Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14956 del 01/07/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14956 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 14685-2011 proposto da:
D’ORIANO LUIGI DRNLGU46L12F839H) elettivamente
domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, giusta
delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA
50/A, presso lo studio dell’avvocato LAURENTI LUCIO,

Data pubblicazione: 01/07/2014

rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARI FABIO MARIA,
giusta mandato in calce al controricorso;
– controficorrente –

avverso la sentenza n. 8006/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per il controricorrente l’Avvocato Nicola Laurenti (per delega
avv. Fabio Maria Ferrari) che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la domanda di cui al ricorso di primo grado D’Oriano Luigi,
premesso di essere dipendente del Comune di Napoli con mansioni di
giardiniere, addetto alla pulizia e manutenzione dei parchi e giardini
pubblici, ha allegato che il Comune di Napoli gli aveva fornito, ogni
due /tre anni due tute di stoffa e, saltuariamente, tute “usa e getta” le
quali non consentivano la traspirazione né garantivano
l’impermeabilità ai liquidi; la scarsità degli indumenti forniti, il lungo
lasso di tempo intercorrente tra una fornitura ed un’altra, la necessità di
lavaggi frequenti ( ai quali aveva provveduto esso lavoratore) avevano
determinato pertanto un logorio tale degli abiti da lavoro da indurre il
ricorrente alla loro sostituzione con abiti propri.
Ha dedotto che la condotta del Comune di Napoli costituiva
violazione degli artt. 32 Cost. e 2087 cod. civ. , del dpr n. 303 del
1956, del d.lgs n. 626 del 1994 e della Direttiva europea n. 89/391
CEE e sostenuto di avere diritto all’indennità per il lavaggio delle tute
o al risarcimento del danno non patrimoniale per .la condotta del
Comune.
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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NAPOLI del 30.11.2010, depositata il 10/01/2011;

2. La domanda è stata respinta dal giudice di prime cure con
statuizione confermata in appello.
3. La Corte territoriale, ha premesso che non poteva tenersi conto della
modifica della domanda che parte appellante aveva tentato di
introdurre con il ricorso di secondo grado “spostando l’asse del

lavoro da parte del Comune, che era alla base di quasi tutte le domande
formulate in primo grado, alla omessa fornitura di idonei indumenti
protettivi, su cui, … , si fondava soltanto la richiesta di risarcimento di
danni non patrimoniali”.
3.1. Il giudice di appello ha quindi proceduto alla disamina delle
conclusioni formulate in primo e secondo grado, rilevando che: le
domande principali, riportate al capo h) delle conclusioni,
riguardavano: a) il pagamento di un’indennità per” lavaggio tute”; b)
il risarcimento dei danni non patrimoniali (danno morale ed
esistenziale ) che l’ente datore di lavoro aveva causato per la propria
condotta inadempiente; le domande di accertamento formulate ai capi
b), c), d), e ) f) e g) erano meramente strumentali e propedeutiche a
quelle di condanna riportate al capo h) ; le domande articolate al capo
i) con le quali si chiedeva la condanna del Comune a lavare
giornalmente le tute e gli abiti da lavoro e fornire i detti indumenti
quotidianamente al lavoratore nel numero e con la periodicità accertata
erano del tutto generiche ed indeterminate sia nei presupposti giuridici
alla base della pretesa sia nei parametri atti a individuare il contenuto
quantitativo e la frequenza dell’obbligazione dedotta in giudizio; la
domanda formulata al capo 1), di condanna del Comune di Napoli al
risarcimento dei danni “per le violazioni sopra lamentate ed in
particolare per la mancata periodica sostituzione della tuta e il
mancato controllo circa gli abiti che i dipendenti indossano, non
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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fondamento delle proprie pretese dal mancato lavaggio delle tute di

conformi alla vigente normativa sulla sicurezza del lavoro e sull’igiene
sopra richiamata”, non era suscettibile di esame, in mancanza di
qualsiasi precisazione circa la natura e l’entità dei danni oggetto di
pretesa risarcitoria , non essendo specificato se si trattava dei
medesimi danni indicati al capo h) (dei quali costituirebbe

