Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14957 del 20/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/07/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 20/07/2016), n.14957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10139/2011 proposto da:

C.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato UGO

RUFFOLO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI, 12 ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 232/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/04/2010 r.g.n. 830/2009;

udita la relazione lena causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato MOSCATELLI CARTONI PIERA per delega Avvocato RUFFOLO

UGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Dott. C.R., dirigente medico presso l’Ospedale civile di (OMISSIS), contestualmente a tale attività ha prestato servizio presso gli Istituti Penitenziari. Premessa la piena compatibilità tra le due attività rese in contemporanea, il C. ha adito il Giudice del lavoro lamentando la mancata percezione, per l’attività svolta in favore degli istituti penitenziari (e, precisamente, della Casa circondariale di (OMISSIS) e della Casa di reclusione di (OMISSIS)), dell’indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità per i periodi successivi al conseguimento dell’incarico di dirigente medico presso l’Ospedale di (OMISSIS) ed ha evocato in giudizio il Ministero della Giustizia al fine di ottenere il pagamento di tali emolumenti, che assumeva dovuti ai sensi della L. n. 740 del 1970, art. 39, non essendo invocabile il divieto di cumulo legislativamente previsto in relazione alle singole indennità. A fondamento di tale assunto, ha dedotto che l’attività di medico incaricato presso gli istituti di prevenzione e pena ha carattere di prestazione d’opera libero-professionale coordinata e continuativa prestata in regime di para-subordinazione e non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.

2. Il Tribunale di Alessandria ha rigettato il ricorso, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Torino che, richiamata la sentenza n. 9046/2006 della Corte di cassazione, ha osservato che la L. n. 740 del 1970, art. 2, nel disporre l’inapplicabilità ai medici incaricati delle norme relative alla incompatibilità ed al cumulo di impieghi, va inteso come riferibile solo a limitazioni dell’incarico e non invece a specifici aspetti economici, quali le condizioni ed i limiti di godimento di singole indennità. La L. n. 740 del 1970, stesso art. 39, che attribuisce ai medici incaricati il diritto ad entrambi i compensi, fa espresso riferimento, per quanto riguarda l’indennità integrativa speciale, della L. n. 324 del 1959, art. 1 e, relativamente alla 13.ma mensilità, al D.Lgs. n. 263 del 1946, norme queste che esplicitamente escludono la doppia fruizione in caso di cumulo di impieghi.

3. Per la cassazione di tale sentenza il Dott. C. propone ricorso affidato a tre motivi. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e vizio di motivazione in relazione alla L. n. 740 del 1970, art. 2, e per errata applicazione della sentenza di questa Corte n. 9046/2006. Il secondo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 740 del 1970, art. 39. Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 324 del 1959, art. 1 e del D.Lgs. n. 263 del 1946, art. 7, sui presupposti per l’applicabilità dei divieti di cumulo; con lo stesso motivo si denuncia illegittimità costituzionale delle predette norme come interpretate dalla Corte di appello.

2. I motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto involgenti profili di connessione. Gli stessi sono infondati alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che si è pronunciata su entrambe le questioni con recenti sentenze.

3. In ordine all’indennità integrativa speciale, Cass. n. 17092 del 21/07/2010 ha esaminato una fattispecie, analoga a quella in esame, in cui il medico incaricato presso una casa circondariale rivendicava il diritto all’indennità integrativa speciale, pur se svolgeva contemporaneamente attività di dirigente medico presso una ASL. I giudici di merito avevano accolto la domanda sul presupposto che il medico incaricato, in tale veste, non era un lavoratore subordinato (ossia un pubblico dipendente), e, pertanto, per lui non valevano le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi, nè alcun’altra norma relativa agli impiegati dello Stato. Nel cassare la sentenza impugnata, questa Corte ha affermato che, ai sensi della L. n. 740 del 1970, art. 39, l’indennità integrativa speciale spettante ai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena è soggetta ai limiti previsti della L. n. 324 del 1959, art. 1, richiamati dal predetto art. 39 che regola il rapporto libero-professionale parasubordinato dei sanitari presso tali strutture, con la conseguenza che essa compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole nei casi in cui sia consentito il cumulo di impieghi.

