Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14937 del 20/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/07/2016, (ud. 24/02/2016, dep. 20/07/2016), n.14937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13087/2012 proposto da:

PFIZER ITALIA S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio degli avvocati RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, FEDERICA PATERNO’, che la rappresentano e difendono

unitamente agli avvocati ALDO BOTTINI, ANNA GRAZIA SOMMARUGA, FRANCO

TOFFOLETTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., C.F. (OMISSIS), T.R. (OMISSIS),

L.D. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS), D.C.G.

(OMISSIS), G.N. (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI, 103, presso lo studio

dell’avvocato BIDETTI MATILDE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

G.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 825/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 29/11/2011 R.G.N. 207/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato SOMMARUGA ANNA GRAZIA;

udito l’Avvocato ALLEVA PIERGIOVANNI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per accoglimento del ricorso per

quanto di ragione, estinzione per L., T., G. e

M..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 825 in data 14 ottobre – 29 ottobre 2011 la Corte di Appello di ANCONA rigettava l’interposto gravame di PFIZER Italia srl avverso sentenze del giudice del lavoro di Ascoli Piceno (nn. 1093 – 1099, pronunciate il 17-12-2010), che avevano accolto le domande dei lavoratori T.R., D.C.G., L.D., G.V., M.G., G.N. e S.L. avverso i recessi loro intimati, a seguito di procedura di licenziamento collettivo per esubero di personale dipendente ex L. n. 223 del 1991. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (di oltre 200 pagine) la S.r.l. PFIZER Italia S.r.l., affidato a dieci motivi, cui resistono mediante controricorso i soli M., GR., L., S., D.C. e T., mentre è rimasto intimato il G..

Successivamente, la società ricorrente ha depositato atti di rinuncia nei soli confronti di G.V., T.R. e L.D., nonchè M.G., completi di notifica a costoro, unitamente a rispettivi atti di accettazione da parte dei medesimi, debitamente sottoscritti.

Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarata l’estinzione del processo, ex artt. 390 e 391 c.p.c., nei confronti di G.V., L.D., T.R. e di M.G., per intervenute rinunzie agli atti del giudizio, a costoro notificate dalla società ricorrente, al primo in data primo – tre agosto 2012 (con accettazione dl cui alla relata sei agosto 2012) e agli tre il 19/02/2016, cui hanno fatto seguito le accettazioni di questi ultimi, notificate mediante p.e.c. in pari data.

Di conseguenza, con riferimento a detta estinzione, nulla va disposto in ordine alle spese, avuto riguardo alle accettazioni, cui in tal sensi pure hanno aderito personalmente i diretti interessati ed il loro difensore (avv. prof. Piergiovanni Alleva). Quanto, invece, al ricorso concernente gli altri controricorrenti ( GR., D.C. e S.), deve esserne dichiarata l’inammissibilità.

Infatti, la sentenza d’appello, in sintesi, osservava che i dipendenti istanti avevano contestato i criteri di scelta in base ai quali era intervenuto l’impugnato licenziamento collettivo, criteri per loro pregiudizievoli, sotto il profilo della limitazione ad un ristretto, specifico novero di lavoratori, con specioso riferimento ad una presunta specificità delle posizioni, anzichè a tutti i dipendenti. A fronte di tali contestazioni, parte datoriale aveva eccepito l’infondatezza delle obbiezioni avversarie, essendo stata correttamente seguita la procedura di mobilità, di modo che erano validi ed efficaci i risultati della procedura. Ad avviso della Corte distrettuale, però, detta tesi non poteva essere accolta, dovendosi aver riguardo alle finalità della procedura, che aveva l’evidente scopo di consentire un controllo dell’operazione di riduzione del personale nel suo complesso, mediante un confronto con i sindacati dei lavoratori, all’uopo debitamente resi edotti. D’altro canto, la legittimità della procedura nemmeno poteva presumersi soltanto in base al fatto che i sindacati non avessero contestato il licenziamento collettivo. Ad ogni modo, al singolo lavoratore non poteva negarsi la tutela giudiziaria in relazione al diritto al lavoro, di rango costituzionale.

Pertanto, incombeva alla parte datoriale l’onere di provare la corretta individuazione dei lavoratori da espellere, nonchè di prospettare al giudice tutti gli elementi utili ai fini della valutazione in proposito; ciò che presupponeva, innanzitutto, la debita esposizione dei dati occorrenti, al fine di consentire la valida istaurazione del contraddittorio in funzione dell’esercizio del diritto di difesa. Per contro, nulla di ciò, secondo la Corte marchigiana, si era verificato nel giudizio de quo. Di conseguenza, ritenuto pacifico in causa che la riduzione del personale fosse giustificata, rimaneva una radicale incertezza su tre profili essenziali: determinazione dell’ambito della scelta dei dipendenti da licenziare; correttezza dei criteri di scelta; corretta applicazione dei criteri di scelta.

