Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14948 del 14/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 14/07/2020), n.14948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36629-2018 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ADALBERTO 6,

presso lo studio dell’avvocato GENNARO ORLANDO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

PATRIZIA CIACCI, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3448/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Napoli, riformando la decisione del Tribunale stessa sede, ha rigettato la domanda proposta da S.F., la quale chiedeva che le fosse riconosciuto il diritto alle prestazioni assistenziali (assegno, pensione di inabilità ed indennità di accompagnamento) a far data dalla domanda amministrativa (2001), in ragione dell’incidenza delle gravi patologie derivanti da epilessia sulla propria capacità lavorativa;

il Tribunale di Napoli aveva rigettato la domanda sulla base dell’intervenuta decadenza dal diritto in capo alla ricorrente, là dove la Corte d’appello, entrando nel merito della controversia, aveva disposto CTU medico legale, aderendo successivamente alle risultanze peritali dalle quali era emerso che dagli stati patologici riscontrati fra il 2001 e il 2009, la riduzione della capacità lavorativa dell’istante era inferiore alla soglia minima del 75 per cento fissata dalla legge;

la Corte territoriale ha, inoltre, dato conto dell’esistenza di altra sentenza passata in giudicato (n. 29142 del 2011) nella quale si affermava il diritto alle prestazioni assistenziali a far data dal 22 giugno 2009, e ha conseguentemente negato il diritto alle ulteriori prestazioni richieste per il periodo 2001-2009 avendo accertato l’insussistenza del requisito sanitario;

la cassazione della sentenza è domandata da S.F. sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria;

l’Inps si è costituito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto quali art. 115 c.p.c., L. n. 118 del 1971, art. 13, nonchè artt. 32,38 Cost., per non aver il giudice del merito esaminato la documentazione medica in atti relativa al periodo 2001-2009”;

la sentenza gravata avrebbe recepito acriticamente una Consulenza tecnica affetta da gravi carenze e incongruenze diagnostiche, basate su tesi scientificamente errate;

di particolare gravità sarebbe, secondo il motivo esaminato, il recepimento pedissequo da parte del giudice dell’appello dell’affermazione contenuta nella consulenza medico legale secondo cui la parte non aveva allegato certificazioni mediche idonee a provare lo stato di invalidità utile per l’accesso ai benefici assistenziali, partitamente in merito all’esistenza del presupposto essenziale di legge della periodicità di frequenza settimanale delle crisi epilettiche nel periodo 2001-2009;

il motivo è inammissibile per più di un profilo;

i rilievi formulati dalla ricorrente non trovano accesso in questa sede, atteso che si limitano ad esprimere un mero dissenso diagnostico, al precipuo fine di sollecitare una rivisitazione dei fatti di causa;

questa Corte ritiene pacificamente, con specifico riferimento alle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, che la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sia censurabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica – la cui fonte va, tuttavia, indicata con precisione nel ricorso – ovvero in caso di omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi;

al di fuori di tali precise prescrizioni – che non ricorrono nel caso in esame – la censura esprime un mero dissenso diagnostico che, non attenendo a vizi nè formali nè logici del processo decisorio, finisce per tradursi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice, preclusa in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 2594 del 2017, n. 4570/2013, n. 26558/11, n. 9988/2009 e n. 8654/2008);

il motivo di ricorso contesta, altresì – inammissibilmente – la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., impropriamente censurandola mediante il richiamo all’art. 360, c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per dedurre una violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunziare che il Giudice, contravvenendo espressamente o implicitamente alla regola da essa posta, abbia fondato la decisione su prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018);

il principio di diritto sopra richiamato va letto in correlazione con l’altro, secondo cui: “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 de 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940 del 2017);

risulta evidente dalla stessa prospettazione della censura come la ricorrente non intenda contestare una violazione di norme sostanziali o processuali, ma lamenti la mancata valutazione dei certificati sanitari attestanti l’esistenza di patologie comportanti il superamento della soglia utile all’insorgenza del diritto al beneficio connesso, limitandosi ad affermare – senza, peraltro, neppure trascriverne il testo ovvero curarne l’allegazione – che detti documenti, là dove esaminati, avrebbero condotto ad un diverso esito del giudizio;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

nulla si dispone in merito alle spese di questo giudizio, atteso il richiamo, nella sentenza d’appello, della dichiarazione di esenzione per motivi reddituali resa dall’odierna ricorrente fin dal primo grado di giudizio;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 12 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 14 luglio 2020

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