Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14962 del 14/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 14/07/2020), n.14962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

T.A., rappr. e dif. dall’avv. Massimo Gilardoni del foro di

Brescia, elett. dom. presso il suo studio in Brescia, via Vittorio

Emanuele II, n. 109, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in

Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– controricorrente –

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Catanzaro 28.02.2019, n.

439/2019, R.G. 1892/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Ferro Massimo alla camera di consiglio del 2.7.2020

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. T.A. impugna la sentenza App. Catanzaro 28.02.2019, n. 439/2019, R.G. 1892/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Catanzaro 9.10.2017, a sua volta dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso contro la decisione della Commissione territoriale di Crotone che aveva negato accoglimento alla domanda di protezione internazionale (status di rifugiato politico o protezione sussidiaria) e della protezione umanitaria;

2. la corte ha ritenuto che: a) il provvedimento della Commissione territoriale di Crotone era stato notificato il 21.07.2016 e dunque prima del 17.08.2017, data di vigenza delle modifiche di cui al D.L. n. 13 del 2017, conseguendone la tempestività del ricorso giurisdizionale al primo giudice e perciò, sul punto, la fondatezza del motivo d’appello; b) nel merito, non sussistendo ipotesi di rimessione al tribunale, correttamente non era stata disposta l’audizione del richiedente protezione, non strettamente necessaria atteso che il ricorrente era stato sentito dalla Commissione territoriale di Crotone, e in quella sede posto nelle condizioni di riferire ogni circostanza utile; c) le dichiarazioni del richiedente non risultavano credibili poichè connotate da assoluta genericità e contraddizioni, in ogni caso facendo difetto rischi sia di persecuzione che di danno grave; d) quanto alla situazione del Pakistan, ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), dalle fonti internazionali consultate non emergevano rischi elevati per l’incolumità e la vita nella zona di Gujrat, del Punjab, quella di provenienza del richiedente, stante l’assenza di un conflitto armato; e) non emergeva infine una condizione di vulnerabilità con riguardo all’impossibilità di procurarsi quanto necessario per soddisfare i bisogni primari di vita nel caso di rientro in Pakistan, il Paese di provenienza;

3. il ricorso è su due motivi; ad esso si oppone il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si censura, anche come vizio di motivazione, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, degli artt. 2, 3 CEDU, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,6,7 e 14, avendo la sentenza “escluso la protezione sussidiaria nel silenzio assoluto sulla situazione generale della Nigeria” e omesso di considerare la condizione di vulnerabilità personale discendente dalla situazione nel Paese di provenienza e “nei Paesi di permanenza avuto riguardo alla Libia”; il secondo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, per aver negato la protezione umanitaria e poi richiama il vizio di un’omessa audizione del richiedente;

2. il primo motivo è inammissibile, già per l’assortimento di elementi di critica non cumulabili, trattandosi di “sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili” (Cass. 26874/2018); inoltre si fa riferimento ad un Paese diverso (Nigeria), a circostanze completamente differenti da quelle assunte dalla corte a suffragio del proprio giudizio di non attendibilità del richiedente, infine invocando fonti alternative ma omettendo di svolgere una critica specifica a quelle, plurime e approfondite, utilizzate dalla corte;

3. va così ripetuto che “il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dallo stesso D.Lgs., art. 14, con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine” (Cass. 15794/2019);

4. la stessa censura si è risolta peraltro in una mera e inammissibile critica sulla motivazione, ai sensi di Cass. s.u. 8053/2014, avendo oltretutto la corte preso in esame la situazione del Pakistan e negato, con riguardo all’intero territorio del Punjab e poi, in particolare, il distretto di provenienza, Gujrat, la sussistenza del requisito di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), indicando le fonti consultate; in ogni caso e circa il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, rileva in tema l’orientamento per cui: “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019);

5. quanto al secondo motivo, se ne osserva sia la genericità, sia la altrettanto inammissibile eterogeneità, laddove viene svolta una critica circa l’omessa audizione del ricorrente, senza riportare in nessun modo le specifiche istanze rivolte al giudice dell’appello e la ritualità della loro inserzione in giudizio; con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018) si può ripetere, inoltre, che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; nella specie, è del tutto mancata una trascrizione almeno per punti essenziali delle circostanze personali, pretesamente trascurate, che avrebbero fondato un giudizio positivo di vulnerabilità; la corte ha invero fatto corretta applicazione del principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, avendo al riguardo la sentenza censurato il limite di allegazione e produzione degli elementi a sostegno della domanda D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3 comma 1, da cui dipende la disamina stessa della vulnerabilità invocata e, nello specifico, trattato ed escluso che i fattori soggettivi ed oggettivi dedotti fossero sufficienti; il ricorso ha omesso, come anticipato, di riportare in modo specifico eventuali altre circostanze non trattate, indicando dove, come e quando di esse era stata fatta rappresentazione nel giudizio di merito, limitandosi ad un generico richiamo a documenti, citati ma non riassunti nei loro termini essenziali, così come dichiarazioni omesse e non raccolte per fatti nuovi, in decisivo raffronto con la pretesa omissione o erroneità nel rilievo da parte del tribunale ovvero una qualche giustificazione di tardività già fatta rilevare e giustificare in giudizio; potendosi allora confermare che l’odierna censura è inammissibile anche per genericità e perchè si risolve in un dedotto vizio di motivazione, oltre il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; nè, in ogni caso, l’integrazione sociale – si aggiunge – impone invero alcun automatismo tra rivendicata permanenza nello Stato di accoglienza per via dell’inserimento conseguito e generica asserzione del sacrificio dei diritti conseguente al rimpatrio, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020) e quelli per la condanna alle spese, determinate secondo soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2020

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