Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14942 del 20/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/07/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 20/07/2016), n.14942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23881/2010 proposto da:

CENTRO STAMPA VENETO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

A. DEPRETIS 86, presso lo studio degli avvocati PIETRO CAVASOLA,

FABRIZIO SPAGNOLO, che la rappresentano e difendono, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA E. TAZZOLI 2, presso lo studio dell’avvocato ROSALIA

MANGANO, che o rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA

DELL’OMARINO, LORENZO CANTONE, CLAUDIO DAMOLI, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/12/2009 R.G.N. 100/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato DONATONE ANTONIO per delega Avvocato MANGANO

ROSALIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 14 dicembre 2009, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da Centro Stampa Veneto s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione avverso il decreto dello stesso Tribunale con cui M.G. le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 263.843,63, a titolo di indennità fissa di licenziamento ai sensi dell’art. 21 CCNL per direttori amministrativi di aziende editrici di quotidiani a seguito del licenziamento intimatogli dalla predetta società datrice il 18 giugno 2004.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, in esito al critico esame della corrispondenza intercorsa tra le parti (lettera di dimissioni in data 11 giugno 2004 di M. alla società, da questa ricevuta il 16 giugno 2004; lettera di licenziamento in data 18 giugno 2004 dell’a.d. della società a M., ricevuta il 21 giugno 2004 ed ulteriore del medesimo a.d. del 24 giugno 2004, di comunicazione dell’appresa conoscenza delle dimissioni del lavoratore), la cessazione del rapporto di lavoro per effetto del licenziamento e non delle dimissioni, contenenti la disponibilità alla prosecuzione dell’attività per altri due mesi dal ricevimento della comunicazione, in effetti avvenuta fino al 21 giugno 2004.

Essa ribadiva quindi, in piena consonanza con il primo giudice, la qualifica di direttore amministrativo del lavoratore, valutati gli elementi qualitativi e quantitativi dei compiti assegnati, di ben altro rilievo rispetto a quelli degli altri quattro dirigenti dell’azienda; infine, ravvisava pure la natura retributiva dell’emolumento corrisposto nel marzo 2003 (di Euro 25.000,00 per il raggiungimento di obiettivi comunicati, come previsto nella lettera di assunzione), pertanto da computare nell’indennità richiesta dal lavoratore.

Con atto notificato il 15 (19) ottobre 2010, Centro Stampa Veneto s.p.a. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste M.G. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in riferimento all’art. 20 CCNL dirigenti aziende editrici stampatrici, artt. 1334, 2119, 2697 e 2702 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per erronea interpretazione della volontà espressa dal lavoratore con la propria lettera di dimissioni con richiamo all’art. 20 CCNL cit., in quanto per giusta causa senza preavviso e pertanto risolutiva del rapporto di lavoro con effetto immediato, precedente la comunicazione di licenziamento: essendo la prima pervenuta nella sfera di conoscenza datoriale soltanto dopo la seconda ed essendo irrilevante la prosecuzione dell’attività lavorativa per alcuni giorni quando le dimissioni non erano ancora conosciute alla società datrice, nè avendo questa accettato l’offerta del lavoratore dimissionario di prosecuzione dell’attività per qualche tempo ancora.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in riferimento agli artt. 2 e 21 lett. A) CCNL dirigenti aziende editrici stampatrici, artt. 2103, 2697 e 2702 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per erronea qualificazione del lavoratore quale direttore amministrativo, contrariamente al nomen iuris risultante dalla lettera di assunzione ed alle caratteristiche di preminenza nella gerarchia aziendale, di assegnazione di responsabilità e competenze in ordine a tutte le funzioni amministrative svolte nell’impresa e del potere di impartizione di direttive per il buon andamento dei servizi, così come previsto dall’art. 2 CCNL cit.: non avendo la Corte territoriale individuato le connotazioni proprie della declaratoria contrattuale, accertato le mansioni effettivamente svolte, nè proceduto al raffronto delle prime con le seconde.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in riferimento all’art. 20 CCNL dirigenti aziende editrici stampatrici, artt. 1334, 2119, 2697 e 2702 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, per erronea interpretazione della volontà espressa dal lavoratore con la propria lettera di dimissioni con richiamo all’art. 20 CCNL cit., in quanto per giusta causa senza preavviso e pertanto risolutiva del rapporto di lavoro con effetto immediato, prima della comunicazione di licenziamento, è inammissibile.

Innanzi tutto, esso difetta del requisito di autosufficienza, ridondante nella violazione della prescrizione, appunto a pena di inammissibilità, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per omessa specifica indicazione della sede di produzione, nè tanto meno di trascrizione della lettera di dimissioni oggetto della contestata interpretazione (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 3 marzo 2009, n. 5043; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461; Cass. 26 settembre 2002, n. 13953), non rimediabile con l’ausilio di altri atti del giudizio diversi dal ricorso (Cass. s.u. 18 maggio 2006, n. 11653; Cass. 21 settembre 2015, n. 18483), essendone la trascrizione contenuta nella sentenza impugnata (a pgg. da 7 a 9).

Sicchè, la rilevata omissione non consente al giudice di legittimità di operare il controllo della decisività dei fatti da provare e quindi delle prove stesse, che, per il richiamato principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

Inoltre, non è sindacabile in sede di legittimità il risultato interpretativo in sè: esso appartiene, infatti, all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, afferendo il controllo di questa Corte solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461).

E ciò anche in riferimento ad un atto unilaterale recettizio, qual è la lettera di dimissioni in oggetto, cui sono applicabili le norme ermeneutiche contrattuali compatibili con la natura di atto unilaterale (Cass. 6 maggio 2015, n. 9127; Cass. 20 gennaio 2009, n. 1387; Cass. 7 maggio 2004, n. 8713).

Nel caso di specie, esse sono state correttamente osservate sulla base di una motivazione congrua, non viziata nè logicamente nè giuridicamente (per le ragioni esposte a pgg. da 9 a 11 della sentenza).

Neppure, infine, potendosi accedere, in presenza di un’interpretazione ben plausibile del giudice di merito non essendo necessario che essa sia l’unica possibile nè la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 novembre 2015, n. 23377; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 settembre 2009, n. 20140).

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in riferimento agli artt. 2 e 21 lett. A) CCNL dirigenti aziende editrici stampatrici, artt. 2103, 2697 e 2702 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, per erronea qualificazione del lavoratore quale direttore amministrativo, ai sensi dell’art. 2 CCNL cit., in difetto di individuazione delle connotazioni proprie della declaratoria contrattuale, delle mansioni effettivamente svolte, nè del loro raffronto, è infondato.

Ed infatti, la Corte territoriale ha compiuto correttamente l’esame trifasico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore subordinato, consistente nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto dei risultati di tali due indagini (Cass. 9 marzo 2004, n. 4791; Cass. 12 maggio 2006, n. 11037). E ciò in virtù della chiara consapevolezza della previsione della declaratoria contrattuale (di cui ha riportato le peculiari caratteristiche di preminenza della posizione nella gerarchia aziendale, di assegnazione di responsabilità e competenze in ordine a tutte le funzioni amministrative riguardanti il complesso delle attività dell’impresa, di potere di impartire le disposizioni necessarie al buon andamento dei servizi: riproposte sub a, b, c di pg. 21 del ricorso) e delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore: così accertandone la qualifica senza violazione delle norme di legge e di contratto collettivo denunciate e con motivazione logica e adeguata (per le ragioni esposte a pgg. 11 e 12 della sentenza), insindacabile in cassazione (Cass. 5 marzo 2004, n. 4537).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna Centro Stampa Veneto s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016

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