Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14943 del 16/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14943 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 23262-2011 proposto da:
A.N.M. – AZIENDA NAPOLETANA MOBILITA’ S.P.A. P.I.
06937950639, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

r

GERMANICO n. 96, presso lo studio dell’avvocato LUCA
DI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

2015

FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta delega in atti;;
– ricorrente –

2090

contro

CAPORASO VALERIO C. F. CPRVLR72L22F839S, domiciliato
in ROMA PIAllA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA

Data pubblicazione: 16/07/2015

«.:

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato VINCENZO RICCARDI, giusta delega in
atti;
– controxicorrente

avverso la sentenza n. 5873/2010 della CORTE

10459/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/05/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO ) che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di NAPOLI, depositata i1 27/09/2010 R.G.N.



.

1 .


di• ,

Udienza 12.5.2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I lavoratori attualmente intimati nel presente giudizio di legittimità, dipendenti deila Azienda:
napoletana mobilità spa ( A. N. M.) come conducenti autobus di linea _senza l’ausilio del .
bigliettaio, chiedevano ai Tribunale del lavoro di Napéli venisse dichiarato il loro diritto alla. •.
corresponsione mensile della voce ” agente unico” in misura pari a 20 minuti della retribuzione
normale di autista di VII livello con tre scatti di anzianità ‘a far tempo dal 1990 ( indennità che
non era stata adeguata nel tempo). L’azienda convenuta eccepiva la prescrizione quinquennale
e nel merito contestava la fondatezza della domanda. Il Tribunale di Napoli rigettava la
dornanda.
La Corte di appello di Napoli con la sentenza in questa sede impugnata, – in riforma
dell’impugnata sentenza ed in accoglimento dell’appello dei lavoratori, condannava l’A.N.M. a
corrispondere nei limiti della prescrizione quinquennale, con quantificazione in diverso
giudizio, le differenze *retributive spettanti a ciascun lavoratore a titolo di adeguamento della
indennità agente unico in misura pari a 20 minuti delle retribuzione normale dell’autista di VII
livello con tre scatti di anzianità, tenendo conto dei successivi inquadramenti contrattualmente
corrispondenti a tale qualifica.
La Corte territorialyricostruiva in motivazione la complessa vicenda contrattuale conseguita al
processo di soppressione della figura del bigliettaio ed alla conseguente istituzione della figura
dell’agente unico. Rilevava la Corte territoriale che la Giunta regionale campana aveva nel
1986 determinato l’indennità spettante ( all’agente unico per il fatto di essere l’unico
operatore presente nel condurre l’autobus cui si aggiunge ad un’ulteriore indennità nel caso.in
cui lo stesso agente ” unico” operi anche da bigliettaio) nella misura della paga pari a

go

minuti spettanti ad un autista di settimo livello con 3 scatti di anzianità, all’epoca
corrispondenti a lire 2.397 lorde giornaliere. Nell’accordo del 1988 era stata prevista la detta
indennità nella misura della paga pari a 20 minuti spettanti ad un autista di settimo livello con
3 scatti di anzianità dal 1.1.1990 pur nella consapevolezza che gli inquadramenti erano in corso
di modifica per via della ricordata soppressione generalizzata della figura di bigliettaio. Per la
Corte di appello era da escludere che si volesse cristallizzare l’importo nella misura fissata al
1.1.1990 senza tener conto della successiva evoluzione contrattuale e retributiva, come
peraltro già stabilito dalla Corte di cassazione con due decisioni del 2004 ( che aveva
esaminato il caso in cui l’agente percepiva le due indennità operando anche da bigliettaio),

R.G. n. 23262/2011

Il

affermando principi mutuabili perfettamente anche alla fattispecie in esame.

comportamento tenuto dalle parti sociali non poteva togliere efficacia ad un disposto
contrattuale chiarissimo ed inequivoco; né potevano aver alcun rilievo Accordi contrattuali del
2005 che, comunque, comportavano un riordino generale della materia.
Per la cassazione di tale decisone propone ricorso l’ANM con due motivi; resistono i lavoratori