genericità della richiesta non consentirebbe una delibazione nel merito
della stessa.
3.2. Il giudice di appello ha osservato che parte ricorrente, a
fondamento della domanda, non aveva indicato altre fonti normative
se non quelle che presuppongono la natura di DPI degli indumenti ,
richiamando l’art. 43 comma 4 d. lgs n. 626 del 1994 secondo il quale il
datore di lavoro mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le
condizioni di igiene, mediante le riparazioni e le sostituzioni necessarie.
Ha quindi ritenuto che le deduzioni ribadite nel corpo dell’atto di
appello in ordine all’esistenza di un obbligo generale del datore di
lavoro di provvedere al lavaggio giornaliero degli indumenti che
vengono in contatto con sostanze imbrattanti o nocive, anche a
prescindere dalla loro natura di DPI, risultavano del tutto apodittiche e
non suffragate da alcun richiamo a norme di legge o di contrattazione
collettiva prevedenti un obbligo di tale portata riferito a indumenti
diversi da quelli qualificati DPI.
3.3. Sulla base di tali premesse la Corte territoriale, rilevato che il
lavoratore appellante aveva lamentato la violazione della norma
costituzionale in materia di salute, nonché dell’art. 2087 c.c. e dell’art.
40 d.lgs n. 626/94, ha ritenuto inapplicabile la normativa introdotta nel
1994 perché riferibile ai soli “DPI” (dispositivi di protezione
individuale), in quanto le tute fornite ai lavoratori, secondo quanto
dagli stessi affermato in ricorso erano capi comuni di abbigliamento e
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duplicazione) o di diversi ed ulteriori danni ipotesi in cui la assoluta

assolvevano alla mera funzione di preservazione degli abiti dei
lavoratori, così come le tute “monouso”; quindi non si trattava di
indumenti predisposti per tutelare la salute e sicurezza delle persone.
3.4. A riguardo il giudice di appello ha sottolineato la intrinseca
contraddittorietà del capo di domanda laddove da una parte si sostiene

idonei a proteggere il proprio dipendente da agenti imbrattanti o nocivi
e dall’altro ha omesso di chiedere un risarcimento per la mancata
fornitura di DPI limitandosi a pretendere una indennità sostitutiva del
lavaggio degli indumenti adoperati; la giurisprudenza di legittimità in
ordine all’obbligo datoriale di fornitura di idonei strumenti di
protezione e all’obbligo di tenerli puliti ed efficienti, richiamata
dall’appellante, non risultava pertinente in quanto essa si riferiva a casi
diversi in cui gli indumenti forniti erano effettivamente DPI o
strumenti di copertura ad essi assimilabili, oppure l’obbligo di
fornitura e lavaggio scaturiva da specifica previsione collettiva.
3.5. La domanda di risarcimento di danni non patrimoniali, morali ed
esistenziali , ricollegata alla condotta inadempiente del Comune è stata
ritenuta generica e priva di quei requisiti di specificità necessari per
affermare il diritto al ristoro dei danni non patrimoniali subiti per
effetto delle lamentate inadempienze.
4. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’originario
ricorrente sulla base di quattordici motivi ; ha resistito il Comune con
controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva ex art.
378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. 1 Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 32 della Cost. e dell’art. 2087 c.c.; si sostiene che esiste un generale
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che il Comune ha violato l’obbligo di fornire indumenti di lavoro

obbligo del datore di lavoro di lavare le tute, come affermato dalla
giurisprudenza di legittimità; in caso di mancato lavaggio, il lavoratore
ha pertanto diritto alla relativa indennità.
4.2. Con il secondo motivo si deduce l’omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto

