Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14963 del 07/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/07/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 07/07/2011), n.14963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21367/2007 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA N.

74, presso lo studio dell’avvocato DE MARINIS Nicola, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRANTE STEFANO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DIEMME INDUSTRIA CAFFE’ TORREFATTI S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 22799/2007 proposto da:

DIEMME INDUSTRIA TORREFATTI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PASUBIO 4, presso lo studio dell’avvocato DE SANCTIS MANGELLI

SIMONETTA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MORO

GIANCARLO, FERRATA MARSILIO, SPIGA GAVINO, CONSOLO CLAUDIO, giusta

delega in atti;

– controicorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 326/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/08/2006 R.G.N. 287/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO per delega FERRANTE STEFANO; udito

l’Avvocato CONSOLO CLAUDIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6/6 – 9/8/06 la Corte d’Appello di Venezia rigettò sia l’appello principale che quello incidentale proposti rispettivamente da B.S. e dalla Diemme Industria Caffè Torrefatti s.p.a avverso la sentenza n. 290/03 del Tribunale di Padova con la quale, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria formulata dalla società datrice di lavoro, il predetto dipendente era stato condannato al pagamento della somma di L. 2.792.540.999, oltre che agli accessori di legge ed a 3/4 delle spese di lite, e compensò interamente tra le parti le spese del grado.

Dopo aver respinto il motivo preliminare formulato dall’appellante principale in ordine alla eccepita incompetenza del giudice del lavoro, la Corte territoriale spiegò che correttamente il primo giudice aveva interpretato la delibera di conferimento dei poteri spettanti al medesimo B., il quale aveva esorbitato i relativi limiti in materia di gestione del personale, provvedendo arbitrariamente ad operare in favore suo e di diversi dipendenti dei miglioramenti, sia retributivi che di inquadramento professionale, con danno della società, seppure in misura inferiore a quella denunziata. Anche l’appello incidentale della società si era rivelato infondato, in quanto correttamente il primo giudice aveva ritenuto che la domanda risarcitoria non comprendeva i costi riferibili alla contribuzione volontaria; inoltre, non era stato oggetto di specifica impugnazione l’accertamento della insussistenza di una responsabilità del B. per il periodo antecedente all’1/1/90 e non era stata adeguatamente provata la responsabilità di quest’ultimo per i denunziati ammanchi di cassa e per i praticati trattamenti economici riconducibili a ferie e permessi.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il B., affidando l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso la Diemme Industria Torrefatti S.p.a la quale propone, a sua volta, ricorso incidentale e deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Col primo motivo del ricorso principale il B. denunzia la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 40 c.p.c. e dell’art. 144 ter disp. att. c.p.c., con riferimento agli artt. 2393, 2104 e 2105 c.c., adducendo che la sentenza è errata nella parte in cui ritiene la competenza del giudice del lavoro per la prevalenza del rito speciale, in quanto non si era considerato che le domande formulate dalla società nei suoi confronti attenevano alla sua qualità di amministratore e non di dipendente, tanto che gli era stata addebitata una generica “mala gestio” nell’esecuzione dei propri doveri di amministratore della compagine societaria.

Il motivo si conclude col seguente quesito: “E’ vero che le controversie tra un amministratore e la società sono soggette alla competenza del giudice ordinario benchè l’amministratore rivesta anche la qualifica di lavoratore dipendente, se l’oggetto della controversia attiene alle materie di cui alla delega e quindi estranee al rapporto di lavoro subordinato?”.

Il motivo è inammissibile.

Invero, contrariamente alla motivazione di rigetto elaborata dal giudice d’appello, il quale ha dato rilievo al concetto di prevalenza del rito speciale su quello ordinario, si osserva che, in realtà, la questione della competenza del giudice del lavoro non era stata fatta oggetto di specifica censura con l’atto d’appello, tanto che la Corte territoriale rileva che la stessa era stata tardivamente proposta sotto forma di eccezione dal nuovo difensore dell’appellante con la sua memoria di costituzione, per cui ne consegue che è dirimente la circostanza del formarsi del giudicato sul punto.

2. Col secondo motivo si deduce la errata e falsa applicazione dell’art. 2393 c.c.. In particolare si sostiene che la sentenza impugnata è ingiusta nella parte in cui ritiene che la rinuncia ad ogni azione di responsabilità espressa da tutti i soci della Diemme s.p.a a favore del B. non era valida a causa della mancanza di una delibera assembleare. Si chiede, pertanto, di accertare se è vero che la rinuncia all’azione di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c., nei confronti dell’amministratore non necessiti di espressa delibera assembleare nelle ipotesi in cui la stessa sia stata manifestata preventivamente da tutti i soci rappresentanti l’intero capitale sociale.

