizio l’INPS
chiedendo che venisse accertato il proprio diritto alla liquidazione d’un
maggior importo di trattamento di disoccupazione agricola che
includesse, nella relativa base di calcolo, anche la voce denominata
‘quota di TFR”.
La Corte d’appello di Bari, con pronuncia n. 4490/10, rigettava
l’appello dell’INPS.
2.

— Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale

ricorre l’INPS, affidandosi a due motivi.
2.1. — Parte intimata è rimasta tale.
3.

— Con il primo motivo di ricorso l’INPS si duole di violazione e

falsa applicazione dell’art. 47 d.P.R. n. 639/70, nel testo risultante dalle
successive modifiche, per avere la Corte territoriale negato
l’applicabilità del regime di decadenza in esso previsto alle domande di
riliquidazione di prestazioni previdenziali già riconosciute.
3.1. — Con il secondo motivo di ricorso l’istituto lamenta violazione
dell’art. 18 co. 18, d. 1. n. 98/2011, convertito con modificazioni in
legge n. 111/2011, nonché degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL operai
agricoli e florovivaisti del 10.7.2002 in relazione all’art. 6, co. 4, lett. a),
d.lgs. n. 314/97, e all’art. 3 d.l. 14.6.96 n. 318, convertito in legge
29.7.96 n. 402, nonché in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., 2120 c.c. e
all’art. 4, commi 10 e 11, legge n. 297/82, censurando la sentenza per
Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-2-

Fatto e diritto

avere incluso, nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione agricola, anche la voce denominata
“quota di TFR”.
4. — Il primo motivo di ricorso è infondato.

Si premetta che l’originario testo dell’art. 47 d.P.R. 30.4.70 n. 639

proposta l’azione dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod.
proc. civ.. L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni
dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai
competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la
pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di
trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date
di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a
carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la
disoccupazione involontaria”.
Tali termini erano stati ritenuti dalle S.U. di questa S.C. (Cass. S.U.
21.6.90 n. 6245) di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a
dire finalizzata unicamente a delimitare l’efficacia temporale della
condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall’attivazione e dall’esaurimento del procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 d.l. 29.3.91 n. 103, convertito con modificazioni
in legge 1 0.6.91 n. 166, ritenuto da Corte Cost. n. 246/92 di
interpretazione autentica del cit. art. 47, venne poi stabilito:
“1 – I termini previsti dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, commi 2 e 3
sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione
previdenziale. la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle
prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In

Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-3-

stabiliva quanto segue: ‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere

caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono
dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 – Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non
si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore de/presente
decreto”.

art. 47 sono stati sostituiti dai seguenti:
“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può
essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di
comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi
dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della
predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per
l’esaurimento de/procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di
prestazioni della gestione di cui alla L 9 marzo 1989, n. 88, art. 24 l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno
dalle date di cui al precedente comma”.
L’art. 4, u.c. ha poi stabilito che le disposizioni indicate “non si applicano
ai procedimenti istaurati anteriormente alla data-di entrata in vigore de/presente
decreto ancora in corso alla medesima data”.
Infine, l’art. 38 co. 1, lett. d), del d.l. 6.7.2011 n. 98, convertito in legge
n. 111/2011, ha aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del
seguente tenore: `Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano
anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni
riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il
termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero
dal pagamento della sorte”, precisando al quarto comma che “le disposizioni
di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano anche ai giudizi pendenti in primo
grado alla data di entrata in vigore de/presente decreto”.
Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-4-

Successivamente, con l’art. 4 d.l. 19.9.92 n. 384, i commi 2 e 3 del cit.