cod. proc. civ. e degli artt. 132 cod. proc. civ.; si assume l’errore del
giudice di appello per avere ritenuto che esso ricorrente aveva, in
prima battuta, qualificato le tute quali DPI e per avere ignorato la
domanda del ricorrente fondata sulla sussistenza di un obbligo
generale di lavaggio delle tute da parte del Comune di Napoli.
4.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione del d. lgs. n. 626 del
1994 e dell’ulteriore normativa in materia di sicurezza del lavoro; degli
artt. 32 Cost. e dell’art.2087 cod. civ.; il provvedimento impugnato è in
contrasto con la giurisprudenza della Corte di cassazione . Esiste un
obbligo generale del datore di lavoro di lavare le tute in quanto DPI. In
caso di mancato lavaggio il lavoratore ha diritto alla relativa indennità.
4.4. Con il quarto motivo si deduce l’omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso decisivo per il giudizio. Non si era esaminata la perizia
prodotta e non si erano esaminati i rischi in concreto sofferti dai
lavoratori.
4.5. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 2967 cod. civ. del d. lgs n. 6262 del 1994 e dell’ulteriore
normativa in materia di sicurezza ; incombe sul Comune datore di
lavoro la prova che non sono necessari DPI per il lavoro e le mansioni
svolte e che le tute non sono DPI ; il lavoratore ha solo l’onere di
dimostrare le mansioni espletate ed il contatto con le sostanze in cui si
imbatte nello svolgimento delle mansioni medesime ;
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controverso decisivo per il giudizio, nonché la violazione dell’art. 112

4.6. Con il sesto motivo si deduce l’omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso, decisivo per il giudizio. Era onere del comune di Napoli
dimostrare che le tute non sono DPI ; è stata omessa la motivazione
sul mancato esame della questione attinente all’onere della prova;

dell’art. 32 Cost. dell’art. 2087 cod. civ. del d. lgs n. 626 del 1994 e della
normazione in materia di sicurezza del lavoro ; è il datore di lavoro che
è onerato della prova in ordine alla insussistenza del rischio ;
4.8. Con l’ottavo motivo si deduce omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso decisivo per il giudizio. Era onere del datore di lavoro
dimostrare che non sussisteva un rischio per i lavoratori ; la sentenza
impugnata manca del tutto di motivazione sul punto;
4.9. Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 32 della Cost.; degli artt. 1218 e 2043 cod. civ.; il provvedimento
impugnato si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.
Nel caso di mancato lavaggio delle tute da lavoro il lavoratore ha
diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ;
4.10 Con il decimo motivo si deduce l’omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso, decisivo per il giudizio. La decisione non ha motivato
congruamente le ragioni del rigetto della domanda risarcitoria ed in
particolare della insussistenza del danno lamentato;
4.11. Con l’undicesimo motivo si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 32 Cost. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art.
414 cod. proc. civ. ; si censura , in sintesi il mancato accoglimento
delle richieste istruttorie articolate in prime cure ;

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4.7. Con il settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione

4.12. Con il dodicesimo motivo si allega l’omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso decisivo per il giudizio. Non era stata offerta alcuna
motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove richieste;.
4.13. Con il tredicesimo motivo si deduce la violazione e falsa

sintesi, la decisione per non avere il giudice di appello esaminato ed
accolto la domanda formulata in via gradata attinente all’inosservanza
dell’obbligo di fornitura delle tute “siano esse considerate come
D.P.I.” ovvero come abiti da lavoro;.
4.14 Con l’ultimo motivo si deduce omessa o insufficiente o
contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto
controverso decisivo per il giudizio. La motivazione del
provvedimento impugnato era del tutto carente in merito al punto
evidenziato nel motivo precedente ;
5. Il primo ed il secondo motivo, che in quanto connessi sono trattati
congiuntamente, devono essere respinti essendo inidonei a
validamente censurare la decisione impugnata.
L’assunto dal quale muove parte ricorrente, e cioè l’avere la sentenza
impugnata trascurato di pronunciare in merito alla dedotta esistenza di
un obbligo di carattere generale dell’ente datore, di provvedere al
lavaggio delle tute, a prescindere dalla configurabilità delle stesse quali
DPI, non si confronta con le effettive ragioni alla base della decisione
impugnata.
Invero il giudice di appello ha espressamente esaminato la pretesa
fondata sulla esistenza di un obbligo generale del Comune a
provvedere al lavaggio degli indumenti da lavoro che vengono a
contatto con sostanze imbrattanti o nocive, e la ha ritenuta non
meritevole di accoglimento per essere la stessa fondata su deduzioni
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applicazione degli artt. 32 Cost. , dell’art. 2087 cod. civ. ; si censura, in