Ad avviso della Corte di Appello, l’anzidetta incertezza non poteva essere superata anche per l’assenza di specifiche deduzioni, in proposito, dei lavoratori licenziati; deduzioni che, peraltro, non era possibile sviluppare ed esporre, nell’assenza di informazioni in merito, che non erano state fornite.

Ne derivavano, pertanto, una carenza del contraddittorio ed un’impossibilità di esercitare il diritto di difesa; che si rifletteva, anche ed in particolare, sull’idoneità dell’appello a costituire un valido contraddittorio, difettando l’atto del requisito della specificità, posto dall’art. 434 c.p.c., laddove si ometteva un valido contraddittorio, difettando l’atto del requisito di specificità, mancando qualsiasi specifica considerazione in ordine alla professionalità dei dipendenti ritenuti in esubero e meritevoli di licenziamento.

Le occorrenti valutazioni, ad ogni modo, risultavano del tutto impossibili, per non essere stato adempiuto da parte datoriale l’onere di dedurre e poi di provare ed infine d’impugnare, con la indispensabile specificità, le deduzioni sui dati di fatto e gli argomenti esposti in diritto dagli appellati. Ed invero, non poteva considerarsi sufficiente e valida la prolissa e minuziosa esposizione di tutti gli elementi, che avrebbero giustificato, sul piano organizzativo, la scelta del personale da licenziare, poi effettivamente licenziato.

Orbene, questa parte della motivazione, che integra peraltro autonoma ratio decidendi della sentenza di secondo grado qui impugnata – nel senso che per la ritenuta carenza di idonee precisazioni ex art. 434 c.p.c., l’appello non poteva considerarsi validamente istaurato, con conseguente inammissibilità dell’interposto gravame – non è stata debitamente censurata dalla società ricorrente.

Al riguardo, invero, deve in via preliminare considerarsi il 4^ motivo (pagg. 188 – 189) del ricorso, laddove la società ha dedotto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo della extrapetizione, per aver rilevato la carenza di specificità del ricorso in appello ai sensi del citato art. 434 del codice di rito, nonchè per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa pur in assenza di domande o di eccezioni formulate nella memoria di costituzione degli appellanti (rectius: appellati). La ricorrente, quindi, ha sostenuto che le anzidette argomentazioni della Corte di merito, oltre che contrarie al contenuto dei ricorsi In appello (siccome dedotto nei precedenti motivi, completi di tutte le necessarie allegazioni e deduzioni, anche istruttorie), sono state svolte dal collegio giudicante In totale assenza di eccezioni al riguardo proposte da parte appellata, che aveva quindi potuto anche esercitare compiutamente il suo diritto di difesa. A parte, quindi, la connotazione negativa del linguaggio di controparte e l’asserita violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, che si contestava, era stata la difesa avversaria ad affermare come gli atti difensivi, ed in particolare quelli introduttivi dell’appello, non fossero affatto mancanti di specificità.

Orbene, la censura così come formulata non coglie nel segno, poichè non soltanto Omette di enunciare compiutamente, ma con la necessaria sintesi (v. gli artt. 366 e 369 c.p.c.), le argomentazioni poste a sostegno dei gravami proposti avverso le appellate pronunce, onde confutare debitamente ed in modo pertinente quanto rilevato dalla Corte territoriale circa la ritenuta violazione dell’art. 434 c.p.c., in ordine al requisito di specificità; ma altresì erroneamente presuppone nella formulazione della censura sub 6^ che la questione concernente l’osservanza delle precetti di cui al cit. art. 434 sia rilevabile soltanto su eccezione di parte, e non già di ufficio.

Ed invero (cfr. tra le varie Cass. 3^ civ. n. 9244 del 18/04/2007), nel giudizio di appello – che non è un “novum iudicium” – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (conformi: Cass. 2^ civ. Sentenza n. 8771 del 13/04/2010, nonchè Cass. n. 1599 del 1997, n. 5445 e n. 12984 del 2006. Cfr. pure Cass. 2^ civ. n. 10401 del 30/07/2001, secondo la quale il requisito della specificità dei motivi dell’appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante finalizzate ad inficiare il fondamento logico giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono. E’ quindi indispensabile che l’atto di appello contenga sempre tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione senza la possibilità di rinviare l’esposizione delle argomentazioni ad un momento successivo del giudizio o addirittura alla comparsa conclusionale, essendo l’atto di appello quello che fissa i limiti della controversia in sede di gravame ed esaurisce il diritto potestativo di impugnazione. La violazione di tale principio comporta la inammissibilità del gravame rilevabile anche d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte.