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la violazione / falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c.
in riferimento all’accordo del 1988, in riferimento all’interpretazione dell’Accordo 15.3.1988.
Non emergeva la volontà delle parti contrattuali di volere determinare un meccanismo di
adeguamento automatico per il futuro. L’accordo del 88 era un dato empirico, non un
riferimento parametrico; era un limite massimo tenuto conto della delibera di Giunta del 1986;
la qualifica di riferimento non era più presente nel sistema di inquadramento del personale
dell’A.N.M. Nessuna protesta era poi intervenuta dopo la denegazione del preteso diritto per
circa 15 anni.
Il motivo appare infondato. Il themo decidendum (come correttamente sintetizzato nello
stesso ricorso) è se l’Accordo del 1988 abbia offerto un parametro per determinare il
compenso spettante al conducente unico o invece abbia indicato una cifra determinata,
incrementabile ma solo con una nuova deliberazione ad hoc. La Corte di appello dopo aver
ricostruito l’evoluzione del sistema contrattuale e retributivo del settore dopo il varo della
figura dell’ “agente unico” (eventualmente con mansioni anche di bigliettaio) e ricordato la
Legge regionale n. 13/1983 e la delibera della Giunta campana del 2.12.1986 istituenti limiti
di bilancio (da tenere in considerazione) ma che non potevano incidere nella determinazione in
concreto dell’ammontare dell’indennità concessa all’agente unico demandata alla
contrattazione collettiva, ha poi riprodotto il tenore letterale dell’Accordo del 15.3.1988 nei
quale si pattuisce che ” l’equiparazione della indennità ” agente unico” nei limiti massimi
ammissibili in base alla legge Reg. 15.3.1984 n. 13 sarà realizzata a partire dal 1. gennaio 1990,
pari a corrispettivi di 20 minuti di paga oraria dell’autista livello VII con 3 scatti”. Per la Corte
territoriale le parti collettive non potevano non sapere ( anche per l’incontro del 2.3.1986
presso il Ministero dei Trasporti e per l’Accordo nazionale del 24.4.1987 che disciplinava in
sede di prima applicazione il passaggio alla qualifica di agente di movimento di quinto livello )
del mutamento degli inquadramenti in atto con la soppressione della qualifica di bigliettaio: se
pure si era utilizzata la terminologia contrattuale recepita dalla Giunta regionale nel 1986 2 era
evidente che si fosse voluto far riferimento ai nuovi inquadramenti ormai maturati ed operativi
al momento dell’Accordo. La Corte territoriale ha sottolineato che le somme erogate dai 1990
non erano computate sul compenso di Lire 2.397 previsto dalla Delibera del 1986, ma sul
compenso di Lire 3280 ” corrispondente esattamente ai venti minuti di retribuzione del
lavoratore che, precedentemente inquadrato come autista del VII livello con tre scatti di
anzianità, alla data del 1.1.1990 percepiva la maggiore retribuzione relativa all’anno in corso”.
Per la Corte non vi era stata alcuna cristallizzazione del compenso con riferimento a quanto

2

con controricorso. Le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.