Tale essendo il quadro di riferimento normativo, da ultimo la
giurisprudenza (cfr., ad es., Cass. 20.1.2010 n. 948 e 26.1.2010 n. 1580),
sulla base di Cass. S.U. 29.5.09 n. 12720, che ribadisce le tesi della
precedente Cass. S.U. 18.7.96 n. 6491) era, per quanto qui interessa e
fino alla citata recente novella del 2011, nel senso dell’inapplicabilità

previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente
previdenziale.
La cit. sentenza del 29.5.2009 n. 12720 aveva affermato che `La

decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato
dal D.L 29 maqo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L 1
giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la
domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
La questione era stata nuovamente rimessa dalla Sezione lavoro, con
ordinanza interlocutoria 18.1.2011 n. 1071, alle S.U., sulla base del
rilievo che l’interpretazione prevalente non appariva giustificata dal
tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma,
riguardante ogni tipo di azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle S.U. della
Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di
cui all’art. 38 comma 1, lett. d), d.l. 6.7.2011 n. 98, è stata quindi
disposta la restituzione degli atti alla Sezione lavoro, in considerazione
della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della
Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-5-

della decadenza alle domande di adeguamento di prestazioni

questione le S.U., alla luce della valutazione dell’eventuale incidenza
delle norme di legge citate sull’interpretazione dell’art. 47 vigente prima
di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina,
esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con

consolidatasi per effetto delle pronuncia delle S.U. del 2009, conferma
indirettamente la corrispondenza di quest’ultima all’originario
contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle S.U. della Corte e
l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso
legislatore militano, in definitiva, per l’inapplicabilità del cit. art. 47,
prima delle integrazioni apportate dall’art. 38 d.l. n. 98/2011, all’ipotesi
di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo
parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
In tal senso si è da ultimo pronunciata questa S.C. (v. sentenze 8.5.12
n. 6959, 9.5.12 nn. 7083, 7084, 7085, 7086, 7087, 7088, 7089, 7090,
7095, 10.5.12 nn. 7123, 7124 ed altre ancora).
Peraltro l’ art. 38, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’arti , comma 1, della legge n. 111 del 2011,norma è
stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 69 del 2014 proprio
con riguardo alla sua, seppur limitata, portata retroattiva in quanto in
violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., si cagiona un vulnus al
principio dell’affidamento, nella parte in cui prevede che le disposizioni
di cui al comma 1, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in
primo grado alla data di entrata in vigore del decreto.
4.1. — Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato, alla
stregua della ormai consolidata giurisprudenza di questa S.C. (v., da
ultimo, Cass. n. 202/2011 e numerose altre conformi alla precedente
Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-6-

una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale

sentenza n. 10546/07), secondo cui, ai fini della liquidazione delle
prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione
definita dalla contrattazione collettiva da porre a confronto con il
salario medio convenzionale, ex art. 4 d.lgs. n. 146/97, non comprende
il trattamento di fine rapporto.

voce denominata ‘quota di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire
da quello del 27.11.1991 va esclusa dal computo dell’indennità di
disoccupazione, in ragione della volontà espressa dalle parti stipulanti,
volontà che è vietato disattendere ai sensi dell’art. 3 d.l. 14.6.96 n. 318,
convertito con modificazioni in legge 29.7.96 n. 402, a norma del
quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli
accordi collettivi non può essere individuata in difformità rispetto a
quanto definito negli accordi stessi.
4.2. — La summenzionata giurisprudenza di questa S.C. ha, poi, trovato
esplicito avallo nel d.l. 6.7.2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in
legge 15.7.2011 n. 111, contenente all’art. 18, comma 18, una norma di
interpretazione autentica dell’art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146, in forza del
quale detta previsione normativa si interpreta nel senso che la
retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore
degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva della
voce relativa al trattamento di fine rapporto, comunque denominato
dalla contrattazione collettiva.
5. – Per tutto quanto sopra considerato, il ricorso deve essere accolto
quanto al secondo motivo di ricorso mentre il primo motivo deve
essere rigettato.
La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può
essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 comma 2 c.p.c. e la
Ric. 2011 n. 16595 sez. ML – ud. 12-05-2014
-7-

4.1. — Tale principio merita di essere ribadito anche in questa sede. La

domanda di inclusione nella base di calcolo dell’indennità di
disoccupazione agricola della quota di tfr deve essere rigettata.
L’evoluzione complessiva della disciplina ed i recenti interventi della
Corte costituzionale determinano il collegio a compensare tra le parti

PQM
LA CORTE
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo. Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accoltole decidendo nel
merito rigetta la domanda di inclusione della quota di tfr nella base di
calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola chiesta. Compensa tra
le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 12 maggio 2014

DEPOSITATO IN CMCCIAIRIA

le spese dell’intero processo.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA