Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1494 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 23/01/2020), n.1494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 13247/2015, proposto da:

Rimet Plast s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata

e difesa dall’avv. Lorenzo Spallina, unitamente all’avv.to

Gianfranco Palermo, presso il quale è elettivamente domiciliata in

Roma, via Piazza Sallustio n. 9, come da comparsa di costituzione di

nuovo difensore;

– Ricorrente –

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Resistente –

Avverso la sentenza n. 2174/13/2014 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana depositata il 14/11/2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 novembre

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

Fatto

RITENUTO

che:

A seguito di controllo automatizzato, e di successivo invito a comparire, l’Ufficio rideterminava maggiori ricavi, per l’anno di imposta 2006, rispetto a quelli dichiarati dalla Rimet Plast s.r.l., svolgente attività all’ingrosso di materie plastiche, applicando lo studio di settore di riferimento SM88U, in base al quale calcolava uno scostamento di Euro 74.069,00.

La contribuente società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale, deducendo l’illegittimità e l’erroneità dell’avviso, che veniva accolto parzialmente, con riduzione dello scostamento ad Euro 50.000,00.

La Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello della società confermando la sentenza di prime cure.

La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione regionale, di cui in epigrafe, deducendo quattro motivi di ricorso.

L’Amministrazione finanziaria ha depositato atto di costituzione al solo fine di partecipare all’udienza pubblica.

La Rimet Plast s.r.l. ha presentato memoria ex art. 380 – bis l c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente società deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 18, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis e art. 62 sexies, comma 3, conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, per totale illegittimità della procedura di accertamento introdotta dall’Ufficio nonostante la regolare tenuta della contabilità societaria.

Con il secondo, deduce la violazione dell’art. 111 Cost., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Commissione tributaria regionale esaminato le contestazioni riguardanti l’inapplicabilità dello studio di settore applicato dall’Ufficio all’attività in concreto svolta dalla società, affidandosi ad una motivazione del tutto apparente e stereotipa.

Con il terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b, deducendo, in buona sostanza, la violazione del regime probatorio riguardante all’accertamento basato sugli studi di settore, nonchè la violazione di legge per aver la CTR ritenuto la legittimità dell’accertamento, senza approfondire le contestazioni effettuate in sede di preventivo contraddittorio con il contribuente, ledendo, così, il principio di parità di trattamento tra i soggetti e le garanzie poste a tutela del contribuente.

Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2697 e 2729 c.c., dell’art. 115 c.p.c., per aver la Commissione di secondo grado erroneamente applicato le regole che disciplinano la prova presuntiva.

I quattro motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto con essi si deduce a vario titolo e con argomentazioni sostanzialmente ripetitive, la stessa questione relativa alla riconducibilità dell’attività svolta dalla società (commercio all’ingrosso di materie plastiche) allo studio di settore applicato dall’Agenzia delle entrate per calcolare lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli ritenuti effettivi, non sono fondati.

La Commissione di secondo grado ha rigettato l’appello della società contribuente, ritenendo inidonea la prova contraria da questa offerta per escludere l’operatività della presunzione derivante dallo studio di settore di riferimento (SM88U), applicato dall’Ufficio.

Da tempo, questa Corte ha affermato il principio secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quanto eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d”, fermo restando l’onere per il contribuente di “allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”, (cfr., Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541-01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10242 del 26/04/2017, Rv. 643929-01).

Orbene, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo escluso, in base ad un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, che il contribuente avesse fornito prova idonea per dimostrare il conseguimento di minori ricavi, e conseguentemente, avendo ritenuto non vinta la presunzione legale di cui all’art. 2729 c.c. e ss.. Ed infatti, la CTR, dopo aver qualificato la prova su cui si basa lo studio di settore come presunzione semplice e dopo aver affermato che spetta al contribuente la prova contraria, ha ritenuto la legittimità dell’accertamento proprio sull’inidoneità delle contestazioni della società contribuente a scalfire la propria presuntiva.

In particolare, ha ritenuto generiche le allegazioni della contribuente, in quanto basate su una serie di elementi rimasti mera asserzione ma non concretamente provati, quali “la realtà competitiva del mercato di riferimento”, il mancato buon fine di una serie di operazioni commerciali, elementi tutti non riscontrabili documentalmente.

Il giudizio sulla rilevanza degli elementi probatori espresso dai giudici di secondo grado, è insindacabile in questa sede, sicchè la richiesta di rivalutazione degli elementi già esaminati introduce, surrettiziamente, una richiesta inammissibile.

Con riferimento all’ulteriore censura proposta dalla contribuente, riguardante la violazione dei diritti e delle garanzie del contribuente, in relazione al preventivo contraddittorio, anche essa è infondata. Nella specie, il contraddittorio – come ammesso dalla stessa ricorrente – è stato svolto e l’Ufficio si è premurato di rispondere alle contestazioni (v. ricorso pag. 8, ove è riportato la motivazione dell’accertamento), sicchè la società non ha motivo di dolersi; peraltro, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605-01, hanno chiarito che l’accertamento condotto ai sensi del D.P.R. cit., art. 39, lett. d), non necessita del preventivo contraddittorio endoprocedimentale, allorquando si tratti di accertamento ai fini Irpeg ed Irap (cd. tributi non armonizzati), in quanto tali tributi sono assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”. Per l’Iva, trattandosi di tributo cd. armonizzato, sebbene l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, il contribuente è onerato ad enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, senza potersi limitare a formulare un’opposizione meramente pretestuosa (cfr. Sez. Un. 24823 del 2015, cui ha dato seguito la costante giurisprudenza di questa Sezione, tra cui, Sez. 6-5, n. 1969 del 25/01/2017; Sez. 6 5, Ordinanza n. 11560 del 11/05/2018, Rv. 648381-02; Sez. 65, Ordinanza n. 27421 del 29/10/2018, Rv. 651437-01).

Le doglianze della società sono dunque del tutto inconferenti, atteso che, pur trattandosi di tributo non armonizzato, il contraddittorio è stato svolto e la società è stata messa in condizioni di argomentare le sue giustificazioni.

Rettamente, dunque, la CTR ha accertato la complessiva inattendibilità della dichiarazione fiscale del contribuente incongruità dei ricavi dichiarati e di quelli effettivi – ritenendo l’irrilevanza delle contestazioni del contribuente e concludendo per la conferma dell’accertamento ai sensi del D.P.R. cit., ex art. 39, comma 1, lett. d), in quanto sufficientemente sostenuto sul terreno probatorio in ragione dei vari elementi di fatto evidenziati in sentenza.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Nulla si provvede in ordine alle spese di giudizio giacchè l’Agenzia delle entrate, vittoriosa, non ha svolto alcuna attività difensiva, depositando “atto di costituzione” al solo fine di partecipare all’udienza pubblica.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Il ricorrente è tenuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, al versamento del contributo unificato nell’importo pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione Civile, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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