stabilito dalla Delibera del 1986, avendo voluto le parti aggiornare il compenso con decorrenza
1.1.1990 tenuto conto dei mutamenti intervenuti nella contrattazione collettiva tenuto conto
del paramento scelto già nel 1986 e cioè di venti minuti di retribuzione di un agente, con quella
determinata qualifica e quella determinata anzianità di servizio. Si era insomma consentito al
compenso di lievitare, tenuto conto della fisiologica dinamica salariale, ma solo nei limiti
stabiliti dal paramento già ricordato. La Corte di appello di Napoli ha anche ricordato due
sentenze di questa Corte ( cass. n. 3775/2004 e cass. n. 4257/2004) che hanno affermato
principi rafforzativi dell’orientamento seguito dalla Corte territoriale espressi in una
compenso di 20 minuti più un altro compenso di venti minuti per il “doppio incarico”. La Corte
di legittimità in tali decisioni ha affermato che il riferimento a venti minuti di paga oraria è un
tipico criterio di determinazione parametrica sensibile alle variazioni della retribuzione
parametro, al pari di quello espresso in misura percentuale. Tale orientamento è stato,
peraltro, ribaditoron le più recenti sentenze n. 13406/2013 e n. 7541/2015 e pertanto si
tratta di una giurisprudenza consolidata. Trattandosi di Accordo collettivo di livello non
nazionale ( art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.) l’interpretazione non è sindacabile in questa sede
di legittimità se non per violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. o per vizi di motivazione, nella
specie non sussistenti. L’uso di un’espressione, non ben chiara, che contrappone un ” dato
empirico” ad un ” livello parametrico” non basta a dimostrare la violazione dell’art. 1362 primo
comma c.c., così come affermazioni imnnotivate ed espressive di un mero dissenso
interpretativo sono quelle contenute nel seguito della censure. In particolare, che la qualifica
professionale di riferimento avesse mutato, o fosse per mutare, denominazione nulla toglie
alla chiarezza del riferimento, che serviva anche per il futuro a calcolare la voce retributiva in
questione, con i necessari adeguamenti. Infine, che lt tesi del debitore inadempiente non
vengano per un certo tempo contestate dai creditore nulla toglie al diritto di questo, con i soli
limiti della remissione tacita e della prescrizione, che qui non vengono invocati.
L’interpretazione della clausola contrattuale accolta dalla Corte di appello appare, in
conclusione, congruamente e logicamente motivata e risponde ai canoni ermerneutici
codicistici posto che parte da una interpretazione di natura letterale ( come è riconosciuto
nello stesso motivo) cui aggiunge una valutazione di natura sistematica che tiene conto
dell’evoluzione contrattuale derivata da fasi di ristrutturazione produttiva che aveva portato
alla creazione dell’ “agente unico” e da ultimo è sorretta da elementi direttamente tratti dalla
prima applicazione dell’accordo dei 1988 che portò ad una commisurazione del compenso
riferito al parametro scelto ma aggiornato alla luce dell’evoluzione salariale e di
inquadramento intervenuta dal 1988 al 1990. A ciò si deve aggiungere che la soluzione offerta
appare coerente con i principi già fissati da questa Corte in controversie di natura analoga
riguardanti l’istituzione dell’agente unico e la determinazione del suo compenso ( nel caso in
cui avesse operato anche da bigliettaio). La soluzione interpretativa adottata secondo la quale
si è scelto un riferimento parametrico per stabilire il compenso e non si è invece stabilito un
mero dato empirico da rinegoziare e rideterminare ha, quindi, alla base elementi di natura
letterale, sistematica, legati alla prassi applicativa dell’Accordo in parola ed infine trova
conforto in principi già affermati da questa Corte perfettamente applicabili alla fattispecie (
molto simile nei suoi contorni) in esame.

3

controversia in cui conducenti che svolgevano mansioni anche di bigliettaio reclamavano il

