Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14928 del 21/06/2010
Cassazione civile sez. II, 21/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 21/06/2010), n.14928
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6909/2005 proposto da:
B.M.T. (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUZZI 82, presso lo studio
dell’avvocato IANNOTTA GREGORIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.A.M. (OMISSIS) in proprio ed unitamente ai
germani C.M.G. (OMISSIS), C.
G. (OMISSIS), difeso da se stesso ex art. 86
c.p.c., quali eredi legittimi della madre S.M.
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BORSIERI 3, presso lo studio
dell’avvocato C.G., che pure rappresenta e difende le
prime due;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 456/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 27/01/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica, udienza del
11/05/2010 dal Consigliere Dott. BUCCIANTE Ettore;
udito l’Avvocato IANNOTTA Alessandra con delega depositata in udienza
dell’Avvocato IANNOTTA Gregorio, difensore della ricorrente che ha
chiesto accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato BATTAGLIA Monica, con delega depositata in udienza
dell’Avvocato CORAPI Giuseppe, che ha chiesto rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SGROI Carmelo che ha concluso per rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10 febbraio 2001 il Tribunale di Roma – adito da S.M. nei confronti di B.M.T. – condannò la convenuta a demolire un manufatto che aveva realizzato a distanza minore di quella legale in una terrazza di sua proprietà, sul confine con quella adiacente appartenente all’attrice; respinse l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni.
Avverso quest’ultimo capo della decisione proposero appello C. A.M., C.M.G. e C.G., che già in primo grado si erano costituiti quali eredi della defunta loro madre S.M., e la prima anche come acquirente in corso di causa dalla de cuius dell’immobile di proprietà di quest’ultima.
In accoglimento del gravame, con sentenza del 27 gennaio 2004 la Corte d’appello di Roma ha condannato B.M.T. al risarcimento dei danni in favore di C.A.M., C. M.G. e C.G., nella misura di 20.000,00 Euro.
Contro tale sentenza la soccombente ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi, poi illustrati anche con memoria. C.A.M., C.M.G. e C. G. si sono costituiti con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso B.M.T. di duole del rigetto, da parte del giudice di secondo grado, dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, che era stata sollevata nel presupposto della tardività del gravame, in quanto proposto più di trenta giorni dopo che C.A.M., M.G. C. e C.G. avevano fatto notificare la sentenza del Tribunale personalmente all’altra parte.
La censura non è fondata.
Sul punto la Corte d’appello ha ritenuto, sulla scorta di Cass. s.u.
20 maggio 1982 n. 3111, che “qualora la notificazione della sentenza venga effettuata, anzichè al procuratore costituito, secondo la previsione dell’art. 285 c.p.c. e art. 170 c.p.c., comma 1, alla controparte personalmente, in forma esecutiva (art. 479 c.p.c.), la notificazione medesima è inidonea a far decorrere il termine breve per la impugnazione non soltanto nei confronti del notificato, ma anche nei confronti del notificante, stante la comunanza di tale termine ad entrambe le parti”. Da questo principio, al quale si è poi costantemente uniformata la giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 25 settembre 2009 n. 20684) non vi sono ragioni di discostarsi, stante la sua coerenza con la lettera e lo scopo delle norme da cui è stato tratto, nè valgono a scalfirlo le assiomatiche affermazioni contrarie della ricorrente.
Con il secondo motivo di impugnazione B.M.T. lamenta che la Corte d’appello ha considerato tardiva la sua eccezione di difetto di legittimazione di C.M.G. e C. G.: eccezione che invece avrebbe dovuto essere presa in esame, trattandosi di questione rilevabile di ufficio, e altresì accolta, in quanto nel corso del giudizio di primo grado l’originaria attrice S.M. aveva alienato esclusivamente alla figlia C.A.M. l’immobile rispetto al quale era avvenuta la violazione delle distanze.
Anche questa doglianza va disattesa.
La giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. 17 settembre 2008 n. 23765) è univocamente orientata nel senso che “poichè la morte di una parte nel corso del giudizio di primo grado determina la trasmissione della sua legittimazione attiva e passiva agli eredi, questi vengono a trovarsi nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali (indipendentemente, cioè, dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale)”. L’eccezione di cui si tratta, pertanto, avrebbe dovuto comunque essere respinta dalla Corte d’appello: C.M.G. e C.G., in quanto eredi di S.M., erano legittimati a proseguire il processo, a norma dell’art. 110 c.p.c., come anche C.A. M., alla quale competeva altresì la qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, che la abilitava, per il disposto dell’art. 111 c.p.c., a partecipare pure in tale veste al giudizio.
Con il terzo motivo di ricorso B.M.T. deduce che la Corte d’appello è incorsa nella violazione del giudicato interno, che si era formato sulla sentenza di primo grado nella parte – non impugnata – in cui era stato escluso che nella specie vi fossero state menomazioni di luci, di vedute e di aria, in seguito alla costruzione del manufatto in questione.
Neppure questa censura è fondata.
Risulta dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante la natura del vizio denunciato – che nell’atto introduttivo del giudizio di appello C.A.M., C.M.G. e C.G. avevano espressamente sostenuto che dal comportamento di B.M.T. era derivato, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, un concreto ed effettivo danno “per quanto riguarda distanze, aria, luce, vedute e prospetti”, poichè il manufatto in questione “ha addirittura sopravanzato la linea della facciata condominiale, costituendo un vero e proprio aggetto, ha privato o limitato fortemente l’immobile della C. di parte importante delle vedute e prospetti, nonchè delle luci e vedute” e “l’appartamento della C. è stato menomato di quelle che sono le caratteristiche precipue di un attico:
l’ariosità e l’ampiezza di vedute”. Dunque, accertando che nella specie vi era realmente stata “diminuzione di visuale, esposizione al sole ed amenità” per l’immobile di cui si tratta, il giudice di secondo grado non ha superato i limiti della materia del contendere che era stata devoluta alla sua cognizione.
Con il quarto motivo di ricorso B.M.T., oltre a ribadire che l’assenza di ogni pregiudizio per vedute, luci ed aria era stata affermata dal Tribunale con effetto di giudicato, lamenta che la Corte d’appello ha liquidato il preteso danno in via equitativa, “senza indicare secondo quali calcoli o quali criteri si dovrebbe pervenire all’importo indicato in sentenza”.
Neppure questa censura può essere accolta.
Nella sentenza impugnata è stato dato conto in maniera senz’altro esauriente delle ragioni della decisione: l’entità del temporaneo deprezzamento dell’immobile di cui si tratta è stata desunta dalle sue peculiarità (l’ubicazione in “zona di prestigio… al piano attico con ampio terrazzo e degna visuale”), dall’incidenza della violazione su questa “caratteristica saliente” del bene, dal corrispondente “vantaggio “minimo” conseguito dalla B. in riferimento ai 12 mq. abusivi” in misura pari al valore locativo di tale area, dal periodo intercorso tra la realizzazione e la rimozione, peraltro non ancora completa, del manufatto in questione.
Il ricorso pertanto va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010