In senso conforme v. anche Cass. sez. un. civ. n. 16 del 29/01/2000, secondo cui l’inammissibilità non è la sanzione per un vizio dell’atto diverso dalla nullità, ma la conseguenza di particolari nullità dell’appello e del ricorso per cassazione, e non è comminata in ipotesi tassative ma si verifica ogniqualvolta – essendo l’atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo, nel caso dell’appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado – non operi un meccanismo di sanatoria; pertanto, essendo inapplicabile all’atto di citazione di appello l’art. 164, in quanto solo l’atto conforme alle prescrizioni di cui all’art. 342 c.p.c., è idoneo a impedire la decadenza dall’impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza -, l’inosservanza dell’onere di specificazione dei motivi, imposto dall’art. 342 cit., integra una nullità che determina l’inammissibilità dell’impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità di sanatoria dell’atto a seguito di costituzione dell’appellato – in qualunque momento essa avvenga – e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa. Conformi Cass. n. 3809 del 1994, n. 2012 e n. 8377 del 1995).

D’altro canto, il requisito di specificità (e quello, connesso, di pertinenza) è prescritto dall’art. 434 c.p.c. (già nel testo qui ratione temporis applicabile, al pari dell’art. 342 per il rito ordinario), norma di carattere processuale diretta a disciplinare l’ammissibilità dell’impugnazione, che è materia di ordine pubblico, come tale sottratta alla disponibilità delle parti, di modo che può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo; ne deriva che anche nel caso di specie a nulla rileva il comportamento osservato dalla parte controinteressata al gravame, nel senso che punto non può valere come accettazione del contraddittorio, idonea a sanare il difetto di una valida impugnazione mediante raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., tanto più poi in presenza di termini perentori entro cui l’impugnazione va indifferibilmente proposta, donde la loro improrogabilità ex art. 153 stesso codice di rito (I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti).

D’altro canto, il ricorso della società è anche inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:…

3) l’esposizione sommaria dei fatti della causa;

4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’art. 366 -bis…).

Ed invero, il suddetto ricorso contiene una prolissa esposizione di fatti ed atti relativi alla vicenda di cui è causa, nonchè da pagina 103 a 203 l’esposizione dei motivi posti a sostegno, il tutto però formulato in termini tutt’altro che sommari, ma in modo assolutamente e indiscriminatamente esteso, tale da non consentire di cogliere prontamente e con agevole certezza l’essenza delle censure mosse alla pronuncia della quale si chiede la cassazione.

In tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Cass. sez. un. civ. n. 5698 – 11/04/2012. Conforme Cass. n. 1905 del 2012.

In senso analogo, v. più di recente Cass. civ. sez. 6-3, n. 3385 del 22/02/2016, secondo cui il ricorso per cassazione redatto per assemblaggio, attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali, è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3), che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi. Id. n. 6279 del 16/03/2011: il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente, anzichè narrare i fatti di causa ed esporre l’oggetto della pretesa come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, si limiti a trascrivere integralmente gli atti dei precedenti gradi del giudizio ovvero si limiti ad allegare, mediante “spillatura”, tali atti al ricorso. Conformi: n. 20395 del 2009, nonchè Cass. sez. un. n. 16628 del 17/07/2009, secondo cui la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volta ad evitare particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere ed è preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura.

Parimenti, secondo le Sezioni unite civili di questa Corte – ordinanza n. 19255 del 09/09/2010 – è inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione nel quale l’esposizione sommaria dei fatti sia compiuta attraverso la integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito, poichè tale modalità equivale nella sostanza ad un mero rinvio agli atti di causa e viola, di conseguenza, il principio di autosufficienza del ricorso.

Cfr. ancora Cass. 3^ civ. n. 1905 del 09/02/2012: è inammissibile, per inosservanza del necessario requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 363 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione che si limiti a riprodurre, in via diretta o indiretta, il testo integrale di una serie di atti dello svolgimento processuale, così onerando la Corte di cassazione di procedere alla lettura di tali atti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, non potendosi ritenere assolta da elementi estranei al ricorso la funzione riassuntiva sottesa alla previsione della sommarietà dell’esposizione del fatto).

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso fa seguito la condanna della soccombente società al rimborso delle spese, siccome liquidate in dispositivo, a favore dei controricorrenti GR., S. e D.C..

PQM

la CORTE dichiara ESTINTO il giudizio nei confronti di G.V., T.R., L.D. e di M.G..

NULLA per le spese tra la ricorrente ed i suddetti. Dichiara, inoltre, INAMMISSIBILE il ricorso della Società nei confronti dei controricorrenti GR., S. e D.C., condannando la medesima Società al pagamento delle relative spese, che liquida, a favore di questi ultimi controricorrenti, nella misura di Euro 6.850,00 per compensi professionali, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016

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