del tutto apodittiche e non suffragate da alcun richiamo a norme di
legge o di contrattazione collettiva prevedenti un obbligo di tale
portata riferito a indumenti diversi da quelli qualificati DPI.
La valutazione del giudice di appello in ordine alla carenza di
adeguate allegazioni in fatto e deduzioni in diritto della pretesa fondata

provvedere al lavaggio degli indumenti, viene del tutto pretermessa
dall’odierno ricorrente nella illustrazione del motivo.
Per sollecitare il sindacato di legittimità in ordine al mancato
accoglimento della domanda era necessario contrastare la valutazione
di inadeguatezza operata dal giudice di appello evidenziando profili di
incongruità e illogicità del ragionamento decisorio. Parte ricorrente si
è sottratto a tale onere avendo incentrato i motivi di ricorso su censure
già in astratto inidonee a inficiare le ragioni alla base del decisum sul
punto.
5.1. Per completezza di esposizione può aggiungersi che la correttezza
della decisione in ordine alla insussistenza di un generale obbligo per il
datore di lavoro di provvedere alla manutenzione ed al lavaggio degli
indumenti ( ove questi, pur non costituendo DPI, per le peculiari
caratteristiche dell’attività lavorativa, fossero soggetti a sporcarsi di
frequentemente ) non contrasta, al contrario di quanto assume parte
ricorrente, con la giurisprudenza di questa Corte richiamata nella
illustrazione delle censure. Invero tali precedenti concernono
espressamente ipotesi nelle quali gli indumenti in relazione ai quali è
stata affermato l’obbligo datoriale di provvedere alla manutenzione
costituivano DPI . In particolare, si legge nella sentenza n.18573 del
2007, richiamata da parte ricorrente come espressione di indirizzo
consolidato del giudice di legittimità : “L’idoneità degli indumenti di
protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei
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sulla sussistenza di un generale obbligo del Comune datore di

lavoratori – a norma del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 379 fino alla data
di entrata in vigore del D.Lgs. n. 626 del 1994 e ai sensi degli art. 40,
43, commi 3 e 4, di tale decreto, per il periodo successivo – deve
sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi,
ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione

salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32
cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che,
nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il
diffondersi d’infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio
indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso
non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario
dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni.” (Cass., 5 novembre 1998
n. 11139; 14 novembre 2005 n. 22929; 26 giugno 2006 n. 14712; 13
ottobre 2006 n. 22049).”
5.3. Esclusa la esistenza di un obbligo generale della parte datoriale di
provvedere, anche al di fuori dell’ipotesi contemplata dal d. lgs n. 626
del 1994, alla fornitura e manutenzione degli indumenti da lavoro,
diviene irrilevante il richiamo di parte ricorrente, richiamo invero
generico, al notorio rappresentato dal fatto che, secondo la comune
esperienza, i lavoratori addetti ad un certo tipo di lavoro si imbrattano
giornalmente con un tipo di sporco che richiede un lavaggio
particolare. Tale circostanza risulta infatti inidonea a fondare di per sé
l’obbligo datoriale a provvedere al lavaggio degli indumenti.
6. Il terzo ed il quarto motivo, con i quali viene censurato, in sintesi, il
mancato riconoscimento della natura e finalità di DPI alle tute
fornite dal Comune, sono anch’essi infondati.
6.1. La Corte territoriale ha escluso che le tute in questione
costituissero dispositivi individuali di protezione, ai sensi degli artt. 40
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della

e 41 d. lgs n. 626 del 1994, in considerazione delle caratteristiche
intrinseche degli indumenti (tute di stoffa) che li rendevano inidonei a
svolgere una funzione di protezione della salute del lavoratore da rischi
specifici dell’ambiente di lavoro ed in particolare dal contatto con
sostanze nocive E giudice d’appello è partito dal necessario

