Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14946 del 16/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14946 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 28265-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

2152

DE

ANGELIS

DANIELA

C.F.

DNGDNL78L69F839R,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 185,
presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE VERSACE,

Data pubblicazione: 16/07/2015

rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO DI
PALMA, giusta delega in atti;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 7249/2008 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/12/2008 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

4102/2006;

RG. n. 28265/09
Ud. 14.5.2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

:.

dicembre 2008, ha confermato la decisione di primo grado che,
in accoglimento della domanda proposta da Daniela De Angelis
nei confronti di Poste Italiane S.p.A., aveva dichiarato la nullità
del termine apposto al contratto, la sussistenza di un rapporto a
tempo indeterminato sin dalla stipula del contratto, il ripristino
del rapporto di lavoro e la condanna della società al pagamento
delle retribuzioni a decorrere dalla data di messa in mora sino
alla data della sentenza.
Il contratto era stato stipulato dal 19 ottobre 2000 al 31
gennaio 2001, ai sensi dell’art. 8 CCNL dei dipendenti postali,
come integrato dall’accordo del 25 settembre 1997, “per esigenze
eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione
della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse
umane».
Contro detta sentenza ricorre per cassazione Poste Italiane
sulla base di tre motivi. Resiste la lavoratrice con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando
violazione di norme di diritto e di accordi collettivi, rileva che, in
virtù della delega conferita dal legislatore con la legge n. 56 del
1987, l’autonomia sindacale non incontra limiti ed ostacoli di
sorta nella tipologia dei contratti a termine in relazione alle
ipotesi che ne legittimano la conclusione. Alla data della stipula
del contratto permanevano le esigenze legittimanti la stipula dei

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 17

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contratti a termine ai sensi dell’accordo del 25 settembre 1997 e
non era scaduto il termine finale di efficacia dell’accordo
medesimo, come era dimostrato dai successivi accordi, aventi
natura ricognitiva del processo di ristrutturazione di Poste
ancora in corso. Non ricorreva quindi il limite temporale del 30
aprile 1998 ravvisato dalla sentenza impugnata.
Con il secondo motivo, denunciando vizio di

motivazione, la ricorrente rileva che la sentenza impugnata non
ha sufficientemente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto
illegittimo il contratto. In particolare non ha spiegato i motivi
secondo cui l’accordo del 25 settembre 1997 avesse una efficacia
temporale limitata sino alla data 30 aprile 1998.
3.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando

violazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., censura la sentenza
impugnata per avere considerato quale atto di messa in mora il
ricorso introduttivo. Tale atto infatti non conteneva alcuna
offerta delle prestazioni lavorative, onde il pagamento delle
retribuzioni avrebbe dovuto decorrere dalla data di ripresa del
servizio.
Aggiunge che “l’istanza per il tentativo di obbligatorio di
conciliazione” non assume al riguardo alcun valore, essendo
“esclusivamente prodromica alla instaurazione della
controversia”.
Rileva ancora che l’eccezione di aliunde perceptum non
poteva che essere dedotta genericamente, non essendo in grado
essa ricorrente “di produrre o provare alcunché in ordine ad
eventuali ulteriori attività lavorative prestate presso terzi datori a
seguito della scadenza del termine (in quanto circostanze di fatto
totalmente estranee alla propria sfera giuridica)».
4. I primi due motivi, che essendo connessi vanno
esaminati congiuntamente, non sono fondati.
Questa Corte, in controversie analoghe alla presente, ha
più volte affermato, con riguardo alla disciplina vigente
anteriormente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 368 del 2001,

2.

3

che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della
legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di
assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del
lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla
necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra
contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive
di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato
(v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; Cass. 20 aprile 2006 n. 9245;
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862; Cass. 26 luglio 2004 n. 14011).
Si tratta di una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non
essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr. Cass. 4 agosto
2008 n. 21062; Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).
In tale situazione, ove però un limite temporale sia stato
previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (Cass. 23 agosto
2006 n. 18383; Cass. 14 aprile 2005 n. 7745; Cass. 14 febbraio
2004 n. 2866; da ultimo Cass. 18 marzo 2011 n. 6294).
E’ stato altresì ripetutamente affermato che, in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL
26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa

per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della

A

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alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile
1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità dei contratti
a termine stipulati dopo tale data, per carenza del presupposto
normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della
forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 (v., fra le altre,
Cass. n. 20608/07; Cass. n. 7979/08; Cass. n. 28450/08; Cass.
n. 24281/11; Cass. n. 3056/12; Cass. n. 3042/14).
Infine, non è stata attribuita da questa Corte alcuna
rilevanza all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè
quando il diritto del lavoratore si era già defmitivamente
perfezionato.
Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse
dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti,
con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la
copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza
delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare
la regola dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti,
con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere,
anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di
autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più
legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr.
Cass. 12 marzo 2004 n. 5141; Cass. 28 novembre 2008 n.
28450; Cass. 16 novembre 2010 n. 23120).
Nella specie la Corte di merito, disattendendo tutte le
contrarie argomentazioni formulate da Poste, ha fatto corretta
applicazione di tali principi, con argomentazioni coerenti, logiche
e non contraddittorie, onde i motivi in esame devono essere
rigettati.
5. Il terzo motivo è inammissibile. Le questioni con esso
dedotte non risultano infatti affrontate dalla sentenza

trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, in

impugnata, la quale, dopo avere accolto la domanda per essere
stato il contratto stipulato oltre il limite temporale del 30 aprile
1998, ha esplicitamente dato atto che non risultavano proposti
da Poste Italiane S.p.A. “altri motivi di censura”.
6. Non può trovare applicazione nella specie la legge n.
183/10, art. 32, sopravvenuta nel corso del giudizio, che ha
del rapporto a termine, essendo state dichiarate inammissibili le
censure relative alla messa in mora e all’aliunde perceptum.
Al riguardo, come più volte affermato da questa Corte,
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens
che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova
disciplina del rapporto controverso, è necessario non solo che
questlultirna sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura
del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 17974/11; Cass. 9583/11
cit; Cass. 10547/06; Cass. 4070/04), ma anche che il motivo .di
ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, sia ammissibile secondo la disciplina
sua propria (v., fra le altre, Cass. 80/11; Casa. 9583/11; Cass.
17974/11 cit.)
7. In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le

spese,

liquidate come in dispositivo, seguono la

soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore di De
Angelis Daniela, in £ 100,00 per esborsi ed £ 2500,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 14 maggio 2015.

disciplinato le conseguenze economiche in caso di conversione

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