Il motivo è infondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. sez. 1^, n. 10869 dell’1/10/99), “a norma dell’art. 2393 cod. civ., compete esclusivamente all’assemblea dei soci il potere di deliberare sia il promovimento dell’azione sociale di responsabilità sia la rinuncia all’esercizio di tale azione, sia la transazione; pertanto, la rinuncia o la transazione effettuata dal nuovo amministratore (o dal legale rappresentante della società) senza la preventiva delibera assembleare è affetta non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell’atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di capacità a contrattare, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio; la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti (nella specie la S.C. ha annullato la decisione di merito secondo cui la sottoscrizione di un accordo da parte di tutti i soci costituiva manifestazione della volontà, equiparabile ad una delibera assembleare, di ratificare l’operato del legale rappresentante).” (in senso conforme v. anche Cass. Sez. 1^, n. 9901/07).

3. Col terzo motivo il B. si duole della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Anzitutto, si sostiene che un primo errore della motivazione sarebbe consistito nella valutazione del contenuto della delibera dalla quale esso ricorrente mutuava i poteri di amministrazione, valutazione che aveva condotto la Corte a ritenere che egli aveva ecceduto dai propri compiti nell’eseguire gli atti ritenuti pregiudizievoli agli interessi societari. Sostiene, quindi, il ricorrente che tali compiti erano alquanto ampi ed erano da intendersi, per esclusione, come tutti quelli relativi alla gestione del personale che non rientravano nella competenza del Consiglio, le cui prerogative in materia erano state, invece, tassativamente prefigurate.

Tale rilievo è infondato.

Invero, dalla lettura del contenuto della delibera di cui trattasi, riportato nel presente ricorso, si ricava agevolmente che l’interpretazione della stessa da parte del giudice d’appello è corretta, posto che il B. aveva poteri di firma, oltre che di conferimento e revoca di incarichi per mandati di agenzia, ma sempre soggetti a controllo del consiglio al quale egli aveva obbligo di riferire nell’ambito dei suoi poteri di proposta. La delibera prevedeva, inoltre, come giustamente evidenziato nella sentenza impugnata, che restavano di competenza del Consiglio di amministrazione i poteri di vigilanza, di controllo, di assunzione e di licenziamento dei dipendenti, per cui non è condivisibile la tesi del ricorrente sull’esistenza di una presunta delimitazione rigorosa delle attribuzioni consiliari e di riconducibilità, per esclusione, di tutto ciò che non vi rientrava nelle competenze della sua opera di amministratore che, al contrario, era limitata al conferimento di incarichi e all’adozione di provvedimenti di revoca nei confronti di coloro che intessevano rapporti di agenzia con la società.

Nè appare ammissibile il tentativo di rivisitazione delle risultanze testimoniali svolto dal ricorrente al fine di supportare la tesi qui sostenuta dell’ampiezza dei poteri conferitigli, posto che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (v. in tal senso ex plurimis Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/2004) Inoltre, è stato correttamente evidenziato nella sentenza impugnata che anche il riferimento da parte del ricorrente all’esistenza di eventuali prassi derogatorie in favore dei suoi poteri di amministratore non poteva superare la necessità della formale ratifica del consiglio di amministrazione, così come le relazioni accompagnatorie dei bilanci non potevano ritenersi equipollenti alla ratifica degli atti compiuti in assenza dei relativi poteri. D’altra parte la specificità delle causali dei vari aumenti e dei migliori trattamenti concessi dal B. esigeva necessariamente una previa ratifica da parte del consiglio di amministrazione che non poteva essere messo innanzi al fatto compiuto di un bilancio, da approvare nella sua complessità, nelle cui pieghe potevano celarsi spese non autorizzate.

Infine, quanto alla lamentata omessa decisione sulla riforma della condanna al pagamento delle somme di L. 19.425.915 e di L. 4.421.750 per esborsi ingiustificati, doglianza, questa, trattata al termine dell’illustrazione del terzo motivo, si osserva che la stessa non è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, cioè come vizio di omessa pronunzia in conformità al tenore della relativa censura, bensì come vizio motivazionale riconducibile ad una erronea valutazione delle risultanze istruttorie, tra le quali quella sulle risultanze peritali di prime cure, per cui sotto tale aspetto non può non cogliersi un motivo di inammissibilità della doglianza stessa.

In definitiva il ricorso principale va rigettato.

Quanto al ricorso incidentale, attraverso il quale viene denunziata l’erronea applicazione dell’art. 346 c.p.c., con riferimento alla dedotta tardività dell’eccezione di incompetenza del giudice del lavoro da parte del nuovo difensore dell’appellante, si osserva che lo steso è inammissibile: invero, come chiarito da questa Corte in premessa, una tale questione non va risolta alla luce della tardività del suddetto rimedio difensivo, bensì alla stregua della circostanza dirimente del formarsi del giudicato sul punto per mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, nel ricorso d’appello, avverso la espressa statuizione adottata dal primo giudice in ordine alla sua competenza.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza sostanziale del ricorrente principale e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 50,00 per esborsi e di Euro 5000,00 per onorario, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011

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