Con il secondo motivo si allega la falsa applicazione dell’ art. 4 comma 1. lettera a L. Reg.
25.1.1983 come modificata dall’art. 3 L. reg. 15.3.1984 n. 13, nonché l’insufficiente e/o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il compenso
era stato definito in cifra fissa, il che comprova come non fosse destinato a mutare in via
automatica, ma certamente non era stato escluso che potesse aumentare per via di una nuova
determinazione. Nel 1990 vi era stato un aumento dovuto però al convergere al 1.1.1990 di
A.N.M. e C.T.P. verso un unico importo ricavato da quello che era stato per anni il comune
indicatore dei costi standard dei servizi resi dalla aziende per il trasporto pubblico urbano. Non
aziendale eventualmente espresso in misura percentuale resta confermato in cifra fissa con il
conseguente riproporziona mento della percentuale medesima sulla relativa base di calcolo;
Il motivo appare infondato. Non appare sussistere alcuna violazione della disciplina regionale
che fissava solo un limite massimo per il 1986, poi non più aggiornato attraverso Delibere di
Giunta ( la stessa parte ricorrente omette di indicare quali sarebbero stati i limiti posti dalla
giunta dal 1990 in poi); per la Corte territoriale- per le ragioni già dette- l’Accordo del 1988 ha
introdotto un riferimento parametrico per il compenso che trova riscontro- come ha accertato
la stessa Corte di appello- nella prima applicazione dell’Accordo che non si è più riferita al
valore dei ” 20 minuti” come stabiliti nel 1986 sulla base di un inquadramento non più
operante, secondo un principio di adeguamento automatico riscontrato da questa Corte in
precedenti già citati, che comunque riguardano la medesima vicenda di un nuovo
inquadramento professionale del personale addetto alla guida di automezzi (ed al soppresso
servizio di biglietteria), globalmente considerato. Del resto la lettera della clausola
contrattuale- ha correttamente osservato la Corte- milita senz’altro per l’indicazione di un
parametro piuttosto che di una mera cifra fissa in quanto, se davvero le parti contrattuali
avessero voluto indicare un compenso in cifra fissa e cristallizzarlo sino a successive
determinazioni, l’avrebbero indicato direttamente in una certa somma senza passare
attraverso formule di più complessa e inevitabilmente controversa lettura. Si tratta di un
ragionamento che- come detto- non appare violare le regole codicistiche in materia di
interpretazione dei contratti. A pag. 29 del motivo si allega che era stato prodotto in appello
l’Accordo nazionale del 1989 che stabiliva che ” ogni altro compenso nazionale e aziendale
eventualmente espresso in misura percentuale resta confermato in cifra fissa con il
conseguente riproporzionamento della percentuale medesima sulla relativa base di calcolo”.
Per la parte ricorrente sarebbe stato assurdo per le OOSS definire nel 1988 un complicato
meccanismo automatico di rivalutazione dell’indennità e poi nel 1989 concordare la conferma
dell’indennità stessa. Ci si lamenta anche del fatto che la Corte di appello abbia ignorato il
detto Accordo. Anche tale profilo appare infondato in quanto la Corte di appello non aveva
alcun obbligo di motivare in ordine ad una produzione tardiva di un Accordo, peraltro prodotto
solo in stralcio. Questa Corte- proprio in relazione ad una vertenza di oggetto analogo alla
presente.ha precisato che “se è vero, poi, che ai sensi dell’art. 420, comma 5, cod. proc. civ. il
giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di
lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa,tale potere non può che essere esercitato in
base alle allegazioni e deduzioni delle parti, restando la relativa eventualità pur sempre
nell’ambito di applicazione del principio dispositivo e permanendo l’onere delle parti, che
vogliano far valere l’applicazione di un determinato contratto collettivo, di provarne l’esistenza
e di produrlo in giudizio (si tratta, dunque, di una discrezionalità limitata alla rilevanza del
contratto o accordo collettivo ai fini della decisione e solo il giudizio positivo di rilevanza dà
luogo ad un dovere di acquisizione).Nessun rilievo può essere, dunque, mosso alla Corte
territoriale che non ha preso in considerazione l’Accordo indicato ed ha deciso la causa sulla
sola base delle deduzioni, in fatto ed in diritto, così come delineate e delimitate dalle posizioni
4

era stato esaminato l’Accordo del 1989 che stabiliva che ” ogni altro compenso nazionale e

assunte dalle parti nel corso dei giudizio di primo grado. Né questa Corte può esaminare il
contenuto degli Accordi in virtù del principio jura novit curia che, come detto, presuppone una
conoscibilità della fonte normativa rispetto alla quale non risultino di ostacolo preclusioni
allegative e deduttive già verificatesi “( cass. n.7541/2015; cass. n. 19507/2014). Si tratta di un
orientamento che si condivide e cui si intende dare continuità: pertanto la Corte di appello non
aveva alcun obbligo di esaminare accordi collettivi non prodotti ritualmente ( in realtà neppure
in appello essendo stato prodotto solo uno stralcio del citato accordo).
Le spese di lite- liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente

al pagamento delle spese

del

giudizio di legittimità che si liquidano in curo 100,00 per spese, nonché
in curo 3.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12.5.2015

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