assolutamente insufficienti, quelle monouso e quelle di stoffa,
potessero essere considerate DPI (dispositivi di protezione individuale)
ai sensi della normativa in vigore, ciò in quanto si evince dallo stesso
ricorso e dalla ricostruzione della vicenda processuale che
l’assimilazione tra le tute in parola e i veri e propri DPI sia stato
sempre argomento centrale della tesi di parte ricorrente in quanto la
normativa sui DPI- proprio in relazione alle lavorazioni cui era addetto
il lavoratore- vuole dare concretezza e specificazione alle norme di
ordine generale ed astratto come l’art. 32 della Cost. e l’art. 2087 c.c.
6.2.La Corte territoriale correttamente ha osservato che se le tute
fornite dal datore di lavoro Comune di Napoli si dovessero
considerare DPI, allora non vi sarebbe alcun dubbio del connesso
obbligo per il Comune di tenere indenni i lavoratori dai costi e dai
disagi del loro frequente lavaggio. In concreto tuttavia ha rilevato che
le allegazioni di cui al ricorso inducevano ad escludere che le tute
fornite — sia quelle di stoffa sia quelle monouso — avessero le
caratteristiche di mezzi di protezione individuale; in particolare ha
convenuto con il giudice di primo grado nel senso di ritenere che in
base alla stessa prospettazione attorea le tute adoperate avevano
esclusivamente la funzione di coprire o sostituire gli indumenti
personali dei lavoratori per preservarli dall’imbrattamento ; non
potevano pertanto essere qualificate come DPI, in quanto non
garantivano un’ adeguata protezione dai rischi di contatto con sostanze
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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accertamento se le tute distribuite ai lavoratori, anche se a cadenze

nocive (per lavorazioni come quelle cui era addetto il ricorrente)
essendo stati forniti solo per preservare gli abiti civili dall’usura
connessa all’espletamento dell’attività lavorativa. Si tratta di un
accertamento di natura squisitamente fattuale motivato congruamente
ed ancorato ad elementi desunti dalla stesse prospettazioni di parte

escludere in radice non solo la dedotta assimilazione tra le tute fornite
al dipendente del Comune di Napoli e i DPI, ma anche ogni nesso tra
la tutela della salute e dell’igiene del dipendente ex art. 32 Cost. ed ex
art. 2087 c.c. e la domanda formulata in questa sede processuale.
6.3. Parte ricorrente a sostegno dell’assunto della finalità di DPI delle
tute fornite dal Comune richiama la perizia della RM Consulting e la
relazione Asl di Milano . La mera evocazione di tali atti risulta
inidonea ad incidere sull’accertamento di fatto del giudice di appello in
merito alle assenza nelle tute fornite delle caratteristiche proprie dei
dispositivi individuali di protezione, oggetto dell’obbligo di sicurezza
datoriale. Questa Corte ha chiarito che “Il controllo della congruità e
logicità della motivazione, al fine del sindacato di legittimità su un
apprezzamento di fatto del giudice di merito, postula la specificazione
da parte del ricorrente – se necessario, attraverso la trascrizione
integrale nel ricorso – della risultanza (parte di un documento, di un
accertamento del consulente tecnico, di una deposizione testimoniale,
di una dichiarazione di controparte, ecc.) che egli assume decisiva e
non valutata o insufficientemente valutata dal giudice, perché solo tale
specificazione consente al giudice di legittimità – cui è precluso, salva la
denuncia di “error in procedendo”, l’ esame diretto dei fatti di causa di deliberare la decisività della risultanza non valutata, con la
conseguenza che deve ritenersi inidoneo allo scopo il ricorso con cui,
nel denunciare l’ omessa valutazione da parte del giudice di merito di
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ricorrente e quindi insindacabile come tale in questa sede, che porta ad

una circostanza decisiva, ci si limiti a rinviare alla prospettazione fatta
negli atti di causa” ( Cass. n. 6679 del 2006).
Parte ricorrente non ha osservato gli oneri prescritti al fine della valida
censura dell’accertamento di fatto del giudice di merito . Non ha, in
primo luogo, in violazione del disposto dell’art. 366 cod. proc. civ. ,