3.1. Con tale pronuncia, alla quale questo Collegio intende dare continuità, è stato osservato, in sintesi, quanto segue:

– le prestazioni rese, secondo le modalità previste dalla L. n. 740 del 1970, dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d’opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione (v. Cass. S.U. 17-12-1998 n. 12618, Cass. 20-5-2003 n. 7901); trattasi, però, di rapporto libero-professionale parasubordinato del tutto peculiare, che trova la sua fonte normativa unicamente nel complesso delle disposizioni contenute nella L. n. 740 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni le quali si pongono come norme speciali che lo disciplinano interamente;

– l’art. 2 della citata legge stabilisce che “…Ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi nè alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato. A tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività nell’ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale (quest’u.c. è stato aggiunto dal D.L. n. 187 del 1993, art. 6, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione)”;

– l’inapplicabilità delle norme relative alla incompatibilità ed alle limitazioni dell’incarico è fondata sulla “particolare penosità del servizio prestato dai sanitari addetti agli istituti penitenziari”, la quale, però, non giustifica che all’effettivo godimento di questo beneficio (svolgimento di altro incarico, incompatibile per altri) si riconoscano benefici aggiuntivi, in ordine a specifici aspetti economici, condizioni e limiti di godimento di singole indennità (cfr. Cass. 19-4-2006 n. 9046, con riferimento alla “indennità di piena disponibilità”);

– la L. n. 740 del 1970, art. 39, nel disciplinare le indennità spettanti, stabilisce che ai medici incaricati è attribuita l’indennità integrativa speciale nei “limiti previsti” dalla norma richiamata, ed in specie quello fissato dalla citata L. n. 324 del 1959, art. 1, comma 4 (“L’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole nei casi di consentito cumulo di impieghi”). Detto limite è quindi applicabile ai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena proprio in virtù della norma speciale e dell’evidenziato espresso richiamo, che, in sostanza, si pone come deroga rispetto al criterio generale fissato dall’art. 2 della citata legge.

4. Quanto alla tredicesima mensilità, Cass. n. 3782 del 09/03/2012 ha statuito che ai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena la tredicesima mensilità spetta nei limiti di cui al D.Lgs.C.P.S. n. 263 del 1946, richiamato della L. n. 740 del 1970, art. 39 e quindi, nel caso di cumulo di impieghi, spetta ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole, senza che, vertendosi in una ipotesi di rapporto di lavoro autonomo parasubordinato, ne sia violato l’art. 36 Cost., applicabile soltanto al lavoro dipendente.

4.1. Con tale pronuncia questa Corte ha richiamato i precedenti sopra menzionati, ritenendo che analogo discorso vale per la tredicesima mensilità, dal momento che la medesima L. n. 740 del 1970, dispone la spettanza della tredicesima mensilità “di cui al D.Lgs.C.P.S. 25 ottobre 1946” n. 263, il quale stabilisce che “nel caso di cumulo di impieghi consentito dalle vigenti disposizioni, spetta una sola gratificazione nella misura prevista per il grado più elevato rivestito negli impieghi cumulati”. Entrambi detti limiti sono quindi applicabili ai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena proprio in virtù della norma speciale.

5. Infine, la questione di legittimità costituzionale prospettata in ricorso per asserita violazione dell’art. 36 Cost., manifestamente infondata, perchè detta norma è applicabile solo al lavoro subordinato, mentre quello prestato dall’odierno ricorrente presso l’Amministrazione penitenziaria è di natura autonoma. Nè la questione può sollevarsi in relazione ad un presunto contrasto con l’art. 3 Cost., non avendo il ricorrente neppure indicato il tertium comparationis (Cass. 21645 del 2015).

6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016

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