Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14957 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/06/2017, (ud. 16/05/2017, dep.15/06/2017),  n. 14957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26431/2015 R.G. proposto da:

M.A. e P.A., rappresentati e difesi dall’Avv.

Carmelo Santoro, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore p.t. Avv.

F.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Cataldo,

con domicilio eletto in Roma, Lungotevere Marzio, n. 1, presso lo

studio del Prof. Avv. Francesco Macario;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 691/14

depositata il 6 ottobre 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio

2017 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. M.A. ed P.A. hanno proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 6 ottobre 2014, con cui la Corte d’appello di Messina ha accolto il gravame interposto dal curatore del fallimento della (OMISSIS) S.p.a. avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Messina il 12 marzo 2008, dichiarando inefficace, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67, comma 2, l’atto per notaio B.G. del (OMISSIS), con cui la società fallita aveva venduto agli appellati una villetta nel complesso edilizio denominato (OMISSIS).

Il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.

Il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata.

2. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, osservando che, oltre ad aver trascurato la mancata dimostrazione del rapporto di consequenzialità tra la dichiarazione di fallimento e la procedura di concordato preventivo che l’aveva preceduta, la sentenza impugnata ha desunto la conoscenza dello stato d’insolvenza da un unico elemento presuntivo, costituito dall’esistenza di due ipoteche giudiziarie per considerevoli importi iscritte sull’immobile venduto in virtù di decreti ingiuntivi emessi nei confronti della società debitrice, senza tener conto a) del carattere non definitivo di tali provvedimenti, b) della qualità soggettiva di essi acquirenti, c) dell’avvenuta consegna dell’immobile alla stipula del contratto preliminare, avvenuta cinque anni prima di quella del contratto definitivo, e del contestuale pagamento del prezzo, d) dell’assicurazione prestata dalla società debitrice in ordine alla cancellazione delle ipoteche, e) dell’esistenza di ulteriori iscrizioni a garanzia di finanziamenti ottenuti dalla società venditrice.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Nella parte riflettente l’omessa valutazione del rapporto di consequenzialità tra le procedure concorsuali, le censure proposte dai ricorrenti prospettano infatti una questione che non risulta esaminata nella sentenza impugnata, e non può quindi essere proposta in questa sede, implicando una indagine di fatto e non essendo stati indicati la fase e l’atto del giudizio di merito in cui sarebbe stata sollevata (cfr. Cass., Sez. 2, 22/04/2016, n. 8206; Cass., Sez. 3, 3/03/2009, n. 5070; Cass., Sez. I, 30/11/2006, n. 25546).

2.2. Nella parte concernente l’accertamento in via presuntiva del presupposto soggettivo della revocatoria, le censure eccedono invece l’ambito del sindacato riservato a questa Corte, sollecitando un nuovo apprezzamento circa il ricorso alla presunzione quale mezzo di prova e la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge ai fini della valorizzazione degli elementi indiziari, la cui valutazione, spettante al giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, nei ristretti limiti previsti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. 1, 18/04/2011, n. 8827; 5/12/2008, n. 28839; 20/11/2003, n. 17596). Nel porre in risalto ulteriori elementi, asseritamente trascurati dalla sentenza impugnata e contrastanti con le conclusioni cui la stessa è pervenuta, i ricorrenti si limitano peraltro ad affermare che la questione è stata ampiamente dibattuta sia in primo grado che in appello, senza precisare in quale fase ed in quale atto ciascuno dei predetti elementi sia stato sottoposto all’attenzione dei Giudici di merito, con la conseguenza che risulta impossibile qualsiasi riscontro in ordine alla veridicità del loro assunto.