specificato il luogo processuali in cui risultavano prodotti i documenti
menzionati né ha trascritto il relativo contenuto e, soprattutto, non ha
indicato quali erano le circostanze emergenti da tali documenti , aventi
carattere di decisività, trascurate dal giudice di merito.
Il terzo e quarto motivo vanno quindi respinti.
7. Il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, trattati
congiuntamente in quanto tutti attinenti al tema dell’onere della prova,
sono anche essi infondati.
7.1. La tesi di parte ricorrente è che sul Comune ricadeva l’onere di
provare che l’attività espletata dal lavoratore non esigeva l’adozione di
DPI e quindi l’assenza di rischio, mentre il lavoratore era tenuto
esclusivamente a provare le mansioni svolte ed il contatto con sostanze
nocive ; censura quindi che la Corte territoriale non abbia motivato in
ordine alla questione relativa all’onere della prova che assume sollevata
con il ricorso in appello.
7.2. Si premette che, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello,
oggetto della domanda era l’accertamento dell’obbligo per il Comune
di fornire le tute prima indicate e comunque di tenerle pulite e, in linea
subordinata, di risarcire il dipendente dalle spese sostenute di lavaggio
delle tute, questione completamente estranea al tema della tutela della
salute e dell’igiene nel luogo di lavoro ex art. 32 della Cost. ed ex art.
2087 c.c., posto che le prima ricordate tute non erano fornite a tale
scopo, ma solo per preservare gli abiti civili dall’usura dovuta all’attività
lavorativa svolta.
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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Aer

La domanda non concerneva quindi, in prima battuta, la fornitura di
DPI ove necessario al fine di salvaguardare i beni costituzionalmente
protetti prima ricordati, ma riguardava direttamente il tipo di tute
distribuite (saltuariamente, a stare alla prospettazione di parte
ricorrente) dal Comune di Napoli, non altre vestizioni o altro tipo di

stato oggetto di specifica contestazione da parte dell’odierno ricorrente
7.3 .E’ in relazione a tale articolazione della originaria domanda che
deve quindi essere verificato il rispetto della regola sulla distribuzione
dell’onere probatorio.
La Corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado che
aveva rigettato la domanda del lavoratore, ha implicitamente posto a
carico di quest’ultimo l’onere di provare la sussistenza dell’obbligo
dell’ente datore di fornire e provvedere alla manutenzione delle tute,
dalla cui pretesa violazione scaturisce la pretesa risarcitoria azionata
nel presente giudizio..
7.4.11 criterio applicato dalla Corte di merito risulta coerente con il
canone di cui all’art. 2697 cod. civ. secondo il quale “Chi vuol far
valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento”. Per completezza di esposizione può soggiungersi che la
regola di cui all’art. 2967 cod. civ. in tema di responsabilità datoriale,
ove dedotta la violazione del disposto dell’art. 2087 cod . civ., richiede,
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, comunque
l’adeguata allegazione prima ancora che la prova da parte del lavoratore
del danno sofferto e del nesso causale tra detto pregiudizio e le
caratteristiche di nocività dell’ambiente di lavoro e solo se il lavoratore
abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro
l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad
impedire il verificarsi del danno ( e.xp/urimis : Cass. n. 2038 del 2013) .
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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protezione. Tale ricostruzione del contenuto della domanda non è

7.5. Parte ricorrente si è sottratta agli oneri sopra delineati, secondo
quanto ritenuto, con affermazione non specificamente contrastata in
ricorso, dalla Corte di merito in ordine alla genericità di prospettazione
con riferimento al possibile contatto con sostanze nocive.
8. L’accertata insussistenza dell’obbligo – legale o contrattuale – per il

censure formulate con il nono e decimo motivo, attinenti al mancato
accoglimento della domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e
non patrimoniale, attesa la inconfigurabilità di un danno risarcibile
laddove non sia ipotizzabile un inadempimento datoriale .E ciò anche
a prescindere dal rilievo del giudice di appello in ordine alla
inadeguatezza delle allegazioni in tema di danno non patrimoniale, a
fondare, la pretesa risarcitoria,
9. L’undicesimo e dodicesimo motivo con i quali viene censurata sotto
il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione la mancata
ammissione di mezzi istruttori articolati in ricorso, sono entrambi
infondati.
9.1. Questa Corte ha chiarito che “Quando sia denunziato, con il
ricorso per cassazione, un vizio di motivazione della sentenza sotto il
profilo della mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è necessario
che il ricorrente non si limiti a censure generiche di erroneità e/o di
inadeguatezza della motivazione, ma precisi e specifichi, svolgendo
critiche concrete e puntuali, seppure sintetiche, le risultanze e gli
elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione,
evidenziando altresì in cosa consistesse e con quali finalità e in quali
termini la richiesta fosse stata formulata. Più in particolare, ove trattisi
di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare specificamente le
circostanze concrete che formavano oggetto della prova, quale ne
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Comune di Napoli di provvedere al lavaggio delle tute assorbe le

