Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14932 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 06/07/2011), n.14932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Borghesano

Lucchese n. 29, presso lo studio dell’avv. PETRUCCIANI MARIO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Molise, sez. 3^, n. 113 del 17 novembre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

5.5.2011 dal consigliere relatore Dott. Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 377

c.p.c., comma 2;

udito, per l’Agenzia ricorrente, l’avvocato dello Stato Paolo

Gentili;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contribuente, avvocato, presentò istanza di rimborso dell’irap pagata per gli anni dal 2001 al 2004, assumendo di aver svolto la propria attività in assenza di autonoma organizzazione; propose, quindi, ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rifiuto conseguentemente formatosi.

Il ricorso del contribuente fu accolto dall’adita commissione provinciale, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale.

I giudici di appello disattesero, preliminarmente, l’eccezione di decadenza opposta dell’Agenzia sul presupposto che all’istanza di rimborso di imposte versate in eccedenza deve essere applicato, non già il termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, bensì quello, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 2, comma 8 bis, (coincidente con il termine di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo), nella specie già scaduto al momento della proposizione dell’istanza di rimborso del contribuente.

Rilevarono quindi, nel merito, che, dalla documentazione versata in atti dal contribuente, emergeva lo svolgimento di attività senza dipendenti, in mancanza di significative spese di gestione e con minimo apporto di capitali e cespiti ammortizzabili e quindi, in definitiva, in assenza di “autonoma organizzazione”.

Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

Il contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il terzo motivo ricorso, prioritario sul piano logico, l’Agenzia – deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, – censura la decisione impugnata per aver ritenuto tempestiva l’istanza di rimborso del contraente, ancorchè proposta oltre il termine (di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo) previsto dalla disposizione evocata per l’integrazione della dichiarazione.

La doglianza è infondata, giacchè, come correttamente rilevato già dal giudice del gravame, essa sottende l’assimilazione del termine per la proposizione dell’istanza di rimborso a quello per la proposizione della dichiarazione integrativa; assimilazione che si rivela insostenibile sia sul piano sistematico sia su quello normativo.

In proposito, occorre, invero, premettere che la giurisprudenza di questa. Corte è consolidata nel senso che, di regola, le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, nè costituiscono titolo dell’obbligazione tributaria, ma sono dichiarazioni di scienza, sicchè (salvo casi particolari: ad es., le dichiarazioni integrative presentate ai fini del condono), possono, in linea di principio, essere liberamente emendate e ritrattate dal contribuente, sin in sede processuale, se, per effetto di errore di fatto o di diritto commesso nella relativa redazione, possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (cfr., anche, l’art. 53 Cost.); ne discende che il contribuente che abbia, in dichiarazione, assoggettato propri redditi ad imposta che ritiene non dovuta e provveduto al relativo versamento, in via di autotassazione, può chiederne la restituzione nel termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, (v., tra le altre, Cass. 29738/08, 1708/07, 4238/04).

Ciò posto, deve considerarsi che, all’esercizio di tale facoltà, non può ritenersi ostativa la scadenza del. termine previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, (introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, con effetto dall’1 gennaio 2002), che – incidendo sull’esercizio della (per certi versi) connessa, ma distinta, facoltà del contribuente di procedere ad emenda della dichiarazione resa mediante dichiarazione integrativa – non interferisce minimamente sull’esercizio del diritto al rimborso.

L’introduzione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, non è stata, infatti, accompagnata da alcuna modifica dello specifico regime dei rimborsi e la stessa lettera della norma non è per nulla incompatibile con l’autonomia del richiamato regime. Anzi – nel rivelare, nell’ultimo periodo (“L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 11″), la specificità funzionale della dichiarazione integrativa – conforta, nel contempo, l’esclusiva incidenza su di essa e sui relativi effetti del termine di decadenza per essa precipuamente predisposto.

Con gli altri tre motivi di ricorso – deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 144, D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, nonchè motivazione contraddittoria – l’Agenzia censura la decisione impugnata per non aver considerato che l’attività professionale è sempre assoggettata ad irap e per aver contraddittoriamente escluso la ricorrenza dei requisiti dell'”autonoma organizzazione” e, conseguentemente, dell’assoggettamento all’imposta.

Anche tali doglianze vanno disattese.

Occorre, invero, premettere che, in materia, questa Corte ha puntualizzato: che, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza 156/01, l’attività di lavoro autonomo, diversa dall’esercizio di impresa commerciale integra il presupposto impositivo dell’irap soltanto ove si svolga per mezzo di una attività autonomamente organizzata; che il requisito organizzativo rilevante ai fini considerati, il cui accertamento spetta al giudice di merito (con valutazione insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato), sussiste quando il contribuente, che sia responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili alla responsabilità altrui, eserciti l’attività di lavoro autonomo con l’impiego di beni strumentali, eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività autorganizzata per il solo lavoro personale, o si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui; che è onere del contribuente, che chieda il rimborso di detta imposta, allegare la prova dell’assenza delle condizioni costituenti il presupposto impositivo” (cfr., tra le altre, Cass. 3680/07, 3678/07, 3676/07, 3672/07).

Ciò posto, deve rilevarsi che la prima delle qui esaminate censure si rivela infondata, in quanto radicalmente contraddetta dalla richiamata giurisprudenza; mentre le altre, ancor prima che infondate, risultano inammissibili, giacchè, contrastando con quanto coerentemente accertato in fatto dal giudice a quo (e, peraltro, in difetto di autosufficienza per la mancata indicazione degli elementi che dovrebbero indurre a conclusione contraria), si risolvono in un sindacato in fatto inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del il ricorso.

Per la soccombenza, l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessive Euro 600,00 (di cui Euro 500,00 per onorari) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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