Essi stessi richiamano d’altronde l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di presunzioni semplici, secondo cui gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purchè grave e preciso, in quanto il requisito della concordanza deve ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (cfr. Cass., Sez. 5, 29/07/2009, n. 17574; 11/09/2007, n. 19088; 26/03/2003, n. 4472). In quest’ottica, e con specifico riferimento alla revocatoria fallimentare, è stata riconosciuta valenza indiziaria, ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis, anche all’esistenza di una singola ipoteca giudiziale iscritta sul bene venduto, qualora, in virtù del rilevante importo del credito garantito e dell’espressa menzione contenuta nell’atto di compravendita, l’iscrizione risulti idonea a far supporre una conoscenza effettiva e non meramente potenziale dello stato d’insolvenza da parte dell’acquirente (cfr. Cass., Sez. I, 12/11/2013, n. 25379). A maggior ragione deve quindi ammettersi la correttezza del ragionamento inferenziale compiuto nella sentenza impugnata, la quale, accertato che l’immobile venduto risultava gravato da ben due ipoteche giudiziali, entrambe iscritte per notevoli importi, ha ravvisato nel richiamo delle stesse da parte dell’atto di compravendita un indice inequivocabile della conoscenza dello stato d’insolvenza. Nessun rilievo può riconoscersi, in contrario, alla impugnabilità dei decreti ingiuntivi in virtù dei quali erano avvenute le iscrizioni, non essendo stato dedotto che gli stessi siano poi stati effettivamente impugnati, e non consentendo tale circostanza di escludere la portata sintomatica delle iscrizioni, ai fini della quale non risulta affatto necessario che il credito garantito sia stato accertato in via definitiva. In ogni caso, le predette ipoteche non rappresentano l’unico fatto noto dal quale la sentenza impugnata è risalita alla scientia decoctionis, essendo state poste in collegamento con altri elementi significativi, quali l’esistenza di altre ipoteche, volontariamente iscritte a garanzia dei finanziamenti ottenuti dalla società fallita per la costruzione del fabbricato, ed il mancato completamento dello immobile, all’epoca della compravendita ancora privo del certificato di abitabilità. Irrilevante è infine la circostanza che il trasferimento abbia avuto luogo in adempimento di un contratto preliminare stipulato alcuni anni prima, in occasione del quale avrebbero avuto luogo anche la consegna dello immobile ed il pagamento del prezzo da parte dei ricorrenti: nella giurisprudenza di legittimità, è infatti pacifico che, in caso di compravendita stipulata in adempimento di un contratto preliminare, l’accertamento dei presupposti della revocatoria va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la L. Fall., art. 67 ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, restando pertanto irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l’obbligazione di cui l’atto finale costituisce esecuzione (cfr. Cass., Sez. 1, 29/03/2016, n. 6040; 21/10/2011, n. 21927; 11/03/1993, n. 2967).

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti sollevano, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., questione di legittimità costituzionale del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, osservando che, nella parte in cui limita alle procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del D.L. l’operatività delle modifiche apportate alla L. Fall., art. 67, ivi compreso l’esonero dalla azione revocatoria previsto per le vendite a giusto prezzo d’immobili destinati ad uso abitativo, tale disposizione si pone in contrasto con il diritto alla abitazione, oltre a determinare una disparità di trattamento in dipendenza della mera data d’instaurazione della procedura concorsuale.

3.1. Il motivo è infondato.

Premesso che, nel regolare l’efficacia temporale di nuovi istituti o delle modifiche apportate ad istituti già esistenti, il legislatore gode di ampia discrezionalità, il cui esercizio non è sindacabile sul piano della legittimità costituzionale, con il solo limite della manifesta irragionevolezza delle soluzioni adottate, si osserva che la scelta legislativa sottesa alla norma transitoria dettata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 2, che limita alle procedure concorsuali iniziate successivamente all’entrata in vigore del decreto l’operatività della nuova disciplina della revocatoria fallimentare introdotta dal comma 1, lett. a), ivi compreso l’esonero, previsto dal nuovo testo dell’art. 67, comma 3, lett. c), delle vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dello acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, trova la sua giustificazione nella diversità delle regole secondo cui si svolge ciascuna procedura, in relazione alle norme vigenti alla data della sua apertura, nonchè nel ragionevole bilanciamento attuato dal legislatore tra l’esigenza di salvaguardare il diritto dell’acquirente alla casa di abitazione, costituzionalmente rilevante, e quella, ritenuta prevalente per il passato, di tutelare l’affidamento del ceto creditorio in ordine al ripristino della par condicio creditorum, lesa dall’atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal debitore nell’imminenza del fallimento (cfr. Cass., Sez. 1, 5/03/2008, n. 5962; 10/01/2007, n. 267).

4. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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