fosse la rilevanza, e a quale titolo i soggetti chiamati a rispondere su di
esse potessero esserne a conoscenza, atteso che il controllo deve essere
consentito alla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute
nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini
integrative. ( Cass. n. 9290 del 2004Cass. n. 5479 del 2006 , n. 10357

del giudice di merito che ne esclude l’ ammissione non è sindacabile in
sede di legittimità, posto che compete al giudice del merito
l’apprezzamento delle circostanze che consentano di escludere che il
relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte
istante, sulla quale incombe pertanto l’onere di offrire gli elementi di
valutazione.” ( Cass. n. 26264 del 2005).
9.2. Parte ricorrente si è sottratta agli oneri, sopra delineati, su di essa
ricadenti al fine della valida censura della mancata ammissione dei
mezzi istruttori e del mancato espletamento della consulenza tecnica
d’ufficio; pur avendo, infatti, riprodotto in ricorso le richieste
istruttorie di prime cure ed in particolare i capitoli in relazione ai quali
era stata formulata la richiesta di prova orale, nel censurare la mancata
ammissione della stessa, si è limitata a dedurne, in maniera assertiva, la
rilevanza . Non ha in alcun modo argomentato sulle ragioni dello
specifico rilievo delle circostanze oggetto di prova, alla luce degli
elementi in atti, né ha specificato quale fatto, avente carattere di
decisività, essa era destinata a dimostrare . Analoga genericità si rileva
in relazione alla denunzia di mancata ammissione della ctu dovendosi,
anzi, evidenziare che alla stregua delle medesime prospettazioni del
ricorrente alla stessa era demandato la verifica di circostanze che
avrebbero dovuto costituire prima oggetto di puntuale allegazione.
Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la
consulenza tecnica d’ ufficio non costituisce un mezzo istruttorio in
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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del 2005) e che “In materia di consulenza tecnica d’ufficio la decisione

senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella
valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che
necessitino di specifiche conoscenze ; in conseguenza suddetto mezzo
di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal
fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata

allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine
esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
(Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, primo comma, cod. proc.
civ. da Cass. ord. n. 3130 del 2011). Nel caso di specie, invece, la
consulenza tecnica d’ufficio era destinata a supplire alla carenza e
genericità di allegazione in ordine all’esposizione al rischio del
lavoratore, secondo l’insindacabile accertamento fattuale del giudice di
appello ( v. sub 6.2.).
10. Il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo con i quali è
denunziato, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di
motivazione l’omesso esame della domanda subordinata, intesa
all’accertamento dell’obbligo del Comune a provvedere al lavaggio
delle tute di stoffa, siano esse considerate DPI o come meri abiti da
lavoro, non si confrontano con le ragioni a base del decisum della
sentenza impugnata.
La Corte territoriale, infatti, ha espressamente valutato l’obbligo
datoriale di provvedere al lavaggio tute sia con riferimento alla
configurabilità delle stesse come DPI sia con riferimento alla
configurabilità come meri abiti da lavoro e ritenuto quest’ultima
domanda fondata su deduzioni del tutto apodittiche e non suffragate
da alcun richiamo a norme di legge o di contrattazione collettiva; tale
valutazione, come evidenziato sub 5), non è stata specificamente
censurata da parte ricorrente.
Ric. 2011 n. 14685 sez. ML – ud. 15-04-2014
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qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie

La sentenza impugnata deve essere pertanto confermata.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in

Roma, 15 aprile 2014

Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

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